Welfare e diritti sociali in tempo di crisi – Intervista a don Giacomo Panizza

LAMEZIA TERME – Oltre 50 organizzazioni sociali e sindacali sono scese in piazza a Roma lo scorso 31 ottobre, mobilitate dalla rete “Cresce il welfare, cresce l’Italia”. Una manifestazione con un obiettivo chiaro e ben definito: far cambiare rotta alle scelte di governo, frenando i tagli alla spesa sociale e ridistribuendo in maniera equa le risorse. Una tutela che non è solo per le persone più deboli, ma che tocca ogni singolo cittadino portatore di diritti, perché investe i campi della salute, dell’istruzione, dell’assistenza. Ripensare un modello che non può rispondere solo a logiche di tipo economico ma che deve rivalutare l’importanza degli individui, ripensando il welfare come risorsa.

E la protesta non si è fermata in Piazza Montecitorio. Contemporaneamente la voce del dissenso ha fatto eco su tutto il territorio nazionale ed in Calabria ha trovato la sua espressione nella conferenza stampa organizzata a Lamezia Terme da alcune delle realtà presenti nella rete promotrice.

Per capire meglio le ragioni di questa mobilitazione e per approfondire la conoscenza sulle proposte emerse dagli incontri, abbiamo voluto porre qualche domanda a don Giacomo Panizza, figura di rilievo del privato non profit e testimone diretto delle tematiche sociali e assistenziali soprattutto per quanto riguarda la nostra regione.

don Giacomo PanizzaAlla luce della manifestazione del 31 ottobre scorso, secondo lei qual è il risultato che plausibilmente ci si può attendere dalle richieste emerse in merito ai tagli previsti nella manovra di bilancio 2013?

Cosa abbiamo portato a casa con la mobilitazione del 31 ottobre scorso a Roma? Certamente abbiamo ottenuto alcuni risultati impossibili senza la protesta, senza il confronto coi Gruppi Parlamentari, e senza le proposte da noi elaborate. La presenza delle nostre organizzazioni sociali è debole, ma c’è ed è fondata sul tema dei diritti fondamentali. Avevamo ragione a sostenere che questo Governo è una cosa e i decisori politici un’altra, al punto che i vari partiti si sono convinti delle nostra proposte e le stanno portando avanti. Hanno colto l’importanza di non aumentare l’IVA sui servizi sociosanitari ed educativi erogati dalle cooperative sociali; hanno recepito la proposta di rifinanziare il comparto sociale tenendo presente il Fondo per le politiche sociali con 450 milioni di euro, il Fondo per la non autosufficienza con 400 milioni, quello per la famiglia con 11 milioni, quello per l’inclusione degli immigrati con 100 milioni, quello del servizio civile con 20 milioni. Infine hanno garantito di il fondo previsto di 900 milioni disponibile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sarà destinato al sociale, e non verrà stornato per altre voci di spesa.

Ne è valsa la pena, ma rimane ancora molto da fare se chi governa non si rende conto dell’importanza della vita sociale, la quale non può venire seconda al comparto economico e finanziario.

Qual è l’aspetto principale che viene trascurato da politici e amministratori in relazione alle problematiche connesse alla disabilità?

Politici e amministratori si fanno tirare per la giacchetta a risolvere le problematiche legate ai ricoveri delle persone con disabilità. Si muovono e troppo poco per le situazioni gravi quando queste sono avvenute. Vedono poco, quasi per nulla, la normale vita di chi ha una patologia grave o lieve che sia; non considerano la progressione delle malattie, degli handicap, dell’esclusione sociale; non sanno cosa sia la sofferenza di dover combattere ogni volta che ti viene ostacolato un diritto, un dovere, una normale quotidianità; sono analfabeti dei tempi di scuola, di lavoro, di relazione umana di chi si trova su una carrozzina a rotelle; e così via.

Nella protesta svolta a Roma, hanno trattato sulle cifre e approfondito poco o niente sul progetto da dare all’Italia riguardo ai temi della disabilità. Non hanno colto il particolare dibattito interno alle richieste delle organizzazioni dei disabili, avvenuto tra coloro che chiedono – anche con coraggiosi scioperi della fame – interventi di “categoria”, come ad esempio alcuni con la SLA, e coloro che chiedono lo stesso trattamento per tutti quanti, indipendentemente dal nome della malattia ma con gli stessi esiti debilitanti gravi e gravissimi.

Ma non è tutto qui. Questo è un aspetto riguardante la cura. Ciò che rimane assente sulle politiche per la disabilità riguarda anzitutto la prevenzione, la riabilitazione e l’inclusione sociale.

La protesta ha assunto carattere nazionale, ma nell’incontro di Lamezia le richieste sono state indirizzate anche ai vertici regionali calabresi. Quali sono attualmente le lacune maggiori della politica locale?

La politica calabrese è indietro, è molto al di sotto della media nazionale. Per questo i rappresentanti dei gruppi sociali che hanno manifestato a Lamezia Terme hanno aggiunto delle note locali, hanno posto l’attenzione sulle politiche giovanili, sull’occupazione e sulla famiglia, oltre che su anziani, malati e disabili, sui minori e il disagio mentale. Hanno proposto alla politica di non fare da sola senza la società. Abbiamo una regione che mette un quarto di finanziamenti della media nazionale, un decimo delle regioni più virtuose. Queste cifre non le deve mettere il governo, le deve mettere la regione, deve individuare da dove togliere queste risorse che lasciano i calabresi con meno opportunità di servizi sociali rispetto agli altri italiani.

Che non vengano a raccontare i luoghi comuni, come quello che non ci sono i soldi per il sociale, o che costa troppo e non sanno dove mettere mano, perché per altre spese inutili e perfino illegali i soldi li trovano!

Costruttivamente, nel nome della legge n. 328 del 2000, recepita dalla Regione Calabria con la legge regionale n. 23 del 2003, si è proposto di costituire un tavolo regionale di concertazione sul sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, a partire dalla finanziaria regionale del 2013.

 

Mariacristiana Guglielmelli

 

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