DSA, eccesso di diagnostica in Italia? Cassazione: psicologo a scuola senza consenso è violenza privata.

Negli ultimi anni, i continui cambiamenti legislativi riguardanti la scuola hanno portato ad un proliferare di sigle fra le quali può essere difficile districarsi come ad esempio PDP, BES, DSA. In particolare i DSA, ossia i disturbi specifici dell’apprendimento, sono una categoria di disturbi in cui rientrano dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia e vengono diagnosticati da psicologi e/o neuropsichiatri o eventualmente da altre figure come, ad esempio, il logopedista. La loro diagnosi è di competenza del personale sanitario. In tale contesto clinico si cercherà di comprendere le caratteristiche della persona, punti di forza e di debolezza, eventuali altre difficoltà associate, in base alle quali la scuola dovrà adottare le strategie didattiche opportune e dovrà elaborare un piano didattico personalizzato (PDP). Al giorno d’oggi molti bambini vengono etichettati come DSA. Una volta sarebbero stati definiti semplicemente “birichini” o “monelli”? Esiste un’ossessione da neuropsichiatria? Stiamo vivendo un’epoca di eccesso di diagnostica neuropsichiatrica? Le nuove generazioni sono classificate con sigle indicative di malesseri neuropsichiatrici, con tutte le conseguenze e i danni che ne possono derivare, negli anni a seguire. Il loro percorso scolastico, ed anche lo sviluppo personale e sociale, potrebbe essere compromesso dall’etichetta di bambini “problematici” che si appone loro con tanta facilità, in un’età così critica. La Cassazione, che recentemente è stata chiamata ad intervenire sull’argomento, con la sentenza n. 40291/17 ha rafforzato i dubbi di legittimità su alcuni aspetti della Legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico.”, già criticati da più parti in relazione al rischio di medicalizzazione della scuola. Secondo la Cassazione, Sez. V Penale, infatti, la mancanza dell’esplicito consenso da parte di chi è legittimato a prestarlo “integra certamente una compressione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo”. Con l’assunto “Il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di determinazione e di azione la parte offesa (fra le tante pronunce, si veda Sez. V n. 11522 del 03/03/2009 …). Tale principio trova rispondenza in altre pronunce di questa Corte, secondo cui l’elemento della violenza nel reato di cui all’art. 610 c.p. si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione (Sez. V n. 4284 del 29/09/2015, …)” la Cassazione ha riconosciuto nella presenza dello psicologo a scuola senza il consenso del genitore la configurabilità della violenza privata, riaffermando il rispetto della responsabilità genitoriale. In particolare, nel caso specifico sarebbe stato disposto un trattamento sanitario su minori, un’osservazione medico-clinica, senza il consenso dei genitori, in assenza sia di ragioni di urgenza sia di finalità terapeutiche, con lesione dell’integrità psichica dei minori e con ingiusta compressione al libero esercizio della potestà genitoriale. Potendo pacificamente affermare, inoltre, in tema di violenza privata, che la violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza impropria, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione. Inoltre, la relazione redatta dalla psicologa costituisce atto pubblico, in quanto documenta l’attività di osservazione degli alunni compiuta dalla psicologa dell’istituto, che, in tale veste, ha funzioni di pubblico ufficiale. Pertanto, il reato di occultamento nonché di omessa denuncia di cui agli artt. 490 e 361 c.p. possono dirsi sussistenti, al contrario di quanto sostenuto dal Giudice di primo grado. Alla luce di quanto motivato, la Cassazione ha annullato il proscioglimento del Gip di Arezzo nei confronti di due dirigenti scolastici, due insegnanti e della stessa psicologa, portati in causa dai genitori di un bimbo con presunti problemi comportamentali. Gli insegnanti avevano chiesto, senza aver preventivamente informato i genitori e/o aver chiesto loro alcun tipo di consenso, la consulenza del medico durante le ore di lezione per osservare l’atteggiamento relazionale dell’alunno. Al termine dell’analisi durata due mesi, il medico aveva stilato una relazione della quale i genitori erano venuti a conoscenza solo a fine anno scolastico, durante un colloquio con l’insegnante. In seguito, è stata negata loro la richiesta di accesso agli atti, come anche l’esistenza stessa della relazione, da entrambi i dirigenti scolastici succeduti negli anni interessati. La sentenza ha riscosso l’approvazione di cittadini, docenti e dirigenti, associazioni a tutela dei minori e genitori ed anche dello stesso Ordine degli Psicologi, che in una nota si è espresso affermando che “la Corte di Cassazione, con la sentenza 40291/17, ha ribadito quanto è già previsto nelle procedure professionali degli psicologi, i quali operano sempre nei contesti minorili col consenso dei genitori e nell’esclusivo interesse del minore. Non è ammissibile infatti in alcun modo che altre figure, dirigenti e/o insegnanti, possano avvalersi dell’osservazione in via precauzionale da parte dello psicologo per la valutazione clinica di un minore. I genitori (e, nel caso, il tutore) sono gli unici responsabili del percorso di crescita del minore all’interno di regole ben condivise. E poi, ogni osservazione clinica di un minore poggia, e si completa, sulla necessaria contestualizzazione familiare che solo il colloquio con i genitori può fornire”. E’ evidente, dunque, sia sorta la necessità di un intervento di condanna all’approccio medicalizzato che ha investito la scuola a seguito della legge n. 170/2010 sui DSA. La sentenza della Cassazione rappresenta la rivendicazione di un principio secondo il quale il rispetto della genitorialità è fondamentale, in una scuola deputata a istruire e formare le future generazioni e non a distruggerle, minandone l’autostima. La scuola dovrebbe essere in continua evoluzione per potersi adattare, compensare e far fronte al bisogno del singolo alunno e, attraverso l’inclusione dell’individuo, dovrebbe adoperarsi per garantire agli alunni con specifiche difficoltà il raggiungimento degli standard minimi di autonomia personale, con validi strumenti di lavoro, come programmi personalizzati, nel pieno rispetto delle situazioni individuali e dei diversi stili di apprendimento che caratterizzano i diversi individui.

                                                                       Avv. Lucia Boellis

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