26 ore in sella ad una bici. Paolo Mazzei primo atleta calabrese con patologia a vincere l’Everesting

COSENZA – Una sfida impegnativa per qualsiasi ciclista professionista, quasi proibitiva per un atleta affetto da patologia. E’ l’Everesting,  prova di resistenza su due ruote che si ritiene superata solo dopo aver accumulato 8,848 m di ascesa (misura pari all’altezza dell’Everest) su qualsiasi collina, picco o montagna del mondo. Per farlo si ha a disposizione un solo tentativo – solitamente sono necessarie circa 24 ore – e non ci si può quindi fermare. Sono permesse delle pause, ma solo per mangiare, bere, ricaricarsi un attimo

Dunque, un’impresa affascinante e decisamente ardua ma le difficoltà non hanno fermato il ventottenne Paolo Mazzei, sportivo e ciclista affetto da IICB (Insufficienza intestinale cronica benigna) che lo scorso 22 settembre è diventato il primo corridore calabrese affetto da patologia a scrivere il suo nome nella Hall of Fame di Everesting Italy con 331 km. Suo compagno di avventura è stato il ciclista Antonio Di Cello (341 km). I due hanno superato la prova percorrendo per 15 volte il tratto Passo Aquabona – Magolà, nel catanzarese, in 26 ore e 29 minuti, con 9000m di dislivello. Paolo Mazzei

L’AVVENTURA DELL’EVERESTING – L’INTERVISTA

Quanto è stato importante per te vincere l’Everesting?

Ha rappresentato un esperimento, la mia “rivoluzione” contro l’IICB, una rara insufficienza d’organo, tale da richiedere una terapia salvavita: “la nutrizione parenterale domiciliare”. L’Everesting richiede tanta energia fisica, che in teoria dovrebbe andare in forte contrasto con la IICB. Mi sento molto soddisfatto del risultato, sia come atleta che come laureando in scienze motorie. E questo esperimento sarà contenuto nella mia tesi di laurea. 

A “scalare” l’Everesting non eri da solo. Con te c’era il tuo compagno d’avventura Antonio Di Cello. In una prova così lunga e dura l’alleato è importante… 

Antonio ha iniziato a pedalare solo 4 anni fa, nella vita fa tutt’altro, fa il fabbro. Ora alla soglia dei 52 anni ha deciso di accompagnarmi in questa grande sfida. Una prova di ultracycling richiede molta preparazione, con lui abbiamo stilato un programma dall’allenamento intelligente che ha praticato con sacrificio nel dopolavoro, e questo lo ha portato a raggiungere l’obiettivo. Sono orgoglioso perché oltre ad essere il mio compagno di squadra è anche il mio super zio. Everesting Italia

Avevi tentato questa prova proibitiva già lo scorso 30 agosto e non era andata bene. Cos’è cambiato questa volta?

Ho praticato lunghi digiuni con allenamenti di durata simile alla metà della prova effettiva. Ciò mi ha reso consapevole e fiducioso delle mie spiccate capacità di produrre energia con il meccanismo ossidativo, per cui ho ridotto la quota di carboidrati liquidi e sali minerali che se usate oltre certe tempistiche non erano per nulla tollerate dal mio intestino cosi danneggiato. 

Ma superare l’Everesting è solo una questione di fisiologia umana? Quanto conta l’aspetto mentale?

Tutto parte dalla testa e da quanto si desidera fare una determinata cosa. Nel mio particolare caso è stata determinante non per la qualità della performance ma nella riuscita della prestazione in correlazione alla patologia e al messaggio che ne deriva. Per quanto riguarda la percezione di fatica questa dipende obiettivamente dal grado della preparazione fisica dell’individuo nell’affrontare questo tipo di prove.

Infine raccontaci qualcosa sulla nuova sfida già intrapresa, il progetto “la rarità su 2 ruote”?

Paolo MazzeiÈ un progetto ideato da me ed elaborato dall’associazione “Un filo per la vita” dedicato a chi vuole praticare sport a livello agonistico ed è affetto da patologia rara, da poco approvato per il programma europeo erasmus+sport presso la EACEA. La mia prova Everesting è legata a questo e il mio messaggio è rivolto a giovani e anziani con patologia e non. Lo sport dev’essere per tutti, lo sport è vita! Impegnarsi fino in fondo e raggiungere gli obiettivi non è per nulla semplice, i campioni nascono con il duro e costante lavoro.

LA STORIA DI PAOLO MAZZEI

Da speranza del ciclismo calabrese come atleta militare, a testimonial per il riconoscimento come atleti paraolimpici degli atleti affetti da malattie rare, come l’IICB, per consentire loro di competere a livello internazionale, la vita di Paolo Mazzei cambia una sera di aprile di cinque anni fa quando era ancora un soldato del 17° Reggimento Artiglieria Controaerei Sforzesca di Sabaudia e una promessa del ciclismo ad un passo dal professionismo. Quella sera sta per iniziare il suo turno di Strade Sicure quando viene colto da un malore: un dolore lancinante a livello dorsale e a carico dello stomaco che si scoprirà essere dovuto a un infarto massivo del tenue mesenteriale. Sottoposto a intervento di resezione di un’ampia parte dell’intestino tenue (che si traduce in sindrome dell’intestino corto, malattia neppur riconosciuta a livello previdenziale), Paolo per quasi un anno deve portare la sacca per stomia. Deve lasciare l’Esercito e torna a vivere in Calabria, ricominciando dall’affetto della sua famiglia e dal grande amore per il ciclismo. Dopo un secondo intervento di allungamento dell’intestino, ha ricominciato la sua carriera ciclistica, anche se a livello amatoriale. Ha riformulato i suoi traguardi da atleta sano ad atleta affetto da patologia e spesso corre insieme ai suoi compagni di “Un filo per la vita”, associazione italiana IICB sulla nutrizione artificiale domiciliare.

 

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