[#Games] Pony Island ad un anno di distanza, la recensione

Nome: Pony Island

Genere: Scorrimento orizzontale, Sparatutto, Puzzle

Sviluppatore: Daniel Mullins Games

Piattaforma: Steam

Pony Island è stato un pensiero fisso (anche se recondito) dal momento in cui è stato pubblicato attraverso Steam GreenLight. Avevo già sentito parlare sui network underground delle sue stranezze, ma non ero riuscito fino ad ora ad approcciarmi ad esso. Nato per una Jam di 48h, la Ludum Dare Game Jam, la sua fama ha costretto Daniel Mullis a continuare lo sviluppo fino al rilascio effettivo sulla piattaforma di Gabe. Humble Bundle ha messo questo titolo nei suoi pacchetti e non potevo non sfruttare l’occasione di giocarci.

Storia: 8,5

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Quando ci si approccia a videogame con tematiche adulte si ha sempre quell’atmosfera di pesantezza e angoscia, quell’aria di criptica filosofia esistenzialista che complica le cose fino a rendere la storia una matassa ingarbugliata e intricata, in cui il giocatore, dopo circa 20-30 ore di gioco, riesce a fare il primo passo nella trama.

Certo, negli indie di ultima generazione stiamo trovando un’inversione di marcia, ma in generale la pesantezza è palpabile. Pony Island si pone in maniera diversa: è un esperimento di Storytelling videoludico che non si vedeva dai tempi dei flash games di Edmund McMillen (raccolti poi nella Basement Collection per Steam), che facevano della loro semplicità il mezzo per una storia ricca di tematiche e angoscianti retroscena.

Si presenta così semplice, quasi infantile: un uomo in una sala giochi si avvicina ad un cabinato ed inizia una partita a Pony Island, un gioco in cui non bisogna fare altro che correre e saltare degli ostacoli. Già dai primi step iniziamo a scoprire l’inquietante verità: il programmatore del gioco è il diavolo e desidera l’anima dei giocatori per dimostrare quanto sia bella la sua creazione.

Gameplay: 8,5

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Impersoniamo per quasi tutto il gioco un piccolo pony che salta, vola e spara laser di codice binario dalla bocca; il resto è intervallato da varianti di puzzle game e minigiochi che cambiano lo stile del sistema e del gameplay. Si ha perfino la possibilità di messaggiare con Lucifero e con il Profeta della salvezza per scoprire segreti e visioni. Tutto è funzionale, semplice e immediato in una quasi completa mancanza di HUD e un’assenza quasi totale dell’utilizzo della tastiera.

La periferica usata infatti è per il 90% mouse, come ci suggerisce il disclaimer all’inizio, e con esso avremo modo di esplorare gli anfratti del gioco e di trovare la chiave di volta della storia. Interessanti alcune scene che utilizzano delle tecniche considerabili di MetaGameplay, che cerca di sfruttare innovazioni visive e stratagemmi informatici per far cadere il giocatore in tranelli e trappole.

Grafica: 8

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La buona parte del gioco è in WireFrame, quella tecnica grafica che delinea le silhouette con righe e forme geometriche rudimentali. Questo stile retrò si sposa molto bene con sezioni più evolute e ancora meglio con la struttura della storia, riuscendo a rapportare in modo significativo la malvagità del gioco ed il suo aspetto satanico. Questo però non è da considerarsi come una limitazione degli sviluppatori, in quanto il gioco tende ad evolvere anche l’aspetto grafico, ad integrare sezioni colorate e perfino sezioni in 3d. Il Motore Grafico utilizzato è uno dei più in voga negli ultimi anni ed ha reso possibile la creazione di un titolo dinamico ma, allo stesso tempo, omogeneo nei diversi stili.

Musica & Audio: 7

Jonah Senzel è il compositore e musicista. I toni di Pony Island sono variabili e mutevoli proprio come il gioco stesso, ma Jonah è riuscito a creare molti temi musicali, ognuno adatto alla sezione, amalgamandoli con il gameplay a tal punto da creare delle basi ritmiche in alcune scene. Gli effetti sonori per lo più sono presi da Freesounds, ma questo non rende minore lo sforzo del compositore! Alla fine la libreria sonora di un gioco in stile retrò è molto esigua e sicuramente gli avrà fatto risparmiare molto tempo.

Alla Fine Dei Conti:

Pony Island è un gioco che scende giù come un cocktail spacciato per analcolico. Scende come acqua fresca, ma lascia il bruciore per lunghi attimi. Fa riflettere sulla programmazione dietro i videogiochi e sullo sforzo emotivo e fisico che ne deriva; cerca di parlare al giocatore demonizzando il ruolo di programmatore, ma al contempo passa ad esso tutta la sofferenza nel creare contenuti innovativi, diversi ma insieme contestuali. Tutto è riassumibile in effetti con la modalità principale e in fondo metafora della programmazione videoludica: Corri come un pony cercando di saltare gli ostacoli ed eliminare i bug solo per arrivare al traguardo finale: l’apprezzamento delle povere anime dei videogiocatori.

“Se i giocatori mi dicessero che gli piace non ruberei le loro anime” cit. Satana

Daniele Ink Ferullo

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