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“Sistema Rende”, Sandro Principe rinviato a giudizio

CATANZARO -Sono quattro le condanne, quattro i rinvii a giudizio e due le assoluzioni nell’inchiesta “Sistema Rende”, condotta dall’allora pm di Catanzaro Pierpaolo Bruni, oggi procuratore di Paola. Sandro Principe, ex assessore regionale e già sindaco di Rende, è stato rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata dalle modalità mafiose. Stessa decisione anche per un altro ex sindaco di Rende, Umberto Bernaudo, e per l’ex consigliere provinciale di Cosenza Pietro Ruffolo. Per tutti e tre è stato disposto il non luogo a procedere per un capo di imputazione relativo a episodi di corruzione elettorale.A processo, inoltre, Giuseppe Gagliardi, ex assessore comunale di Rende, che dovrà rispondere di corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose. Non luogo a procedere invece, sempre per Gagliardi, per l’accusa di corruzione. Per loro il processo inizierà il prossimo 12 giugno.

Arresti Rende, i magistrati: “Minate le regole democratiche”

CATANZARO – “Un sistema fortemente inquinato dalla criminalità organizzata, un’amministrazione pubblica piegata agli interessi del clan”. Così il procuratore facente funzioni di Catanzaro Giovanni Bombardieri ha sintetizzato il quadro emerso dall’inchiesta che ha portato all’arresto di dieci persone tra politici e affiliati alla cosca di ‘ndrangheta Lanzino-Ruà, egemone in provincia di Cosenza. I particolari dell’operazione sono stati resi noti durante una conferenza stampa cui hanno partecipato, oltre a Bombardieri, l’aggiunto Vincenzo Luberto, il comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza, col. Fabio Ottaviani, e il maggiore Michele Borrelli. L’inchiesta, condotta da Luberto e dal pm Pierpaolo Bruni, si è avvalsa di intercettazioni telefoniche e ambientali, dichiarazioni di alcuni collaboratori e racconti forniti da soggetti interni al Comune di Rende, funzionari e politici, sentiti dagli inquirenti come persone informate sui fatti. Ciò avrebbe consentito di ricostruire “la sistematicità di condotte illecite” in un periodo di tempo che va dal 1999 al 2014. I politici coinvolti avrebbero garantito, in cambio di voti, concessioni, appalti e assunzioni agli esponenti del clan Lanzino-Ruà. Al centro del “sistema Rende” vi sarebbe stata la cooperativa “Rende 2000”. “La coop – ha detto Bombardieri – era completamente in mano alla cosca, tanto che parte delle retribuzioni veniva versata nella ‘bacinella’ per le spese del clan”. L’ex sottosegretario al Lavoro Sandro Principe, anche dopo aver lasciato il ruolo di sindaco, avrebbe continuato a “influenzare fortemente l’agire dell’amministrazione”. Vittorio Cavalcanti, che lasciò prima della fine del mandato la poltrona di primo cittadino, “ha riferito – ha detto Bombardieri – delle forti pressioni subite da parte di Principe, che voleva continuare a dirigere l’amministrazione convocando autonomamente i funzionari e addirittura impendo al sindaco in carica di prendere la parola in un dibattito pubblico. Le ‘regole rendesi’ dovevano continuare a essere rispettate”. Bombardieri ha poi citato l’intercettazione in cui Cavalcanti, sfogandosi con la moglie per i continui interventi di Principe, esclama: “Mi dice che devo fare il sindaco e non il procuratore. Vorremmo – ha aggiunto il procuratore – che i sindaci facessero le persone oneste e che si occupassero del bene comune dei cittadini in modo da evitare l’intervento della magistratura”. Di “mercificazione del pubblico” ha parlato Luberto. “Ci sono conversazioni – ha detto – che offrono uno spaccato terribile della frustrazione dell’interesse pubblico. Le assunzioni venivano gestite in collusione con il clan, i manifesti elettorali venivano affissi dai lavoratori socialmente utili delle coop coinvolte nell’inchiesta. Questa è stata la realtà di Rende”. Soddisfazione per l’esito del lavoro investigativo è stata espressa da Ottaviani. “Questa indagine – ha detto – va a svelare l’atto più grave che possa commettere la criminalità organizzata, quello di minare il diritto dei cittadini a governarsi secondo le regole democratiche”.

Arresti Rende, le cantate dei pentiti che hanno inguaiato i politici

CATANZARO – Sono state le dichiarazioni di alcuni pentiti ad imprimere una svolta nelle indagini condotte da pool della DDA composto dai magistrati Bombardieri, Luberto e Bruni e che ha portato all’arresto di alcuni esponenti politici di spicco della città di Rende e ad elementi organici al clan Lanzino-Ruà. Secondo quanto riferito dallo stesso procuratore Bombardieri nel corso di una conferenza stampa che si è da poco conclusa a Catanzaro, in procura, nel corso delle indagini gli investigatori sono stati guidati anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Si tratta di Pierluigi Terrazzano, Roberto Violetta Calabrese e Adolfo Foggetti, tutti esponenti apicali della cosca Lanzino-Ruà. In particolare, Pierluigi Terrazzano, in un verbale di interrogatorio del 27 dicembre 2012, racconta un incontro presso le piscine di Quattromiglia di Rende, in occasione della campagna elettorale per l’elezione a sindaco di Rende nel 2011, con Sandro Principe e il fratello di un dirigente comunale che non è indagato, ma è indicato dal pentito come “vicino ad ambienti massonici e politici”. Adolfo D’Ambrosio, considerato elemento di spicco della cosca Lanzino-Ruà, avrebbe chiesto 100.000 euro per sostenere la candidatura di Sandro Principe lle regionali del 2010. La frase è stata intercettata nel carcere di Cosenza, durante un colloquio tra lo stesso D’Ambrosio, detenuto, e il figlio Aldo, avvenuto il 12 marzo 2014. «L’operazione contro la cosca di Rende e i politici della città del Cosentino, tra i quali l’ex sottosegretario di Stato, Principe, evidenzia, dunque, non solo favori e assunzioni, ma anche l’elargizione di denaro» hanno messo in evidenza i maistrati.