Nino D’Ascola: contrasto e repressione dei crimini di guerra

ROMA – Il senatore Nico D’Ascola, nel corso dell’odierna seduta del Senato sul ddl n. 54 si espresso in merito al reato di negazionismo in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra:

“Intervengo sui temi più tecnici connessi a questa materia, perché attraverso questi è forse possibile comprendere meglio le questioni maggiormente rilevanti che sono emerse nell’ambito delle Commissioni preposte alla formazione di un testo legislativo accettabile, ma soprattutto capire quali erano i problemi connessi alla stesura di un testo che rivendico al Gruppo di Area Popolare, al quale mi onoro di appartenere. Il testo originariamente proposto era assolutamente inammissibile, in quanto trascurava di considerare non soltanto il dibattito storico e culturale che è giusto, normale e doveroso che si sviluppi intorno a fatti che riguardano vicende così drammatiche per la collettività internazionale, ma addirittura trascurava di considerare quello che rappresenta un dato storico nella formazione delle norme penali incriminartrici che riguardano i cosiddetti reati di opinione, ossia allorquando il legislatore penale finisce per sanzionare la manifestazione di un’opinione che potrebbe avere non soltanto contenuti di natura politica, ma anche interessi di natura culturale e storiografica. In particolare, mi permetto di sottolineare l’importanza di avere inciso intanto sulla scelta della collocazione: non abbiamo più un reato autonomo, ma una circostanza aggravante che presuppone un fatto illecito che risale alla legge n. 654 del 1975, una norma collaudata. Questa aggravante, quindi, non si inserisce in un contesto ambiguo e sconosciuto all’uso giurisprudenziale, ma interviene su un testo collaudato. Siamo intervenuti su quella che era una carenza manifesta del vecchio testo legislativo, in cui erano punite le condotte istigatrici che avvenissero non pubblicamente, sicché era proibito anche il dibattito familiare, il dibattito interno, ossia  gli ambiti ove determinate opinioni non avrebbero potuto incidere su beni giuridici fondamentali proprio per l’impossibilità che, in un certo senso, tali opinioni si diffondessero a contesti in grado di recepire fatti eversivi di incitamento alla violazione della legge penale con conseguenze dannose per l’ordine pubblico. Oggi, finalmente, si afferma che l’importanza di questi fatti, della manifestazione di un pensiero sia pure proibito, è di rilevanza penale se avviene in pubblico e che, soprattutto, si debbano compiere condotte di incitamento e di istigazione all’odio, a fatti di sovversione, ossia categorie che il nostro diritto penale conosce. Non è assolutamente vero, infatti, che si tratta di categorie sconosciute, perché i delitti contro la personalità dello Stato come contro l’ordine pubblico sono ricche di elementi di questo genere. Sui  temi caldi che riguardano la libertà di valutazione, la coscienza e soprattutto la libera manifestazione del pensiero inevitabilmente si reclama che in taluni contesti potrebbe rivelarsi la necessità che determinate ipotesi, determinate verità storiche possano anche essere riviste alla luce di emergenze certo non collocabili all’interno delle categorie criminose della istigazione a delinquere e dell’incitamento all’odio razziale, ovvero ad altre forme criminose di questo genere”. 

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