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Crotone, fiaccolata in ricordo del povero Giuseppe

CROTONE – Migliaia di persone hanno preso parte alla fiaccolata organizzata per ricordare Giuseppe Parretta, il diciottenne, ucciso a Crotone da un vicino di casa, Salvatore Gerace, di 57 anni. Ad aprire il corteo uno striscione sorretto dagli amici della vittima, con la scritta “Peppe Vive”. La manifestazione, partita davanti al comune, si è protratta fino alla Cattedrale della città. Ha partecipato con gli altri due suoi figli anche la madre della vittima Katia Villirillo, presidente dell’associazione “Libere donne”, impegnata nel contrasto della violenza di genere. Al suo fianco il sindaco Ugo Pugliese. Il parroco della chiesa matrice, don Serafino Parisi, in chiusura del corteo, ha parlato di perdono e della necessità di «sconfiggere la violenza con l’amore». Il sacerdote ha invitato tutti i presenti a pregare. In tanti hanno portato dei lumini accesi lasciandoli davanti al portone dell’abitazione dove si è consumato il delitto.

L’assurdo movente del delitto

Intanto emergono nuovi dettagli sul delitto. Secondo quanto riferito in conferenza stampa dal vicario del questore, Antonio Ferrante, e dal capo della squadra mobile di Crotone, Nicola Lelario, non vi sarebbe alcun collegamento tra la tragica esecuzione e l’attività dell’associazione “Libere donne”. Alla base del delitto sarebbe solo la mania di persecuzione maturata da Salvatore Gerace. L’uomo, infatti, ha riferito agli investigatori di sentirsi spiato ritenendo che la nuova moto con la quale Giuseppe Parretta era arrivato a casa nel pomeriggio, rappresentasse un regalo proprio per questa attività di spionaggio nei suoi confronti: una motivazione assurda che Gerace ha riferito al pm della Procura pitagorica, Alfredo Manca. Dopo aver sparato al ragazzo, secondo le testimonianze raccolte sul luogo dell’accaduto, Gerace si è asserragliato nella sua abitazione. I poliziotti sono riusciti a farlo desistere e lui li ha condotti nella camera da letto dove ha consegnato l’arma usata, un revolver 38 con matricola abrasa.

Nel covo dei latitanti, anche un arsenale di armi e soldi

Arresti polizia di stato bunker crea e ferraro 2REGGIO CALABRIA – Un anno di indagini serrate, di pedinamenti, di prudenti perlustrazioni nella boscaglia e di telecamere piazzate finanche sui rami degli alberi. Alla fine però, il duro e prezioso lavoro di inquirenti e forze dell’ordine, ha prodotto un risultato eclatante: l’arresto di due superlatitanti, ricercati da diversi anni. Li hanno stanati sotto terra, in un rifugio bunker pieno di armi, sito nel cuore di una montagna tra Rizziconi e Melicucco, nella piana di Gioia Tauro. Era lì che i boss Giuseppe Ferraro e Giuseppe Crea si nascondevano e continuavano a dirigere le rispettive cosche. Tenere sotto controllo un luogo così impervio e isolato senza essere scoperti dalle sentinelle e dai corrieri dei capicosca, non è stata un’impresa semplice. Negli ultimi trenta giorni, gli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo hanno stretto il cerchio, riuscendo ad individuare una rete di fiancheggiatori composta da diverse persone, tutti uomini, che svolgevano diversi ruoli: rifornire di viveri i latitanti, controllare che nessun personaggio sospetto si avvicinasse, portare ai boss le informazioni e ricevere gli ordini. Il bunker era protetto nel raggio di un chilometro, fatto di sentieri sterrati e passaggi tra la boscaglia che finivano in una gola stretta. “Avevamo capito che erano lì – hanno detto gli inquirenti – e temevamo che potessero organizzare un cambio di covo, così abbiamo dato il via all’operazione”. Il blitz è scattato quando era ancora buio: 40 uomini dello Sco e della squadra mobile, divisi in quattro squadre, si sono suddivisi l’intera zona, mentre un quinto Arresti polizia di stato bunker crea e ferraroteam, composto da altre 10 persone oltre al capo della Mobile Francesco Rattà e al dirigente della prima sezione dello Sco Andrea Grassi, ha fatto irruzione. A guidarlo il vice capo della Mobile, Fabio Catalano. Arrivati in prossimità di un costone ripido e sconnesso, il team ha individuato un sentiero “che sembrava battuto”, fino a quando ha scoperto “una copertura anomala sul terreno, fatta con una specie di tenda mimetica”. Li’ sotto c’era il bunker, un edificio parte in muratura e parte in lamiera, un tugurio dove però i boss mangiavano ostriche, stando ai resti trovati dagli investigatori. Con corrente elettrica, tv satellitare e computer. “Abbiamo sfondato la porta con un’ariete e la prima cosa che abbiamo visto – dice ancora Arresti polizia di stato bunker crea e ferraro 3l’investigatore – è stato un letto a castello con 2 persone. Li abbiamo sorpresi nel sonno. Uno l’abbiamo riconosciuto subito. Avevamo fatto centro”. Ferraro e Crea erano vestiti, nessuno dei due aveva armi indosso e dopo esser stati immobilizzati non hanno detto una parola. Nel bunker gli investigatori hanno trovato pistole, fucili mitragliatori e, anche, dei detonatori. C’erano anche dei soldi: diverse banconote da 100 euro. E non è escluso che la scientifica possa trovare dell’esplosivo, sepolto da qualche parte nella zona. I due latitanti erano insieme a conferma che tra le due cosche era stata da tempo stretta una solida alleanza.

Il Comac di Montalto Uffugo rischia il fallimento

MONTALTO UFFUGO (CS) – Cercasi futuro per il Consorzio mercato agricolo alimentare della Calabria (Comac) e per i dodici dipendenti che da un anno, ormai, non percepiscono alcuna retribuzione. “La Regione Calabria, che è socio di maggioranza della società, provveda nell’immediato a risolvere la vertenza lavorativa del personale e si determini affinché si abbia un quadro chiaro sul futuro dell’azienda”.  È quanto ribadisce con determinazione il consigliere regionale della Casa della Libertà, Giuseppe Graziano, che in merito alla vicenda del Comac di Montalto Uffugo e per conoscere il futuro di questo importante centro commerciale si è fatto promotore di un’interrogazione consiliare.

Il coraggio di cambiare – commenta Graziano – passa anche dalla capacità delle istituzioni, della politica e della classe dirigente di occuparsi in modo concreto e nei fatti delle opportunità di sviluppo reali della mercatonostra Regione.  La condizione di precarietà ed incertezza in cui versa il Consorzio mercato agricolo alimentare della Calabria a Montalto Uffugo e, di conseguenza, le difficoltà alle quali è costretto il personale aziendale – precisa il Segretario questore del Consiglio – sono inaccettabili. Gli unici a farsi carico di questa realtà, rendendola ancora oggi quanto più produttiva, sono le dodici unità lavorative, ma che allo stesso tempo non percepiscono lo stipendio da maggio 2014.

Il Comac poteva essere una realtà virtuosa per l’economia del meridione e soprattutto un punto di riferimento imprescindibile per tutti i produttori agricoli dell’intero comprensorio della provincia di Cosenza, dal Pollino alla valle del Crati, passando per la Sibaritide.