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Morte sospetta all’Annunziata, assolti quattro medici

COSENZA – Il Tribunale di Cosenza ha assolto quattro medici dell’ospedale dell’Annunziata dall’accusa di aver provocato la morte di Caterina Loria, di San Giovanni in Fiore, avvenuta il 28 giugno del 2011. La giovane perse la vita sette giorni dopo aver dato alla luce, col parto cesareo, una bambina. Sul banco degli imputati finirono quattro medici in servizio nell’Unità operativa complessa di Ginecologia e Ostetricia. Si tratta di Attilio Forte, Andrea Bilotti, Maria Patrizia Romano e dell’allora primario Pasquale Pirillo. Nell’immediatezza della vicenda vennero tutti e quattro rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo. Secondo l’impianto accusatorio i quattro “per negligenza, imprudenza e imperizie, consistite nella prestazione di una inadeguata assistenza clinica, cagionavano la morte di Caterina Loria, intervenuta per tromboembolia massiva del ramo principale dell’arteria polmonare insorta nel decorso post-operatorio in soggetto sottoposto a taglio cesareo”. Ma in dibattimento non sono emersi elementi tali da provare la responsabilità dei sanitari. Per questo motivo anche il pm Giuseppe Cozzolino aveva chiesto l’assoluzione dei medici. Richiesta a cui si erano opposti i legali della famiglia, che si è costituita parte civile. Il giudice Francesca De Vuono ha pronunciato una sentenza di assoluzione per tutti gli imputati.

Processo Telesis, condannato l’ex parlamentare Bonaventura Lamacchia

LamacchiaCOSENZA – L’ex parlamentare e presidente del Cosenza Calcio Bonaventura Lamacchia ed il fratello Ernesto Lamacchia, sono stati condannati dal Tribunale di Cosenza a sei mesi di reclusione per tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso, con pena sospesa, e al pagamento delle spese processuali. Bonaventura ed Ernesto Lamacchia erano imputati nel processo “Telesis”, scaturito da una operazione della Dda di Catanzaro che, nel 2010, smantellò una cellula di ‘ndrangheta che faceva capo al clan Bruni. Il collegio giudicante, presieduto da Enrico Di Dedda, ha invece assolto i carabinieri Francesco Romano e Massimiliano Ercole perché il fatto non sussiste. I due militari dell’arma erano accusati di concorso esterno in associazione mafiosa ed all’epoca dei fatti furono sottoposti ad un breve periodo di carcerazione preventiva. Entro novanta giorni saranno rese note le motivazioni.

Dopo 14 anni vengono assolti dal reato di omicidio

 

TAURIANOVA (RC) – Con la sentenza della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, presieduta dal Dott. Gennaro Maresca, si è conclusa definitivamente una storia giudiziaria durata 14 anni, con 3 giudizi davanti la Corte di Assise di Appello di Torino e tre annullamenti (l’ultimo senza rinvio) della Suprema Corte. Domenico Rettura e Rocco Fedele, calabresi di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, titolari nel 2000 di una ditta che si occupava della lucidatura dell’ottone grezzo utilizzato per la realizzazione dei rubinetti – la “Pulimetal” di Paruzzaro (Novara) – sono stati definitivamente assolti dal reato di omicidio di un dipendente della ditta, il senegalese Mohammed Sow, scomparso il 16 Maggio 2001 dalla provincia di Novara.tribunale

La vicenda, che aveva condotto all’incriminazione – formulata dal Pubblico Ministero del Tribunale di Verbania – dei due taurianovesi dei reati di omicidio e occultamento di cadavere, aveva suscitato l’interesse sia della stampa locale che di quella nazionale, tanto da attirare l’attenzione della nota trasmissione di Rai Tre “Chi l’ha visto?” – condotta, a quei tempi, da Federica Sciarelli.

I due giovani calabresi in un primo momento assolti dalla Corte di Assise di Novara – nonostante il Pubblico ministero avesse chiesto per entrambi la condanna all’ergastolo – venivano successivamente ritenuti colpevoli, del reato di omicidio preterintenzionale, dalla Corte di Assise di Appello di Torino. Contro la sentenza di condanna degli imputati, gli avvocati Antonino Napoli e Alessandro Gamberini proponevano ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, in accoglimento delle tesi difensive e disattendendo la richiesta di conferma della sentenza impugnata, avanzata dal Procuratore Generale, annullava la sentenza di condanna e disponeva il rinvio del giudizio davanti ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Torino. La Seconda Sezione della Corte di Assise di Appello di Torino nel nuovo giudizio confermava la condanna di Rettura e Fedele a 14 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.

Anche nel nuovo giudizio di appello i giudici disponevano la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale conferendo l’incarico di trascrivere e ripulire alcune tracce audio delle intercettazioni ambientali con software più avanzati a due periti. La difesa, di contro, si avvaleva della consulenza dei professori Luciano Romito e Giampiero Benedetti; due dei maggiori esperti nazionali di fonetica forense. La sentenza di condanna resa dalla Seconda Sezione della Corte di Assise di Appello di Torino veniva impugnata dalle difese dei due imprenditori, dinanzi alla Corte di Cassazione. Nel giudizio (il terzo) di secondo grado, il Procuratore Generale, Dott. Vittorio Nessi, dopo una lunga requisitoria richiedeva la condanna di Rocco Fedele e di Domenico Rettura rispettivamente alla pena di 24 e 20 anni di reclusione.

Ascoltate le repliche del procuratore generale e dei difensori, la Corte di Assise di Appello di Torino, dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, assolveva entrambi gli imputati confermando la sentenza di assoluzione di primo grado. La sentenza di assoluzione veniva questa volta impugnata, dinanzi alla Suprema Corte, dal Procuratore Generale della Repubblica.

La Quinta Sezione Penale di Cassazione, nonostante il Procuratore Generale d’udienza avesse chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza di assoluzione, ha posto un definitivo suggello – dopo quattordici anni – sulla vicenda giudiziaria: respingendo il ricorso proposto dal PG; accogliendo le argomentazioni difensive articolate dagli avvocati Antonino Napoli e Alessandro Gamberi; e mandando definitivamente assolti Domenico Rettura e di Rocco Fedele.

L’avvocato Antonino Napoli, a commento dell’assoluzione dei propri assistiti, ha dichiarato: “La vicenda evidenzia la pericolosità dei processi mediatici celebrati, negli studi televisivi, in occasione di episodici fatti di cronaca nera, capaci di condizionare l’opinione pubblica e con essa le aspettative di condanna della collettività. Al riguardo va evidenziato come, se il processo Sow non avesse avuto un’ampia ed estesa eco mediatica, lo stesso si sarebbe, probabilmente, concluso in tempi più ragionevoli. Le sentenze di assoluzione pronunciate (in primo grado) dalla Corte d’Assise di Torino, in secondo grado (nel 2014) dalla Corte d’Assise d’Appello e le tre decisioni della Corte di Cassazione dimostrano come vi fosse – sin dall’inizio della vicenda – un dubbio ragionevole circa la colpevolezza dei due imputati. Nonostante ciò si sono resi necessari ben 7 gradi di giudizio per giungere ad una statuizione definitiva. Ciò è forse avvenuto a causa delle inchieste televisive che hanno fondato nell’opinione pubblica il convincimento della colpevolezza dei due imprenditori e hanno indotto i giudici ad assumere un atteggiamento meno incline all’assoluzione”.