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Gioacchino da Fiore, il profeta di Dio.

La più grande personalità del Medioevo che troviamo nella cittadina di San Giovanni in Fiore è senza ombra di dubbio l’abate Gioacchino da fiore. Egli nacque a Celico dal notaio Mauro e da sua moglie Gemma intorno al 1135 c.a. La sua formazione fu prettamente latina ed egli non ebbe nulla a che fare con i monaci greci, che al suo tempo avevano una posizione predominante nella Calabria meridionale, ma del tutto trascurabile in Val di Crati e nella Cosenza normanna. Ricevette le prime nozioni di educazione scolastica nella vicina Cosenza, dove spinto dal padre lavorò presso l’ufficio del Giustiziere della Calabria. A causa di contrasti insorti sul posto di lavoro, andò a lavorare presso i Tribunali di Cosenza. In seguito il padre riuscì a fargli ottenere un posto presso la Corte normanna a Palermo, dove lavorò prima a diretto contatto con il capo della zecca, con i Notai Santoro e Pellegrino ed infine presso il Cancelliere di Palermo l’Arcivescovo Stefano di Perche. Entrato in disaccordo anche con Stefano si allontanò definitivamente dalla Corte Reale di Palermo per compiere un viaggio in Terrasanta. Nel viaggio maturò un profondo distacco dal mondo materiale per dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture e rientrato in patria Gioacchino si ritirò dapprima in una grotta nei pressi di un monastero italo-greco posto sulle falde del monte Etna, poi tornò con un suo compagno a Guarassano, nei pressi di Cosenza. Qui fu riconosciuto e costretto ad incontrare il padre, che lo aveva dato per disperso. Al padre confessò di aver smesso di lavorare per il re normanno per servire il Re dei Re, Dio. Visse circa un anno presso l’Abbazia di Santa Maria della Sambucina, a Luzzi, che negli anni 1152-53 passava dai Benedettini ai Cistercensi, da cui si allontanò poi per andare a predicare dall’altra parte della valle vivendo nei pressi del guado Gaudianelli del torrente Surdo, vicino Rende. Poiché al tempo la predicazione di un laico non era ben accetta, Gioacchino compì un viaggio fino a Catanzaro, dove fu ordinato sacerdote. Secondo le fonti, nel 1177 Gioacchino venne eletto abate di Santa Maria di Corazzo, ma rinunciò scappando dapprima nel monastero della Sambucina, poi nel monastero del legno della croce di Acri poiché la vera ambizione di Gioacchino non era raggiungere un titolo, ma a studiare la Sacre Scritture e predicarle alla gente. Tuttavia riuscì a convincersi. In qualità di abate compì un viaggio nell’Abbazia di Casamari, nel Lazio tra il 1182 e il 1184. Durante la sua permanenza nell’Abbazia incontrò il papa Lucio III che gli accordò la “licentia scribendi“. Le sue dottrine ed il suo ideale di vita monastica austera e rigorosa, lo misero in urto con il suo Ordine dal quale intorno nel 1188 si staccò poiché non condividevano il suo continuo girovagare così distante. Il Papa Urbano III lo prosciolse così dai doveri abbaziali autorizzandolo a continuare a scrivere. Nel 1194 Gioacchino ebbe in concessione da Enrico IV un vasto tenimento in Sila e ottene privilegi sovrani su tutta la Calabria. Profondamente convinto del suo messaggio e ritenendosi “chiamato” ad una vera e propria funzione profetica, fondò una sua Congregazione Florense alla confluenza dei fiumi Arvo e Neto, in località Fiore, dove edificò un piccolo ospizio. In seguito all’aumentare del numero dei suoi seguaci, iniziò la costruzione di quella che doveva diventare l’Abbazia Madre dell’Ordine Florense. L’Abbazia venne dedicata a S. Giovanni Evangelista, alla Vergine ed allo Spirito Santo. Intorno all’edificio iniziarono a sorgere le abitazioni di allevatori, pastori, cacciatori, raccoglitori di pece e di tutti coloro che si insediavano in Sila per sfruttarne le grandi risorse naturali. Velocemente si formò un borgo che prese il nome del santo a cui era dedicata la chiesa e del posto sul quale la chiesa fu edificata: San Giovanni in Fiore. Gioacchino morì il 30 marzo 1202 presso Canale di Pietrafitta e fu seppellito nel monastero florense di San Martino di Canale. Il suoi resti furono traslati nell’abbazia di San Giovanni in Fiore verso il 1226, quando la grande chiesa era ancora in costruzione. L’abate Matteo, successore di Gioacchino, continuò l’opera ampliando le fondazioni florensi, nel periodo del suo abbaziato (1202-1234), l’ordine florense vantava oltre cento filiazioni, tra abbazie, monasteri e chiese, ognuna dotata di ampi tenimenti-tenute e possedimenti vari, sparse in Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Toscana e rendite che provenivano anche dalle lontane terre di Inghilterra, Galles e Irlanda.

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