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L’agricoltura a tinte rosa

CAMPORA SAN GIOVANNI (CS) –  Sempre più donne stanno prendendo in mano un mestiere considerato per molto tempo fin troppo maschile, donne che sfidano un mercato che cambia continuamente attraverso la formazione in un settore che diventa rosa, l’agricoltura.

Maria Procopio vive in un posto a 200 metri sopra il livello del mare dove è possibile sentirne il profumo, a Campora San Giovanni in provincia di Cosenza e qui ha un piccolo allevamento di capre Sanen e nelle sue mani il loro latte si trasforma in buonissimi formaggi.

Maria è una donna orgogliosa di quello che ha scelto di fare e ogni giorno, da quando il sole si sveglia da dietro le montagne fino a quando non ritorna a nascondersi tra le onde, fiera rivendica la responsabilità presa nei confronti della natura, ne rispetta i ritmi e i tempi con cura e nel legame di reciprocità che è riuscita a creare con la vita ha dato forma a una realtà autentica fatta di impegno, dedizione e amore.

Ci racconta come nasce l’idea di avviare un’attività di produzione e vendita di formaggi caprini?

Dopo tanti anni a Torino con mio marito decidiamo di ritornare in Calabria, lui con il suo lavoro e io dopo la visita in un’azienda che allevava capre rimango affascinata da quelle caprettine bianche di razza Sanen e decido di comprarne 20, inconsapevole di quello a cui andavo incontro. Dopo l’acquisto delle capre decido di frequentare la scuola di arte casearia a Moretta e imparo a fare il formaggio. Mi specializzo in diversi caseifici, persino in Francia perché il latte delle mie capre è molto delicato e non si presta alla lavorazione della tradizione calabrese. Una volta prodotto il formaggio bisognava venderlo ma i clienti non erano ancora abituati al gusto di questi caprini, che sono diversi da quelli della tradizione calabrese, quindi ho deciso di provare con la vendita diretta in modo da poter raccontare i miei formaggi, passo dopo passo, nel momento dell’assaggio e poi di distribuirli in alcuni negozi specializzati. Questa avventura sta andando discretamente bene.

Come si articola una sua giornata tipo?

Non esiste una mia giornata tipo, dipende se vado ai mercatini oppure al caseificio. Sveglia sempre molto presto e il pomeriggio dedico molto tempo alla stalla. Per avere un buon latte è necessario garantire alle capre il giusto benessere.

Cosa l’affascina più del suo lavoro?

Mi affascina il mondo del latte, quando lavoro può sembrare strano ma riesco ad emozionarmi nel pensare che tutto il latte che c’è in caldaia è stato filtrato dalle mammelle delle mie capre e quindi lo tratto con amore. E’ incredibile come variando anche solo in modo infinitesimale la temperatura, la quantità di caglio o il modo in cui lo lavoro cambia totalmente il prodotto finito. Poi mi piace anche l’impatto con il consumatore.

C’è qualcuno che l’aiuta o fa tutto da sola?

In azienda siamo 3 persone, mio marito che cura prevalentemente le consegne e mi aiuta un po’ in caseificio, un operaio indiano che si occupa della stalla e poi ci sono io che mi occupo del caseificio, della stalla e della contabilità.

L’imprenditoria agricola femminile secondo lei può diventare un’eccellenza?

Ne sono assolutamente convinta.

Gaia Santolla

Quando la passione diventa lavoro a tempo pieno

Annalisa, Simona, Susanna e Sissi

COSENZASe una laurea in economia, un lavoro in azienda, il trasferirsi in una diversa città piena di stimoli e nuove occasioni non bastano per sentirsi veramente soddisfatti e realizzati l’unica cosa che resta da fare è armarsi di coraggio e seguire la passione, quell’unica passione che ti appartiene a tal punto da definirti nella tua interezza.

Questo è quello che hanno fatto Annalisa Gallo, Simona Florio e Susanna Tosti tre giovani donne, tre colleghe ma soprattutto tre amiche che hanno fondato a Cosenza l’Associazione no profit risPETtiamoci, la prima dove si pratica la pet teraphy, conosciuta anche come terapia dolce, che fonda la sua efficacia terapeutica su una profonda interazione, sullo scambio di emozioni e affetto tra paziente e in questo caso specifico i cani.

Annalisa, Simona e Susanna svolgono ogni giorno un lavoro eccezionale perché danno forma a quel tipo di bellezza che viene fuori solo quando l’amore si unisce ad altro ma il vero fulcro dell’Associazione sono loro Waka, Sissi, Piero e Poldo, i cuccioli che quotidianamente senza mai stancarsi aiutano chi ne ha bisogno andando oltre le differenze senza giudicare, accolgono tutti senza riserva alcuna con quella dedizione e fedeltà che li rende unici.

In cosa consiste esattamente il vostro lavoro?

Simona Il nostro lavoro è un po’ speciale, i pet operator hanno sì un protocollo tecnico da seguire, ma lo strumento necessario affinché un nostro intervento sia davvero efficace è l’empatia. E non mi riferisco solo la nostra, ma anche e soprattutto quella dei nostri co-terapeuti a quattro zampe. Noi siamo i mediatori tra l’utente ed il cane, facciamo in modo, attraverso precise attività, che il loro rapporto diventi funzionale al raggiungimento di obiettivi precedentemente concordati con il medico e o con l’insegnante di sostegno.

E’ stato difficile portare una realtà come quella della pet therapy  in una città come Cosenza?

Annalisa All’inizio, con nostro grande stupore, abbiamo potuto riscontrare la grande disponibilità da parte delle istituzioni che ci hanno supportato in tutto, dandoci anche una sede comunale gratuita, permettendoci di dare avvio alla nostra attività. Per noi la battaglia che ci troviamo ad affrontare quotidianamente è la grande diffidenza e la titubanza, alcune volte anche la paura, con cui le persone vivono l’approccio con gli animali. Inoltre c’è da dire che ancora in Calabria la Pet Therapy è una realtà poco diffusa e poco conosciuta e quindi ancora il cammino da fare per far capire e conoscere i benefici di questa co-terapia è lungo.

Con quali mezzi riuscite a portare avanti la vostra attività?

Susanna Questa, forse, è la parte più problematica della nostra attività. La nostra associazione è no profit e come tale viene sostenuta attraverso contributi volontari e mezzi propri.

Vi va di raccontarci un caso emblematico in cui il vostro intervento è stato particolarmente utile?

Poldo e Waka

Annalisa Ricordo con particolare piacere l’esperienza con un bambino affetto da sindrome di Asperger con evidenti difficoltà motorie, all’inizio della terapia non riusciva a tenere nulla in mano, neanche ad impugnare una penna e alla fine siamo riuscite ad avere risultati eccezionali, il bambino riusciva a tenere dei piccoli oggetti in mano, riusciva prendere dei croccantini e a farli mangiare al cane e riusciva a portare a spasso il cane impugnando perfettamente il guinzaglio.

Simona RisPETtiamoci è stata la prima associazione di pet therapy a portare i propri cani nelle scuole del territorio e a sviluppare, di concerto con gli insegnanti di sostegno, progetti dedicati agli alunni diversamente abili. Uno di loro, bambino di 7 anni affetto dalla sindrome di Williams, ha sin da subito creato con Sissi, dolcissima cagnolina meticcia di 2 anni impiegata nella pet therapy da un 1 anno, un feeling speciale.  Il bambino già dopo qualche incontro ha aumentato le capacità attentive e di concentrazione, dapprima solo in presenza del cane e in seguito anche in classe. Ha migliorato la postura e, di conseguenza, la deambulazione. Questa esperienza è stata un ottimo esempio di come un bimbo attraverso lo stimolo e la motivazione giusti, rappresentati dal cane, riesca ad ottimizzare le proprie capacità e dunque a migliorare la qualità della vita.

Susanna Sono stati tanti i casi che ricordo con piacere per la buona riuscita, la pet therapy fa bene davvero a tutti . Ma ricordo un caso di un bambino autistico, con molti problemi di ansia e aggressività, nonché tanta paura nei confronti dei cani. Siamo riuscite ad avere grandi risultati giorno dopo giorno, il bambino inizialmente, in maniera assolutamente spontanea, si è avvicinato al cane facendolo diventare il suo migliore amico e il mezzo attraverso il quale riuscire a controllare le proprie emozioni. Le nostre sono esperienze difficili da raccontare, andrebbero vissute per capire di cosa parliamo effettivamente.

Nella vostra storia personale quanta importanza hanno avuto i cani?

Annalisa Un’importanza enorme, sono i nostri compagni di vita e di lavoro e grazie a loro riusciamo a sentirci complete e realizzate. Nello specifico il mio amico a quattro zampe è entrato nella mia vita in un momento di grande sconforto, confusione ed incertezza sul futuro e mi ha dato la motivazione e l’entusiasmo necessario per reinventarmi, avere la voglia di rimettermi in gioco e fare di una mia passione un vero e proprio lavoro.

Simona Le mie due dolcissime cagnoline sono le mie compagne. Proprio loro mi hanno permesso di intraprendere questo percorso. Sono cagnoline dolci, equilibrate e tranquille, non hanno paura delle sedie a rotelle, dei deambulatori e si avvicinano naturalmente a persone che non conoscono. In realtà la gran parte del lavoro di pet therapy è svolto proprio da Sissi e Waka: loro mettono il contenuto emozionale e istintivo, io sono solo uno strumento che valorizza queste loro naturali capacità.

Susanna Sono cresciuta sempre con la presenza di cani nel nucleo familiare. Non potrei mai pensare di vivere senza. Sono compagni di gioco, responsabilizzano, non giudicano difetti fisici o psichici e amano a prescindere, sono compagni di vita.

Poldo e Piero

Ci illustrate un esempio di un vostro intervento tipo?

Simona La pet therapy non ha un “intervento tipo” . Tutto dipende dalla tipologia di utente coinvolto nel progetto e dagli obiettivi che si vogliono conseguire. Le cose che non cambiano mai sono l’inizio e la fine del percorso di pet therapy. Ogni progetto inizia con la presentazione, anche solo visiva, dell’animale che, gradualmente, sarà introdotto nelle attività, è sempre l’utente che rivela la volontà di avvicinarsi fisicamente all’animale. Ogni progetto termina con abbracci, sorrisi e code scodinzolanti.

Secondo voi in che modo si può sensibilizzare l’opinione pubblica sulla pet terapy in quanto oggettivo e reale intervento terapeutico? 

Annalisa Con continue  operazioni di informazione e sensibilizzazione, con eventi sociali, con i progetti nelle scuole e dandone maggiore risalto attraverso i mezzi di comunicazione.

Susanna Noi stiamo lavorando per sensibilizzare l’opinione pubblica mediante la diffusione di informazioni attraverso diversi canali informativi, giornali, tv, interventi nelle  scuole, convegni, corsi. Il nostro scopo è quello di far capire alle istituzioni l’importanza dell’attività ed informare le persone e le famiglie della tipologia di aiuto esterno di cui potrebbero avvalersi. A volte bastano cose semplici per migliorare la vita di tutti. All’estero e nelle altre regioni d’Italia questa co-terapia  è già ampiamente conosciuta all’interno di istituti sanitari e diverse sono le organizzazioni che la praticano. E’ giusto che Cosenza e la Calabria si allineino al resto d’Italia riconoscendo questo tipo di attività.

Per maggiori info http://rispettiamoci.altervista.org/home.html Pagina Fb  Rispettiamoci Cosenza

Gaia Santolla

In fuga verso il futuro

COSENZA – Le valigie di cartone non ci sono più, sono state sostituite da confortevoli e pratici trolley e al bus notturno è subentrato l’Eurostar o il volo low cost prenotato all’ultimo minuto a 20 euro compresi di spese aeroportuali, ma per il resto la situazione è rimasta immutata quasi incancrenita per molti giovani del Sud. Per lavorare devi andare via non importa dove, l’importante è superare la zona rossa del Mezzogiorno e che tu sia un operaio ventenne o un laureato di trenta anni non c’è differenza perché il fenomeno e il dramma dell’emigrazione giovanile non risparmia nessuno e non accenna a diminuire anzi ogni giorno diventa l’emblema più significativo di una decadenza, tanto politica quanto morale, che uccide senza pietà sogni e speranze con l’arma di un biglietto di sola andata. E andar via diventa l’unico modo possibile per tutelare il diritto sacrosanto, più volte violato in questo periodo, di immaginare un futuro migliore contando solo sulla forza delle proprie passioni e capacità senza doverle rinchiudere in una scatola da conservare definitivamente in mansarda.

Francesca Falace ha 34 anni da Cosenza si è trasferita a Novara, 927.87 km la separano dai suoi affetti, dalla sua terra, è partita lasciandosi tutto dietro le spalle per non rischiare di accontentarsi, per iniziare una nuova vita portando con se non solo qualche piumone in più per affrontare il freddo pungente del Nord ma anche la speranza e la disillusione tipica di chi affronta un viaggio che sa potrebbe non avere ritorno.

Raccontaci brevemente di te, perché ti sei trasferita a Novara?

Sono stata da sempre una ragazza che si è impegnata molto, con tanta voglia di fare e imparare ma da circa un anno ho dovuto lasciare con rammarico la mia terra, perché purtroppo il Sud non mi ha offerto nulla a livello lavorativo o meglio ho dovuto fare i conti spesso con la consapevolezza che il più delle volte lavori solo se hai determinate conoscenze e non particolari capacità.

Ti piace quello che fai?

Si e anche molto, al momento lavoro presso una casa di riposo per anziani come operatrice socio-sanitaria e dopo tanti sacrifici per ottenere questa qualifica ora mi sento quasi in dovere di ringraziare il Nord per avermi dato la possibilità di lavorare ed essere apprezzata solo per la mia professionalità.

Come sei riuscita a trovare questo lavoro?

Nel più classico dei modi, consegnando il mio curriculum in più strutture possibili, facendo continui colloqui e incrociando le dita tutte le volte.

Cosa ti manca e cosa non della tua città?

Della mia terra mi manca tutto, principalmente la mia famiglia ma se c’è una cosa che non mi manca per niente è la corruzione che è forse ciò che più di ogni altra cosa mi ha costretto alla fuga.

Quali sono le differenze tra il vivere del Nord e il vivere del Sud?

La principale differenza tra Nord e Sud è la concezione propria  del lavoro dalla quale poi dipende tutto il modo di affrontare la vita.

Hai intenzione di ritornare in Calabria?

Vorrei tanto ma tanto ritornare nella mia terra ma sono troppe le difficoltà che mi scoraggiano a farlo, so che le prospettive a lungo termine sono poche per non dire nulle e so che non si può vivere di sola speranza e se le cose non cambiano non credo farò rientro molto presto.

“Un immigrato è qualcuno che non ha perso niente, perché lì dove viveva non aveva niente. La sua unica motivazione è sopravvivere un po’ meglio di prima”

Jean-Claude Izzo

Gaia Santolla

Mamma in equilibrio

COSENZA – Oggi conciliare l’essere madre e moglie con il lavoro e l’ambizione di fare carriera è una delle sfide più difficili che ogni donna si trova costretta ad affrontare ma non impossibile, certo la giornata sembra non finire mai e ogni cosa sembra un’interminabile lotta contro il tempo. E così fare la spesa dopo la sosta obbligatoria all’asilo, arrivare puntuale in ufficio, preparare la cena come se fosse un gioco per recuperare il tempo perduto con i bambini, ritrovarsi alle 02.00 di notte davanti all’asse da stiro sono solo alcune delle tappe quotidiane che ogni mamma acrobata deve attraversare per arrivare al traguardo, la fine della giornata.

Ester Iantorno ha 36 anni, un lavoro come consulente del lavoro, un marito, due splendidi marmocchi di 5 e 2 anni e ogni giorno, senza mai dimenticare di sorridere, vive in perfetto equilibrio tra l’impeccabile organizzazione e gli inaspettati imprevisti. Più che una supereroina, Ester è un’efficiente mamma moderna, custode e protettrice della purezza e della serenità della sua casa ma anche padrona di se stessa quando decide di non mettere i sogni tra parentesi e di rivendicare il suo diritto di autonomia e di realizzazione professionale, è una donna che ha deciso di avventurarsi nella straordinaria ma faticosa esperienza di diventare madre senza deporre le vesti del lavoro, senza lasciare che la gravidanza diventasse un ostacolo per la carriera ma trovando nella maternità la forza per continuare a lavorare.

Com’è una tua giornata tipo?

Soffermandomi a pensare, non saprei dire un orario di partenza di una mia giornata tipo, so solo che non finisce mai. Facendo una media, con Giacomo, mio marito, ci svegliamo intorno alle 07.30 / 8.00, una ricca colazione per carburare, biberon per i nostri due bimbi, l’essenza della nostra vita, e poi di corsa in bagno per il solito rituale mattutino: doccia flash, trucco e scelta del vestiario e intanto Giacomo mi allieta con una delle sue poco intonate esibizioni canore. Oramai pronti ci apprestiamo a vestire i nostri figli che hanno finito di bere il latte, tanti baci e tante coccole per rendere il risveglio più dolce ma, subito dopo, “dai bimbi veloci che è tardi”. Tutti pronti per uscire ma io sono sempre l’ultima della fila, mi soffermo per rassettare tutti e tre i letti e il bagno. Sono le 09.00 e siamo in macchina armati di zaini completi di ricambi qualora dovessero servire e di merende per l’intera giornata scolastica 09.00/18.00. Alle 09.10 i bambini sono all’asilo e con mio marito ci dirigiamo sul posto di lavoro fino alle 13.00/13.30,  pausa pranzo di circa un’ora e mezza durante la quale oltre a mangiare un pasto caldo, sistemo la cucina, se riesco anche il bagno, stendo il bucato, faccio partire l’ennesima lavatrice e programmo la cena. Alle 15.00 siamo nuovamente in macchina per tornare in studio. Siamo due liberi professionisti ed è vero sì che siamo fortunati a gestire il nostro tempo con i nostri orari ma è altrettanto vero che siamo oberati di scadenze e impegni improrogabili. Sono già le 17.45 e velocemente esco dall’ufficio per andare a prendere i nostri figli. Torniamo a casa e il mio tempo è tutto dedicato a loro, ci raccontiamo della nostra giornata, giochiamo, se c’è il sole andiamo al parco, passeggiamo in bici, guardiamo un cartone, facciamo una partita al nintendo e nel frattempo riscaldo la cena che avevo predisposto nella pausa pranzo. Non riusciamo sempre a cenare tutti e quattro insieme perché gli orari di Giacomo, per esigenze lavorative, variano giornalmente ma nella maggioranza dei casi alle 20.00 siamo tutti seduti a tavola e tra una chiacchiera, un diverbio, una monelleria e una risata gustiamo la nostra cena. Tutti sazi, ci alziamo da tavola e mentre Giacomo si dedica ai bambini, io metto in ordine la cucina e mi scervello per il pranzo dell’indomani. Giacomo ed io siamo distrutti ma i nostri bambini operativi più che mai. Mi illudo di poter andare presto ad occupare quel magnifico posto che si chiama letto ma alle 21.30 è una meta ancora troppo lontana. Iniziamo comunque la routine serale: bagnetto, pigiama e tutti al letto, i bambini con il loro biberon di latte e un cartone, una fiaba o un po’ di solletico finalmente si addormentano. Per me e Giacomo ancora però c’è da fare: preparare gli zaini per il giorno dopo, mi capita spesso di fare provviste da congelare per una più rapida organizzazione dei pasti, sfornare dolci, sistemare giochi sparsi. E’ notte fonda quando finalmente anche noi adulti ci congediamo nella zona notte ma sul più bello: “Mamma, mammina….pipì”, allora alzati e accompagna chi deve andare in bagno. Tutto tace quando: “Mammina… vieni un po’ nel mio letto?”, allora alzati e intrufolati nel letto di chi ti ha chiamato. Quando nuovamente sta per conciliarti il sonno “Mammì dove sei? Perché non vieni un po’ da me?”, l’altro bimbo, insomma faccio la viandante. Quando pare che sia arrivato il momento per poter riposare anch’io: DRINNN DRINNN…la sveglia. E si riparte.

In che modo affronti la vita frenetica di tutti giorni senza lasciarti sopraffare dallo stress?

Lo stress è la peggiore amica che ci possa affiancare nelle nostre giornate, è sempre lì che cammina a braccetto con noi. Alcuni momenti sembrerebbe prendere addirittura il possesso della gestione di quella determinata situazione. Come un segugio ti spia, ti segue, ti osserva e al momento giusto ti assale. La risposta all’attacco è una bella e sana risata. Il sorriso è l’arma più letale, la positività la sfianca, il respiro calmo al ritmo di yoga la smorza e poi c’è sempre un bel gelato, una camomilla o una cioccolata per ignorarla. Questa è la mia difesa affinché la protagonista delle mie giornate possa rimanere io senza dare sfogo a quella orribile faccia che imbruttisce la mia anima e il mio spirito.

Qual è il segreto per conciliare lavoro e famiglia?

Nel “film” della mia vita, mi trovo a dover interpretare, ogni giorno e con piacere, diversi personaggi: mamma, moglie, casalinga, libera professionista. Detto così potrei sembrare una Super Donna, in realtà come tantissime, cerco di dare il meglio di me stessa sperando di soddisfare la mia persona con il lavoro e i miei desideri facendo la  mamma. Non penso esistano segreti da utilizzare per meglio incastrare i diversi ruoli, credo fermamente che ogni momento è da considerarsi assolutamente unico e come tale da vivere intensamente senza pensare a quante cose ancora bisogna fare o organizzare.

Hai mai dei sensi di colpa per il tempo che sottrai ai tuoi figli per il lavoro?

Amo i miei figli e mi piace il mio lavoro. Due sentimenti forti che s’incastrano perfettamente. Il primo spassionato e assoluto, il secondo dovuto e voluto per amor proprio e per la famiglia. Per questo motivo i sensi di colpa non hanno mai bussato alla porta del mio cuore, ciò che fortemente conta non è la quantità di tempo che trascorro con i miei bambini ma certamente la qualità che contraddistingue e rafforza il legame che ci unisce.

Riesci a trovare del tempo per te stessa?

Mi piace coccolarmi o farmi coccolare, è un aiuto veloce per ricaricare le sacche di energia e quando posso concedermi qualche minuto cerco di scegliere orari nei quali i miei figli sono all’asilo così da non sottrarre tempo da dedicare a loro.

Hai mai pensato di lasciare il lavoro e dedicarti esclusivamente alla famiglia?

Ogni individuo ha diritto di vivere liberamente le proprie scelte, amare gli altri ma senza dimenticare di amare anche se stessi. Il lavoro, rispetto alla mia scala dei sentimenti, è senza altro secondario rispetto all’essere mamma e moglie ma obiettivamente durante la giornata i miei figli trascorrono il tempo piacevolmente con i propri coetanei, mio marito lavora ed io perché mai dovrei annullarmi come persona? L’essere mamma e moglie non preclude l’essere donna che lavora. Ho scelto quindi, con gioia e impegno, di essere mamma, moglie e lavoratrice.

“Le madri sono gli unici lavoratori che non hanno mai vacanze”

Anne Morrow Lindbergh

Gaia Santolla

L’Inizio attraverso gli occhi di una matricola

COSENZA – E’ vero gli anni del liceo sono i più belli della vita, sono i più belli perché a settembre al ritorno dalle vacanze l’unico dilemma che ti tormenta è quale diario scegliere, sono i più belli perché basta il suo suono di una campanella per salvarti da una insufficienza assicurata e rimandare tutto a domani, sono i più belli perché quando pensi al futuro qualsiasi cosa sembra possibile, diventare un magistrato, un cuoco, un pompiere e persino costruire un acquapark nel pieno centro della città. Improvvisamente però, dopo il diploma, ogni piccola e grande scelta diventa importante, continuare gli studi o cercare un lavoro, rimanere o partire altrove e così qualunque sia la decisione presa, tutto cambia e inizia un nuovo capitolo della vita.

Vittoria Pisani, classe 1994, ha frequentato il liceo delle Scienze Sociali di Cosenza e ora con un diploma in tasca, dopo un serie legittima di perplessità, ha deciso di iscriversi al primo anno del Corso di Laurea in Discipline Economiche e Sociali per lo Sviluppo all’Università della Calabria e ci racconta come sta vivendo l’attesa di questo nuovo inizio di vita.

Come mai hai deciso di iscriverti all’Università nonostante nel nostro Paese l’istruzione e la formazione non siano un prerequisito necessario per accedere nel mondo del lavoro?

Nel nostro Paese, i  giovani diplomati e laureati, dopo aver terminato il percorso di studi si ritrovano senza una vera occupazione e senza capacità pratiche per poter svolgere la professione per cui hanno studiato nonostante ciò, ho comunque deciso di iscrivermi all’Università , soprattutto per me stessa, per una mia cultura personale ma con la speranza che in futuro le cose possano migliorare.

Quali sono le tue aspettative rispetto a questo nuovo inizio di vita?

Credo che un giovane diplomato non possa che ritrovarsi nel mezzo tra due scelte: cominciare subito a lavorare o iscriversi all’Università, io da quest’ultima mi aspetto un nuovo inizio, un nuovo ciclo di vita, nuove conoscenze, maturare e chissà  trovare un lavoro nel settore per il quale ho studiato.

Come ti vedi fra qualche anno?

Fra qualche anno mi vedo laureata, ma costretta , molto probabilmente a svolgere una professione non molto coerente con il mio titolo di studio.

Nei tuoi progetti c’è l’idea di lasciare l’Italia per una diversa destinazione in grado di darti qualche certezza in più?

Nei miei progetti c’è sempre stata l’idea di lasciare l’Italia perché a differenza degli altri Paesi, nei migliori dei casi, i giovani italiani iniziano le proprie esperienze lavorative in età avanzata e con poche conoscenze concrete, purtroppo se la situazione non migliora, se non verranno adottati una serie di interventi, l’idea di lasciare l’Italia  non rimarrà più solamente un’idea.

Come immagini il tuo primo giorno da matricola?

Evito di pensarci troppo, sono un po’ preoccupata  perché so che non sarà facilissimo inserirmi in un ambiente nuovo con dinamiche totalmente differenti da quelle della scuola, senza contare la paura di non riuscire a stringere rapporti con i colleghi del corso ma allo stesso tempo sono felice ed emozionata di iniziare questa nuova esperienza perché credo che ogni paura, ogni dubbio, svanirà dopo qualche giorno.

Lo zainetto che ti ha accompagnato negli anni del liceo lo porterai ancora con te o lo conserverai tra i ricordi?

No, non lo porterò con me. Lo zainetto che mi ha accompagnato negli anni del liceo lo conserverò sicuramente tra i ricordi insieme a molte altre cose, ha segnato una parte della mia vita, fa parte di un ciclo pieno di episodi da ricordare, ma ormai questo ciclo si è chiuso e sta per iniziarne uno nuovo.

In bocca al lupo per questo tuo nuovo inizio.

Crepi.

“La perplessità è l’inizio della conoscenza”

Kahlil Gibran

Gaia Santolla

Volti di Venere

Una sola parola è spesso troppo riduttiva per descrivere le infinite sfumature attraverso le quali si declina un concetto, se poi il concetto in questione è la donna allora il discorso si complica ulteriormente.
Musa, sovversiva, puttana, custode della creazione, sovrana nella distruzione, guerriera capace di combattere senza armi su letali campi minati, eroica mai stanca di lottare per la libera autonomia del proprio corpo, indignata davanti a ogni piccola e grande ingiustizia, fiera nell’amare persino quando diventa pericoloso, ma anche più semplicemente figlia, madre e moglie.

Questa rubrica racconterà i diversi modi di essere donna, i differenti modi di affrontare la vita, legati tutti da un elemento comune, la curiosità quella che rende Venere così complessa e a volte incomprensibile ai più, ma comunque sempre fedele a se stessa.