Il coraggio delle parole: come le scrittrici italiane riscrivono il mondo

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C’è un filo che lega molte donne in Italia oggi, non è un movimento organizzato, né una campagna, eppure attraversa librerie, piazze, redazioni, social, è la scelta, sempre più esplicita, di prendere parola. Michela Murgia di questo cambiamento silenzioso ma profondissimo è stata una delle prime scintille: una voce che ha dimostrato che una scrittrice può essere, senza mediazioni, un soggetto politico e che la cultura è il luogo dove si allena la democrazia.

Una nuova generazione che non abbassa lo sguardo

Oggi un numero crescente di autrici italiane appare nel dibattito pubblico con una naturalezza che fino a pochi anni fa era impensabile. Non perché siano diventate più “coraggiose”, ma perché hanno smesso di credere a quel vecchio copione che pretendeva da loro discrezione, dolcezza, prudenza.
Vuoi parlare di potere? Vuoi parlare di denaro, di diritti, di violenza, di ingiustizia?
Per decenni la risposta è stata: “Se proprio devi, fallo piano”. Ora quel piano si è trasformato in un volume che nessuno può più fingere di non sentire.

Non sono “opinioniste”, non sono “commentatrici”: sono autrici che arrivano nel dibattito con tutto ciò che la loro scrittura porta con sé, complessità, memoria, conflitto, ironia, esperienza. Parlano da donne, sì, ma soprattutto da cittadine che vivono nel mondo reale e hanno smesso di accettarlo così com’è.

Quando la letteratura diventa una casa dove riconoscersi

Il contributo più rivoluzionario di queste scrittrici non è nei toni polemici, ma nei gesti sottili: raccontare ciò che per anni è rimasto fuori campo.
La fatica del lavoro che non basta, la maternità che non somiglia alle pubblicità, i silenzi che inghiottono la violenza quotidiana, i corpi che cambiano, le relazioni che non seguono i manuali.
Mettono sulla pagina quello che tante donne vivono, e lo fanno con una sincerità che è quasi sfrontata. Ed è proprio questa sincerità che diventa politica. Perché, quando un’esperienza diventa raccontabile, diventa anche discutibile e quando diventa discutibile, può diventare cambiamento.

La forza della voce: dal romanzo ai microfoni

Non basta più scrivere un libro. Molte hanno scelto di parlare dove il pubblico ascolta davvero: podcast, festival, dirette, scuole, circoli. Non per “fare audience”, ma per allargare il perimetro della cultura. La loro presenza trasforma i luoghi del dibattito pubblico: dove prima c’era un linguaggio tecnico, ora c’è un linguaggio più umano; dove prima si parlava di “categorie”, ora si raccontano storie; dove prima si temeva la complessità, ora si accoglie. E sì: non mancano gli attacchi, gli insulti, la fatica di essere esposte, ma queste scrittrici non arretrano. Non perché amano la battaglia, ma perché hanno capito che restare in silenzio costa molto di più.

L’eredità che non cerca monumenti

La morte di Murgia ha avuto un effetto singolare, invece di generare un vuoto, ha rivelato una rete. Una comunità di autrici, lettori, lettrici, attiviste, studiosi che già esisteva, ma forse non si riconosceva abbastanza. Un’eredità non è qualcosa da conservare gelosamente è qualcosa che cresce, che si moltiplica, e oggi quell’eredità sta prendendo forma nella pluralità delle voci femminili che abitano il discorso pubblico: diverse, non sempre d’accordo, ma finalmente visibili. Finalmente legittime.

La politica che non si vede ma si sente

Non è corretto dire che queste scrittrici “influenzano la politica”. È più giusto dire che stanno cambiando il modo in cui guardiamo il mondo e quando cambia lo sguardo, prima o poi cambia tutto il resto. Stanno modificando l’immaginario, e l’immaginario è la parte più politica che possediamo: quella da cui nascono idee, convinzioni, scelte collettive.
In un Paese che per anni ha ridotto la voce delle donne a nota a margine, oggi sono proprio le scrittrici a riportare il centro di gravità sulla vita reale, sulle emozioni, sulle ferite e sulle possibilità.

Ed è forse questo che dà più fastidio, la scoperta che la lucidità può avere un timbro femminile, e che quel timbro non solo è autorevole, ma è necessario.