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Pellegrini Editore, in libreria “La donna di Susa” il giallo di esordio di Alessandro Stella

Cosenza ( Cs) – Un giallo dal linguaggio prensile che cattura il lettore fin dalle prime pagine e lo inghiotte nella sua tela di colori forti e sanguigni. A questo si aggiunge la figura del protagonista, cronista di nera, che narra la vicenda in maniera mimetica, con un uso talvolta sfacciato (volutamente) dell’improperio, aderendo con forza al sostrato di una terra che mai si evolve e mai cambia per completare il quadro. Ma solo in parte.La donna di Susa del giovanissimo Alessandro Stella si muove, infatti, in bilico tra fascino linguistico e tematico tenuto insieme dal cronista Luca Fazio che, rispetto ai tempi del giallo, appare subito in apnea. Pigro, assai demodé, vegano ma non troppo (altra stramberia per un calabrese), si muove lento tra la digitazione sulla tastiera del computer e lo spoglio di un libro giallo. Atipico per un giallo che volga alla suspance. Eppure Fazio attrae per questo mentre arranca, sbruffa e sbuffa, rimane in panne con la sua “Bettina” quando un terribile delitto perpetrato nel cimitero della sonnolenta cittadina di Elpìde lo costringe al movimento. Una disdetta per chi come il protagonista vive in quasi simbiosi con l’ambiente che è un luogo neghittoso e letargico dove niente cambia e rassomiglia tanto a certe nostre calabrie dove il tempo sembra essersi fermato per cui diventa una lente deformata e deformante per leggere in controluce le nostre storie, le nostre cittadine. In questo magma il delitto sa ancor più di mostruoso soprattutto per le modalità di esecuzione e il luogo scelto per ammazzare una donna. Necessario per agitare il contenitore e costringere Luca Fazio ad occuparsi del caso. Tuttavia, le indomite e fallibili paranoie di cui è vittima lo porteranno ad essere inghiottito dai contorni della vicenda, spingendolo a elaborare decine e decine di ipotesi nella sua mente in perenne movimento e in costante errore. Fazio, infatti, subirà se stesso, ne sarà vittima, fino all’inaspettata soluzione finale. Sullo sfondo diversi personaggi, spruzzate di folclore calabro e mediterraneo, capaci di dare vita a un quadro d’insieme bizzarro e divertente ma, allo spesso tempo, realistico e fatalista.

Alessandro Stella nasce in Lombardia, ma all’età di dieci anni emigra verso Sud, a Tropea, nel paese natio dei genitori. Giornalista pubblicista, ha conseguito la laurea in Lettere Classiche a Messina e nel corso degli anni ha collaborato con diverse testate regionali, tra le quali “Calabria Ora” e “Il Quotidiano della Calabria”.Recentemente, in un attimo di folle lucidità, ha chiuso l’attività di famiglia, ereditata dal padre, per dedicarsi esclusivamente alla scrittura, sua più grande passione.

Il Festival del giallo e del Noir alla sua giornata conclusiva

COSENZA (CS) Per la sua giornata conclusiva, in programma sabato 28 novembre, a partire dalle ore 16,00, al Chiostro di San Domenico, gli organizzatori del Festival del giallo e del noir, promosso dal Comune e dalla Provincia di Cosenza, insieme all’Associazione di promozione sociale “Prospettiva Avvenire”, hanno scelto altri importanti scrittori del panorama nazionale. Ad aprire la giornata conclusiva, coordinata da Pino Sassano, il poliedrico scrittore bolognese Gianluca Morozzi che ha raggiunto il grande pubblico grazie al romanzo “Blackout”, un thriller interamente ambientato all’interno di un ascensore. La sua poliedricità è emersa da diversi romanzi e numerosi racconti  che fanno subito notare la sua fede calcistica, quella per il Bologna, e la sua passione per la musica. La sua passione ha ispirato il tema della conversazione “Giallo Rossoblù”.

“Giallo della Rabbia” è invece il tema dell’incontro con Mimmo Gangemi, lo scrittore calabrese, di Santa Cristina d’Aspromonte, autore de “Il giudice meschino”, “Il patto del giudice” e “Il prezzo della carne”, oltre che del più recente “Un acre odore di aglio”. Gangemi dialogherà con Amelia Nigro.  Vito Bruschini, giornalista, scrittore e sceneggiatore, ospite sabato 28 novembre del Festival del giallo e del noir di Cosenza parlerà della sua più recente produzione “I Cospiratori del Priorato”.

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 “Giallo Cospirazione” sarà il tema della conversazione di Bruschini con Pier Francesco Bruno. Autore di molti romanzi per Newton Compton, Vito Bruschini ha incontrato il successo per “The Father”, tradotto in nove paesi, e “Vallanzasca”, romanzo non autorizzato sulla criminalità negli anni della strategia della tensione Spazio alla scuola partenopea del giallo nel penultimo incontro della giornata conclusiva del Festival che vedrà protagonisti gli scrittori Antonio Menna e Stefano Piedimonte. L’ultimo suo libro è “Il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli”, pubblicato nel gennaio di quest’anno, ma la sua popolarità Antonio Menna, giornalista e collaboratore de “Il Mattino” di Napoli, la deve ad un libro del 2012, nato da un post pubblicato sul suo blog, dal titolo “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli”, dato alle stampe da Sperling & Kupfer e arrivato alla quinta edizione. Menna ha scritto, inoltre, i romanzi “Cocaina & Cioccolato” (2007), “Baciami molto” (2009) e “Tre terroni a zonzo” (2013). Stefano Piedimonte si è occupato, nelle testate per le quali ha lavorato, prevalentemente di cronaca nera. Tra i suoi libri, “Nel nome dello Zio” (2012), “Voglio solo ammazzarti” (2013) e il più recente “L’assassino non sa scrivere”. Menna e Piedimonte dialogheranno nel Chiostro di San Domenico con Silverio Curti e Brunella Solbaro.

Il tema, e non poteva essere diversamente, sarà “Giallo Partenope”. Chiuderà il ciclo degli incontri, infine, la scrittrice ravennate Alda Teodorani i cui racconti si sono rivelati fonte di ispirazione per diversi film. La conversazione tra Alda Teodorani e Vincenzo Montisano sarà sul giallo pulp. Simpatica appendice del Festival del Giallo e del Noir, domenica 29 novembre, alle ore 10,00, al Bar Due Palme di viale degli Alimena dove alcuni degli scrittori ospiti della manifestazione si presteranno a fare colazione con i lettori e gli appassionati del genere. Sabato, nel corso della giornata conclusiva, sarà, invece, riproposta la degustazione degli arancini di Montalbano preparati dagli allievi e dai docenti dell’Istituto Alberghiero “Mancini” di Cosenza, in omaggio al personaggio protagonista dei racconti e dei romanzi di Andrea Camilleri.

‘Come al cinema’ di Hannelore Cayre. Piccola fiaba giudiziaria tra straniamento, scene madri e paradossi

E se la giustizia non fosse altro che l’ennesima messa in scena di uno spettacolo che non si rinnova mai, 9788849843750_15E0049_Cayre_Piatto_HR dove a influenzare il giudizio è l’appeal più o meno affabulatore del primo attore? Se in un processo avessero maggior peso le intuizioni e le convinzioni personali piuttosto che l’effettiva innocenza o colpevolezza dell’imputato? Cosa accadrebbe se, come al cinema, bastasse rimanere comodamente seduti in poltrona e lasciar scorrere innanzi agli occhi la propria vita e quella altrui, in un’ordinaria sequela di ripensamenti, rimpianti, speranze, ambizioni e piani sequenza stagnanti? Questi gli interrogativi che Hannelore Cayre, scrittrice, regista e avvocato penalista francese, sembra voler proiettare sul lettore con la sua intensa piccola fiaba giudiziaria dal titolo Come al cinema uscita per i tipi di Rubbettino editore lo scorso aprile.
Giovane e affascinante rapinatore di banche, Abdelkader Furier si trova a Chaumont, località dell’Haute Marne, per affrontare il processo a suo carico. Sullo squattrinato ragazzo, che ha dalla sua oltreché un’eclatante avvenenza solo Jean e Anne Boylé, coppia d’avvocati di grido, incombe la pena all’ergastolo pretesa dal presidente della Corte d’assise, il temuto e implacabile ‘macellaio dell’Haute Marne’. Le ragioni di un simile accanimento sono da individuare nelle contraddizioni culturali e sociali delle quali il giovane rapinatore, figlio di madre algerina e padre normanno, è veicolo. “Là dove un osservatore parlerebbe di una giustizia secondo il colore della pelle del soggetto, il vecchio vedhannelore-cayreeva una sana misura di profilassi sociale. […] Quel povero ragazzo, quell’essere incomprensibile che rispondeva al nome di Abdelkader Furier, avrebbe senza dubbio buscato, a tamburo battente, la pena massima, con l’unanimità dei dodici giurati guidati dalla grande verve di Anquentin”.
Intanto, mentre a Chaumont si schiera la coppia d’assi dell’avvocatura parigina, poco distante, ospite di un semisconosciuto festival del cinema sulla Resistenza, dà mostra di sé e della propria malandata esistenza Ètienne Marsant, attempato divo del grande schermo, pieno di acciacchi e di questioni irrisolte, con l’inquietante timore della morte alle calcagna. “Una paura panica, sul genere di quella che vi fa nascondere sotto i sassi del vostro acquario purché Dio soprattutto non vi noti più”.
L’incontro tra i due principi del foro e la vecchia gloria del cinema nazionale condurrà alla messa in scena di un finale imprevedibile, dai risvolti paradossali e assurdi che non mancheranno di regalare al lettore intensi attimi di genuino divertimento. Hannelore Cayre mette quindi in scena ciò che conosce meglio: il cinema e la giustizia. L’autrice allestisce un set di caratteri spigolosi, luci soffuse e colori caldi che si alternano mostrando le molteplici angolazioni di una umanità esasperata, chiamata a fare i conti con l’assurdo cinismo della vita quotidiana.
La giustizia diviene uno spettacolo il cui gradimento sarà il termine di salvezza. I buoni sentimenti sono messi al bando, ciò che conta è solo l’illusione che il bello sia qualcosa che possa durare in eterno, in uno show che deve continuare nonostante i protagonisti si sentano ormai estranei ed esausti.
Dunque, cos’è la giustizia se non uno schermo nel quale il bene e il male si alternano strizzando a turno l’occhio allo spettatore? E quest’ultimo, comodo nella propria poltroncina, potrà quindi seguire la piccola fiaba giudiziaria, dalle venature nere e dai richiami camusiani, fino a che il sipario non calerà in maniera definitiva, lasciandosi dietro l’ironia di un racconto che ha avuto l’ardire (e il merito) di aver saputo illustrare brandelli d’esistenza con toni leggeri, puntuali, ma mai superficiali. Non rimarrà che l’attesa dei titoli di coda, come al cinema, appunto.

 

 

Daniela Lucia