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Kiave e Brunori insieme per il gusto di fare musica

COSENZA – Una conferenza stampa insolita quella di ieri nella Sala degli Stemmi della Provincia di Cosenza durante la quale si sono incontrati due mondi apparentemente lontani quello dell’hip hop di Mirko Filice in arte Kiave e del cantautorato di Dario Brunori per dimostrare quanto illusoria sia la conflittualità tra forme musicali diverse, quando la coesistenza si traduce nel completo abbandono di ogni pregiudizio di genere.

L’occasione è data dalla presentazione del video “Identità” quinto estratto del più urgente che arrabbiato album “Solo per cambiare il mondo”, girato in due giorni su una 500 bianca da Nicola Artico e Matteo Podini, per le strade della sua Cusè, con i suoi amici, con i suoi genitori e che vede la collaborazione di Brunori Sas.

E’ il singolo più importante dell’album sostiene Kiave probabilmente per la duplicità del significato di cui si fa portatore, Identità come senso di appartenenza a un gruppo, a un territorio ma anche Identità come alternativa al super ego.

Durante la presentazione non sono mancate le battute e gli sfottò, Kiave dichiara di aver scelto Brunori solo perché nessun altro era disponibile al momento e il cantautore cosentino risponde di aver accettato solo per una questione di cachet perché lui in realtà non è interessato al rap impegnato ma solo a quello edonistico fatto di puttane e discoteche e che è stata l’obiettività di Kiave a fargli crollare ogni dubbio, quando nel convincerlo a cantare un pezzo con lui lo ha decretato il miglior cantautore di sempre.

Ma oltre al sarcasmo ad accomunarli sono l’amore per le parole, l’orgoglio per le proprie origini, l’unione per la propria terra di appartenenza e a ribadirlo è l’assessore provinciale alla formazione e al lavoro Giuseppe Giudiceandrea che si dichiara orgoglioso di aver finanziato un progetto che vede la collaborazione di due vere eccellenze calabresi.

Alcune anticipazioni sono arrivate anche sul futuro lavoro di Kiave che sarà certamente meno hip hop e più concentrato sulla cura del suono, rinuncerà all’uso del campionamento senza tradire mai l’etica dell’indipendenza.

Le ultime battute sono per la musica a cui Kiave riconosce il merito di averlo salvato anche se “costretto” ad andar via dalla sua città, allora ancora troppo piccola per guardare oltre un paio di pantaloni eccessivamente larghi, ma promette di ritornare perché lo vuole prima di ogni cosa e perché sa bene che è ritornando laddove si amò la vita per la prima volta fatta di origini e di musica che si può vedere come solo ciò che resta orfano di noi può restituirci veramente tutto.

Gaia Santolla

Ecco il video

Yes we call, precari in cuffia

COSENZA – Videomaker, blogger, media attivista ma anche poeta e scrittore si tratta di Gabriele Fabiani che ieri all’interno della ricca programmazione della settima edizione della Settimana delle Biblioteche ha presentato in anteprima nazionale il suo ultimo libro “ Yes we call. Vita di un operatore call center” edito da Edizioni Periferia.

Un libro di inchiesta, di denuncia basato su quella che la sociologia chiama osservazione partecipata, Fabiani infatti diventa parte dell’argomento vivendo personalmente la tematica affrontata con uno spiccato sguardo critico. Una testimonianza unica ma identica per tutti, il simbolo di una successione di voci che raccontano una delle patologie dell’era moderna, il lato oscuro di quella che per molti rappresenta la normale quotidianità, l’incubo di ogni laureato contemporaneo, lavorare in un call center.

Inbound, outbound, co.co.co, telemarketing, provvigioni, licenziamento, sono i concetti cardini di una società in crisi con cui la nuova generazione ha necessariamente imparato a fare i conti e che Fabiani denuncia in un piccolo libro con un linguaggio fresco, acuto e comunicativo diventando quasi una sorta di manifesto di quella generazione vittima dello sfruttamento della manopera intellettuale.

Durante la presentazione si sono susseguiti alcuni interventi primo fra tutti quello dell’editore Pasquale Falco che ha evidenziato quanto la parola possa essere rivoluzionaria nella denuncia, ferendo chi deve essere ferito e ha condannato fermamente l’autocensura paragonandola a una desolante resa.

L’intervento dell’assessore provinciale al lavoro Giuseppe Giudicendrea si è incentrato sulle responsabilità che la politica deve prendersi per rimettere in moto la macchina degli investimenti reali e del mercato del lavoro che pur rimanendo flessibile non può continuare a condannare alla precarietà dell’esistenza.

L’ultimo intervento spetta ovviamente all’autore che spiega la triplice valenza di un libro che è di verità perché è autobiografico, di denuncia perché rivela le vessazioni di cui spesso gli operatori sono vittime, come il mobbing, e di richiesta perché si rivolge direttamente a chi ha l’obbligo di vigilare sul rispetto dei diritti umani che dovrebbero essere alla base di tutti i rapporti di lavoro.

Fabiani ringrazia i call center solo per aver trovato l’amore quello vero ma continua a lottare contro le fabbriche che producono precarietà perché vuole esortare tutti a liberarsi da questa nuova forma di alienazione mortificante, perchè vuole stimolare la fuga da una schiavitù fatta di obblighi e priva di tutele ma soprattutto continua a lottare affinchè la fatidica frase “si ma almeno lavoro” non diventi un modo per morire silenziosamente.

Gaia Santolla