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L’imprevedibilità della vita. E della fede. La storia di Cristian Filice

COSENZA – Cristian Filice ha 37 anni e da 5 è malato di Sla. Conduce la sua vita su una sedia a rotelle, tentando con ogni forza di arginare l’avanzare inesorabile della malattia con attività che lo leghino quanto più possibile alla normalità. Difficile farlo quando si è dipendenti da macchinari che aiutano a respirare di notte e ad alimentarsi artificialmente di giorno.

In “Amo la vita Storia di un malato di Sla” racconta la sua storia, le fasi della malattia e soprattutto l’accettazione della sua sorte. Dalla Sla non si guarisce. Con la Sla si deve imparare a convivere. Il dolore e la rabbia iniziali si trasformano in energia pura. È inarrestabile Cristian, non vuole e non può lasciare spazio al tempo e alla rassegnazione. Un impegno che non si esaurisce solo per sé e la sua famiglia. La sua esperienza diventa campo di battaglia, trampolino di lancio da cui partire per coinvolgere ed includere altri. Istituisce a Cosenza la sezione locale di Aisla Onlus (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e si attiva per partecipare ai tavoli istituzionali in cui far sentire la voce dei malati. Non ha tregua: i diritti dei malati e il sostegno alle famiglie diventano il suo ritornello e il suo obiettivo principale. Sembra quasi il suo riscatto contro una malattia subdola ed incurabile.

Un percorso di impegno sociale che si è intrinsecamente legato ad un intenso cammino di fede. Una fede vissuta in prima persona, che non è dottrina, ma esperienza e testimonianza. Una fede che lo conduce alle pendici della montagna di Medjugorje.

È di una settimana fa l’episodio che ha sconvolto la sua vita, che ha rimesso ancora una volta tutto in gioco e in discussione. Cristian racconta di aver sentito una voce durante la notte che lo invitava a salire verso il luogo delle apparizioni. Ma la strada è scoscesa e poco agevole, impensabile percorrerla in carrozzina. Il giorno dopo gli accompagnatori tentano di dissuaderlo, ma la sua caparbietà ha la meglio.

Si può credere o no ai miracoli, la realtà è che Cristian si è alzato ed ha percorso con i propri piedi la strada fino in cima. Può essere frutto di suggestione o meno, Cristian da quel giorno è rinato. Si è sottoposto alle visite mediche specialistiche, che da 5 anni accompagnano l’evolversi della sua malattia e i risultati confermano una regressione della Sla. Non ha più bisogno del respiratore per dormire la notte e ha ripreso ad alimentarsi naturalmente, tanto che tra qualche tempo sarà possibile togliere la PEG.

Al di là di facili fanatismi, rimane la gioia di una vita che ritorna a splendere. A chi si chiede perché sia capitato proprio a lui si può rispondere con le stesse parole che Cristian usa quando parla dell’acquisizione di consapevolezza della malattia. Ribalta il punto di vista e il “perché a me” diventa “perché non a me”. Ugualmente può essere per la guarigione: perché non a lui?

 

Mariacristiana Guglielmelli

 

“Amo la vita Storia di un malato di Sla” di Giacomo Guglielmelli: esistere e non sopravvivere

COSENZA – Una sala gremita ieri, presso la sede dell’Ordine provinciale dei Medici chirurghi e Odontoiatri nel centro di Cosenza, ha accolto l’invito degli organizzatori della manifestazione “Anatomia di un evento: segni e storie del Natale”, in occasione della quale si è tenuta nel pomeriggio la presentazione del libro “Amo la vita Storia di un malato di Sla” (Comet Editor Press, 2012).

Il libro, scritto da Giacomo Guglielmelli poeta e scrittore , nasce dall’incontro dello stesso con Cristian Filice, giovane 37enne che da quattro anni convive con la diagnosi della Sclerosi Laterale Amiotrofica, lungo una testimonianza che colpisce ed emoziona, ma soprattutto fa riflettere sul valore e le priorità che spesso nella quotidianità (non) si danno alle cose.

Il libro infatti, racconta la storia di Cristian e – riprendendo le parole della dott.ssa Agata Mollica che ha moderato gli interventi della presentazione –  il “superamento della dimensione della malattia verso l’apertura al mondo”.

Oltre la dott.ssa Mollica, erano presenti al dibattito, l’autore del libro, Don Giacomo Panizza che ne ha scritto la prefazione, il presidente dell’Ordine dei Medici Eugenio Corcioni e lo stesso Cristian Filice.

Ad introdurre l’incontro, una scena tratta dal celebre film “Natale in casa Cupiello”, interpretato da Eduardo De Filippo, a richiamare le ragioni dell’evento che ha ospitato la presentazione, ovvero la volontà dell’ordine di celebrare il Natale con una manifestazione che, attorno al senso della natività e del presepe, innescasse delle riflessioni sul cambiamento del modo di “vivere” questo periodo dell’anno.

Il presepe, la famiglia, l’intimo degli affetti che spesso indispensabile per affrontare le difficoltà; cui nel caso di Cristian, protagonista del libro, si sono uniti a una rete di relazioni affettive esterne al nucleo famigliare rivelatisi indispensabili per affrontare la quotidianità con addosso il fardello di una malattia invalidante. In questa rete di affetti rientra proprio lo stesso autore del libro, Giacomo Guglielmelli che offre il proprio supporto a Cristian da diverso tempo e che, con il libro, ha deciso di dare un ulteriore input a questo suo “ruolo” donando– come ha dichiarato lo stesso autore – “voce a chi voce non può avere, in modo che l’esperienza narrata accomuni e coinvolga anche chi non la vive in prima persona”. Quello dell’autore è un vero e proprio invito a “condividere e rivolgersi al prossimo”, indipendentemente dalle proprie credenze religiose.

L’esperienza della condivisione e del racconto come accrescimento personale e apertura verso l’esterno, è stato il concetto ripreso anche nell’intervento di Don Giacomo Panizza, personalità celebre per il suo impegno sociale in Calabria da circa quarant’anni. “Per vivere appieno le esperienze è necessario sapere darvi un nome, saperle raccontare, dunque sapere leggere e scrivere”, per questo è necessaria la massima apertura e il massimo sostegno affinché anche chi “non sa di saper leggere le cose belle della vita” ne divenga capace.

Don Giacomo ha sottolineato come spesso si tenda a dare tutto per scontato, senza porsi troppe domande su ciò che si ha intorno, sul senso delle cose, sul senso della vita; chi soffre una malattia da questa prospettiva possiede una marcia in più, perché supera la barriera del “consueto” e “coglie il da farsi senza poterlo fare”. E’ qui, nel modo in cui si affronta il quotidiano, che risiede la sottile differenza tra vivere e sopravvivere; riprendendo le parole del sacerdote: “esiste una logica dell’esistere, diversa da quella del sopravvivere: e questo è nel libro, l’esistenza e non il sopravvivere. La malattia fa vedere cose diverse, realtà diverse; aiuta a focalizzare non su quanto tempo si ha nella vita, ma su quanta vita c’è nel tempo che abbiamo”.

A concludere la presentazione, la testimonianza del protagonista del libro, portavoce del messaggio in esso veicolato, di cui è saltata subito all’occhio la tenacia e la determinazione nel combattere la malattia, ma anche il pregiudizio e l’indifferenza che purtroppo spesso si manifesta anche a livello istituzionale, con una società che non è in grado di tutelare chi per forza di cose non può condurre una vita “normale”.

“La malattia è la prigione del mio corpo, ma io non mi rassegno, voglio vivere, amo la vita”.Queste le parole di Cristian che ha poi proseguito: “spesso comprendiamo il valore delle cose nel momento in cui stiamo per perderle, quando invece sarebbe sufficiente viverle giorno per giorno; in questo senso la Sla mi ha consentito di andare oltre, di non dare le cose per scontare e capire che nella vita ci sono dei doni, il primo fra tutti la famiglia”. Il ruolo della famiglia e degli affetti che è fondamentale, e che acquista ancor di più un valore se rapportato a chi è affetto da patologie pervasive.

Un messaggio forte ed importante quello trasmesso ieri nel corso dell’incontro che è stato accolto in maniera particolarmente partecipata dai presenti nel pubblico, tra cui è importante citare Maurizio Casaddio, presidente dell’AISLA/RC, il quale, tra l’altro, ha contribuito alla stesura del libro con la propria testimonianza dal punto di vista del malato.

 

Giovanna Maria Russo