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Cosenza, sottrae la carta di credito a un sacerdote per giocare on line

COSENZA – Ha sottratto la carta di credito a un sacerdote per pagare dei giochi on line. Per questo motivo il pm di Cosenza Donatella Donato ha chiuso le indagini, coordinate  dal procuratore capo Dario Granieri, nei confronti di Domenico Anghelone, 39enne di Reggio Calabria. Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe più volte utilizzato la carta di credito in uso a un parroco che svolge la sua missione anche nel carcere di Cosenza. Anghelone, ex detenuto, veniva ospitato nella casa canonica di Lattarico, in cui il religioso esercita il suo sacerdozio. Il parroco, in un primo momento, aveva accolto il 39enne al quale faceva da guida spirituale per condurlo sulla retta via, ma dopo alcuni episodi di furto lo aveva allontanato dalla casa canonica. Nell’ottobre del 2015 il sacerdote denunciò ai carabinieri di Lattarico degli ammanchi sulla sua carta di credito dalla quale erano sparite delle somme usate per pagare dei giochi online. Dalle indagini, avviate dai carabinieri, si è risalito al numero di cellulare di Anghelone dal quale venivano effettuate le ricariche per i giochi on line usando la carta di credito del parroco sottratta illecitamente al sacerdote.

Cosenza, operazione Black Out. Sgominata banda del rame. 13 ordinanze restrittive (NOMI)

gang del rame 1COSENZA – Sono in tutto 13 le misure cautelari eseguite stamane a conclusione di un’indagine congiunta di Polizia di Stato e Corpo Forestale dello Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Cosenza, contro un’organizzazione che riciclava rame rubato grazie alla complicità di imprenditori del settore che mettevano a disposizione le loro aziende per la ricettazione di metallo di provenienza furtiva. L’operazione è scattata all’alba. Le indagini effettuate dalla Squadra Mobile della Questura di Cosenza e dal Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale del Comando Provinciale di Cosenza hanno portato questa mattina all’esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari per 4 persone, e all’esecuzione di ulteriori 9 misure cautelari per altrettante persone. Sono stati contestati i reati di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, ricettazione aggravata e associazione per delinquere. La complessa indagine, coordinata dal Procuratore capo Dario Granieri, dal Procuratore aggiunto Marisa Manzini e dai sostituti procuratori Salvatore Di Maio, Domenico Assumma e Domenico Frascino, è durata diversi mesi. Secondo gli inquirenti, All’interno delle aziende “Autodemolizioni Franco Carriere srl” e “F.lli Bartucci Snc” di San Pietro in Guarano (cs) , confluivano ingenti quantitativi di cavi in rame rubati a società operanti nel settore energetico, dei trasporti e delle telecomunicazioni, materiale che veniva poi destinato alla ditta Ecotek srl di San Pietro Lametino (Cz). La refurtiva veniva conferita alle aziende da personaggi, alcuni dei quali destinatari delle misure cautelari, organici all’organizzazione. Il rame, sia “pulito” che bruciato, riciclato è stato quantificato dagli investigatori, grazie ad attività di videosorveglianza e intercettazioni, in decine di tonnellate. Il metallo veniva sigillato in containers e sistemato sotto uno strato di pneumatici fuori uso o nascosto all’interno dei veicoli da demolire accatastati all’interno dei piazzali delle aziende per poi essere caricato a bordo di mezzi dove veniva nascosto sotto gang del rame 3altri tipi di rifiuti e inviato alla Ecotek di Lamezia Terme (Cz) che provvedeva a inserire il materiale nel mercato legale. Gli spostamenti, che avvenivano con frequenza, sono stati costantemente monitorati nel tempo dagli investigatori della Polizia di Stato e dl Corpo Forestale. Il giro d’affari è stato stimato dagli investigatori in oltre 1.500.000 euro. Questa mattina è scattato IMG-20160329-WA0027il sequestro di numerosi beni aziendali, dei mezzi utilizzati per il trasporto e sono state eseguite tredici misure cautelari personali a carico di Franco Carriere, 43 anni, Francesco Bartucci 44 anni, Silvio Ciardullo, 33 anni, Raffaele Carlini, 56 anni, Marco Mauro, 32 anni, Francesco Bevilacqua, 23 anni, tutti di Cosenza; Fabio Angelo Perri, 44 anni, Giuseppe Lucchino 34 anni, Rosario Bandiera, 34 anni, Giovannino Gallo, 32 anni, tutti di di Lamezia Terme; Daniel Adam 34 anni e Andrei Cotet 35 anni, entrambi romeni; Marcello Munegato 42 anni, di Castiglione Cosentino. Nel corso delle operazioni sono state eseguite perquisizioni all’interno delle aziende coinvolte. IMG-20160329-WA0025

Omicidio Caloiaro, assolto l’unico imputato del delitto

COSENZA – La Corte d’Assise di Cosenza ha assolto Gabriel Costantin Sercaianu, cittadino rumeno di 34 anni, finito sotto processo perché ritenuto responsabile dell’omicidio di Giuseppe Caloiaro, di Carlopoli, scomparso il 16 marzo 2005. Secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri, sin da subito coordinate dal pm Bruno Antonio Tridico e dirette dal procuratore capo di Cosenza, Dario Granieri, Caloiaro sarebbe stato ucciso dopo una rapina. A dicembre del 2014 si arrivò a rintracciare Sercaianu ritenuto responsabile del delitto. Nell’immediatezza del fatto erano emersi elementi a carico di quattro romeni che vivevano nel centro di accoglienza dell’Oasi francescana, i quali, però, già la mattina del 17 marzo, quando ancora non era stata trovata l’auto della vittima, erano fuggiti verso il nord Italia, facendo perdere definitivamente le loro tracce. L’auto di Caloiaro era stata trovata il 18 marzo 2005 in località “Ganci” di Dipignano. La vettura, una Mercedes bianca, priva di targhe, era stata parzialmente incendiata, ma al suo interno erano presenti evidenti tracce di sangue. Il pm aveva chiesto la condanna dell’imputato a 14 anni di carcere. Ma il presidente della Corte, Giovanni Garofalo, dopo una camera di consiglio durata circa due ore ha assolto l’imputato per non aver commesso il fatto. Subito dopo il delitto, i carabinieri avevano accertato che Caloiaro, dopo avere accompagnato la madre all’ospedale civile dell’Annunziata, dove era ricoverato il cognato, si era recato nei pressi del ponte Mancini di Cosenza, dove aveva un appuntamento con i romeni i quali gli avrebbero dovuto procurare una badante.

Neonato morto in ospedale. Salgono a cinque le persone indagate

sala-partoCOSENZA – Salgono a cinque le persone indagate per la morte del neonato di lunedì pomeriggio in sala parto nell’ospedale di Cosenza. Si tratta di due ginecologi, una neonatologa e due ostetriche. Il dott. Silvio Cavalcanti, medico legale, ha eseguito l’autopsia sul corpicino del piccolo alla presenza dei consulenti di parte nominati dagli indagati. Bisognerà adesso attendere sessanta giorni per conoscere l’esito dell’esame. Una delle ipotesi avanzate è che il feto fosse già morto al momento del parto. Le indagini, coordinate dal procuratore capo Dario Granieri e affidate al pm di turno Giuseppe Cozzolino, dovranno chiarire se la donna, al momento del suo arrivo presso il nosocomio bruzio, avesse già eseguito dei tracciati e con quale esito. Sequestrata la cartella clinica della mamma del neonato, una 33enne di Fagnano Castello. La giovane è in buone condizioni di salute ed era alla sua terza gravidanza. Intanto, proseguono gli accertamenti dell’Azienda ospedaliera che, nell’immediatezza dei fatti, ha avviato un’indagine interna, mentre il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha disposto l’invio degli ispettori all’Annunziata per verificare quanto accaduto.

Omicidio Taranto, arrestato il presunto assassino

pattuglia carabinieri controlli notturni CcCOSENZA I carabinieri del comando provinciale di Cosenza hanno arrestato Domenico Mignolo, 28 anni, pluripregidicato contiguo alla potente cosca di ‘ndrangheta “Rango-Zingari”. L’uomo è accusato di aver ucciso il 29 marzo scorso, nel giorno della domenica delle Palme, Antonio Taranto, 26 anni, cosentino, con un colpo di pistola calibro 38. L’arresto è stato eseguito in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip su richiesta della Procura della Repubblca del tribunale di Cosenza. Le indagini, condotte dal reparto operativo dei carabinieri, coordinate dai magistrati Antonio Tridico e Donatella Donato e dirette dal procuratore capo Dario Granieri e dall’aggiunto Marisa Manzini, hanno consentito di accertare il movente dell’omicidio. Domenico Mignolo era in preda all’ira poiché non aveva ricevuto lo stipendio dal proprio clan nel periodo in cui era stato detenuto. Mentre era affacciato al balcone della propria abitazione, alla vista della persona che riteneva responsabile del mancato pagamento, non ha esitato ad esplodere due colpi di pistola, che poi si è fortunatamente inceppata, uccidendo però la persona sbagliata, Antonio Taranto. L’episodio si è verificato in Via Popilia. I particolari dell’operazione sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa. L’indagine è stata portata a compimento grazie ad intercettazioni, dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, attività compiuta dalla polizia giudiziaria nell’immediatezza dei fatti e consulenza balistica. “Sappiamo – ha detto il procuratore aggiunto di Cosenza, Marisa Manzini – che tutto origina da una lite avvenuta in discoteca, lite degenerata sino all’omicidio avvenuto in altro luogo. In questa fase possiamo formulare solo ipotesi, ma sicuramente Domenico Mignolo aveva avuto dei dissapori con Taranto e con un’altra persona presente ai fatti. Di certo c’era la volontà di uccidere quel soggetto o quei soggetti con cui era entrato in contrasto. Siamo in fase di indagine e tutto l’aspetto del movente dovrà essere sviluppato”. La lite tra il gruppo di Mignolo e quello di Taranto, secondo la ricostruzione degli inquirenti, iniziata in un locale, sarebbe continuata in via Popilia dove poi è degenerata. Mignolo sarebbe rientrato nella propria abitazione e affacciatosi dal balcone avrebbe sparato nel gruppo, colpendo Taranto. L’arma del delitto, probabilmente un revolver calibro 38, non è stato ritrovata.