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Il debutto del nuovo portale telematico Nerd30

8 Aprile 2021, una data da ricordare. Da ieri è infatti online il nuovo portale telematico Nerd30Uno spazio nuovo, pieno di persone che lo hanno riempito di passioni e parole.

Nerd30 è un progetto nato 6 anni fa in seno ad Ottoetrenta.it con lo spirito di un esperimento. 

Può la cronaca concedersi di buttare un occhio al lato nerd (ludico) della società? La risposta fu promettente. Piena di riscontro da parte di chi, guardandoci con occhi alieni, iniziò a dare credito alla nostra voce.

Sono passati tanti anni, Nerd30 è cresciuto tra le mani di una redazione che ben ne delineava le forme e la soddisfazione. Quella stessa soddisfazione che nasceva nelle fiere, quando un/a otaku non troppo timido/a afferrava le pagine dei giornalini e li sfogliava davanti allo stand. Oppure, quando un/a nerd chiedeva, con un po’ di incertezza: “allora posso parlare con voi del mio manga preferito?” E ancora, quando da un post o una diretta live ne scaturiva un’occasione di confronto genuino, con tutta quella voglia di parlare di ciò che è presente nelle vite di tutti i giorni, ma spesso ci si vergogna ad esternare.

Nerd30 oggi

Nerd30 rimane una redazione di persone che adorano, a distanza di anni, comunicare ciò che riempie la vita di arte e creatività. Ed, dall’8 aprile 2021, un portale telematico appunto.

«Che di portale, se ci pensiamo – racconta la redazione guidata da Miriam Caruso (già redattrice di Ottoetrenta.it) -, ne abbiamo sempre un po’ parlato con i colori del nostro logo: i videogiocatori capiranno ben presto a cosa ci riferiamo».

E ancora: «Ciò che realmente ci spinge a essere Nerd30 è la caparbietà di questo spirito a forma di gatto, Maneki, che ci ha sempre accompagnati negli anni. Rappresenta, con i suoi lunghi baffoni, la nostra vibrante capacità di adattarci e comunicare. La magia di conoscere artisti di tutti i tipi, con i background più disparati, ma che convogliano tutti nell’espressione di interiorità, tipica di chi ha un mondo dentro da esternare in: colori, parole, suoni, illustrazioni, stoffe, animazione, ritualità, spettacolo, storie, fantasia, fantascienza e potremmo continuare questo elenco per giorni».

Buon viaggio ragazzi, da tutta la redazione di ottoetrenta.it l’augurio di un percorso lungo e ricco

Per saperne di più: Nerd30.it.

Oscars 2020, ecco la lista completa dei vincitori premiati dall’Academy

Eccoci agli Oscars 2020, l’evento più atteso dell’anno per gli appassionati di cinema.

La cerimonia di consegna degli Oscars, i premi più importanti del mondo della settima arte, si è svolta poche ore fa al Dolby Theatre di Los Angeles, in California.

Anche l’edizione numero 92, come lo scorso anno, ha fatto a meno di un presentatore. In ogni caso non sono mancati sul palco i grandi nomi del cinema contemporaneo che hanno consegnato i premi ai loro colleghi. Tra le star più importanti che sono salite sul palco ricordiamo, tra le altre: Jane Fonda, Tom Hanks, Oscar Isaac, Natalie Portman, Chris Rock, Mahershala Ali, Timothée Chalamet, Olivia Colman, Penélope Cruz, Gal Gadot, Salma Hayek, Regina King, Shia LaBeouf, Brie Larson, Spike Lee, Rami Malek, Keanu Reeves, Mark Ruffalo.

UNA SERATA TRA PRONOSTICI E SORPRESE

Le candidature per l’edizione numero 92 degli Oscar erano state annunciate lo scorso 13 gennaio. Ben 11 le candidature riservate al Joker di Todd Phillips, già vincitore a Venezia della Palma d’Oro, seguito dalle 10 nomination di 1917 di Sam Mendes, The irishman di Scorsese e Once upon a time… in Hollywood di Quentin Tarantino, tutti in lizza sia per Miglior film che per Miglior Regia. Una gara tra quattro possenti candidati, dunque, insidiati dalla pellicola rivelazione dell’anno, la sud-coreana Parasite del regista Bong Joon-ho, in corsa anche nella categoria Miglior Film Straniero.

Una serata di pronostici confermati ma anche di sorprese inaspettate: il regista sudcoreano Bong Joon-ho ha conquistato la statuetta per la Migliore Regia, soffiandola al superfavorito Sam Mendes e il film Parasite ha portato a casa il premio più ambito, quello per il Miglior Film. A mani vuote The irishman di Scorsese e molti meno premi del previsto per Tarantino e il Joker di Todd Phillips, che acciuffano 2 statuette a testa, come anche Ford v Ferrari. Solo un riconoscimento a testa, invece, per Marriage story, Jojo rabbit e Little women.

Ma ecco di seguito la lista completa dei vincitori.

MIGLIOR FILM

  • 1917
  • The irishman
  • Once upon a time… in Hollywood (C’era una volta a… Hollywood)
  • Little women (Piccole donne)
  • Joker
  • Jojo rabbit
  • Marriage story (Storia di un matrimonio)
  • Ford v Ferrari (Le Mans ’66 – La grande sfida)
  • Parasite

MIGLIORE REGIA

  • Sam Mendes – 1917
  • Bong Joon-ho – Parasite
  • Todd Phillips – Joker
  • Quentin Tarantino – Once upon a time… in Hollywood
  • Martin Scorsese – The irishman

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA

  • Joaquin Phoenix – Joker
  • Adam Driver – Marriage story
  • Leonardo Di Caprio – Once upon a time… in Hollywood
  • Antonio Banderas – Dolor y gloria
  • Jonathan Pryce – The two popes (I due papi)

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA

  • Scarlett Johansson – Marriage story
  • Renée Zellweger – Judy
  • Saoirse Ronan – Piccole donne
  • Cynthia Erivo – Harriet
  • Charlize Theron – Bombshell (La voce dello scandalo)

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA

  • Joe Pesci – The irishman
  • Al Pacino – The irishman
  • Anthony Hopkins – The two popes
  • Tom Hanks – A beautiful day in the neighborhood (Un amico straordinario)
  • Brad Pitt – Once upon a time… in Hollywood

MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE

  • Noah Baumbach – Marriage story
  • Quentin Tarantino – Once upon a time… in Hollywood
  • Bong Joon-ho e Han Jin-won – Parasite
  • Rian Johnson – Knives out (Cena con delitto)
  • Sam Mendes e Krysty Wilson-Cairns – 1917

MIGLIORE SCENEGGIATURA NON ORIGINALE

  • Todd Phillips e Scott Silver – Joker
  • Greta Gerwig – Little women
  • Anthony McCarten – The two popes
  • Taika Waititi – Jojo rabbit
  • Steven Zaillian – The irishman

MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE

  • Dolor y gloria – Pedro Almodovar (Spagna)
  • Bong Joon-ho – Parasite (Corea del Sud)
  • Boże Ciało – Jan Komasa (Polonia)
  • Medena zemja – Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov (Macedonia del Nord)
  • I miserabili (Les Misérables) – Ladj Ly (Francia)

MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE

  • Klaus (I segreti del Natale) – Sergio Pablos
  • J’ai perdu mon corps (Dov’è il mio corpo?) – Jérémy Clapin
  • How to train your dragon: The hidden world (Dragon Trainer: Il mondo nascosto) – Dean DeBlois
  • Missing Ling – Chris Butler
  • Toy Story 4 – Josh Cooley

MIGLIORE FOTOGRAFIA

  • Jarin Blaschke – The Lighthouse
  • Roger Deakins – 1917
  • Rodrigo Prieto – The irishman
  • Robert Richardson – Once upon a time… in Holywood
  • Lawrence Sher – Joker

MIGLIORE SCENOGRAFIA

  • Dennis Gassner e Lee Sandales – 1917
  • Lee Ha-jun e Cho Won-woo – Parasite
  • Barbara Ling e Nancy Haigh – Once upon a time… in Hollywood
  • Bob Shaw e Regina Graves – The irishman
  • Ra Vincent e Nora Sopková – Jojo rabbit

MIGLIORE MONTAGGIO

  • Andrew Buckland e Michael McCusker – Ford v Ferrari
  • Tom Eagles – Jojo rabbit
  • Jeff Groth – Joker
  • Thelma Schoonmaker – The irishman
  • Yang Jin-mo – Parasite

MIGLIORE COLONNA SONORA

  • Alexandre Desplat – Little women
  • Hildur Guðnadóttir – Joker
  • Randy Newman – Marriage story
  • Thomas Newman – 1917
  • John Williams – Star Wars: The rise of Skywalker (Star Wars: L’ascesa di Skywalker)

MIGLIORE CANZONE

  • I Can’t Let You Throw Yourself Away (Randy Newman) – Toy Story 4
  • (I’m Gonna) Love Me Again (Elton John, Bernie Taupin) – Rocketman
  • I’m Standing With You (Diane Warren) – Breakthrough (Atto di fede)
  •  Into the Unknown (Kristen Anderson-Lopez e Robert Lopez) – Frozen II (Il segreto di Arendelle)
  • Stand Up (Joshuah Brian Campbell, Cynthia Erivo) – Harriet

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI

  • Matt Aitken, Dan DeLeeuw, Russell Earl e Daniel Sudick – Avengers: Endgame
  • Greg Butler, Dominic Tuohy e Guillaume Rocheron – 1917
  • Leandro Estebecorena, Nelson Sepulveda-Fauser e Stephane Grabli e Pablo Helman – The irishman
  • Roger Guyett, Neal Scanlan, Patrick Tubach e Dominic Tuohy – Star Wars: The rise of Skywalker
  • Andrew R. Jones, Robert Legato, Elliot Newman e Adam Valdez – The Lion King (Il Re Leone)

MIGLIOR SONORO

  • David Giammarco, Paul Massey e Steven A. Morrow – Ford v Ferrari
  • Tom Johnson, Gary Rydstrom e Mark Ulano – Ad Astra
  • Todd Maitland, Tom Ozanich e Dean Zupancic – Joker
  • Christian P. Minkler, Michael Minkler e Mark Ulano – Once upon a time… in Hollywood
  • Mark Taylor e Stuart Wilson – 1917

MIGLIOR MONTAGGIO SONORO

  • David Acord e Matthew Wood – Star wars: The rise of Skywalker
  • Alan Robert Murray – Joker
  • Wylie Stateman – Once upon a time… in Hollywood
  • Donald Sylvester – Ford v Ferrari
  • Oliver Tarney e Rachael Tate – 1917

MIGLIORI COSTUMI

  • Mark Bridges – Joker
  • Jacqueline Durran – Piccole donne (Little Women)
  • Arianne Phillips – Once Upon a Time… in Hollywood
  • Sandy Powell e Christopher Peterson – The Irishman
  • Mayes C. Rubeo – Jojo Rabbit

MIGLIOR TRUCCO E ACCONCIATURA

  • Vivian Baker, Anne Morgan e Kazuhiro Tsuji – Bombshell
  • Rebecca Cole, Naomi Donne e Tristan Versluis – 1917
  • Kay Georgiou e Nicki Ledermann – Joker
  • Paul Gooch, Arjen Tuiten e David White – Maleficent: Mistress of Evil (Maleficent: Signora del Male)
  • Jeremy Woodhead – Judy

MIGLIOR DOCUMENTARIO

  • For Sama (Alla mia piccola Sama) – Waad al-Kateab ed Edward Watts
  • The Cave – Feras Fayyad
  • Edge of Democracy (Democrazia al limite) – Petra Costa
  • American Factory (Made in USA – Una fabbrica in Ohio) – Steven Bognar e Julia Reichert
  • Medena zemja – Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO DOCUMENTARIO

  • In the Absence – Yi Seung-jun
  • Learning to Skateboard in a Warzone (If You’re a Girl) – Carol Dysinger
  • Life Overtakes Me – Kristine Samuelson e John Haptas
  • Louis Superman – Smriti Mundhra e Sami Khan
  • Walk Run Cha-Cha – Laura Nix

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO

  • Ikhwène – Meryam Joobeur
  • Nefta Football Club – Yves Piat
  • The Neighbors’ Window – Marshall Curry
  • Saria – Bryan Buckley
  • Une sœur – Delphine Girard

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D’ANIMAZIONE

  • Dcera – Daria Kashcheeva
  • Hair Love – Bruce W. Smith, Matthew A. Cherry e Everett Downing Jr.
  • Kitbull – Rosana Sullivan
  • Mémorable – Bruno Collet
  • Sister – Sigi Song

 

Anime 2010-2019: la top10 del decennio secondo Saitony

Il decennio 2010-2019 è ormai giunto al termine. Dieci anni che hanno visto crescere il mondo degli anime, sia in termini di quantità delle serie prodotte, sia per quanto riguarda il numero di persone che hanno scoperto questo bellissimo media.

Di seguito mi accingo a stilare quelli che, per il vostro Saitony, sono i migliori 10 anime del decennio. Vi ricordo che, nonostante abbia cercato di essere il più oggettivo possibile, si tratta di una classifica assolutamente personale, anche perché sarebbe impossibile riuscire a guardare tutte le oltre 100 serie che escono ogni anno.

10) DEATH PARADE (2015)

Decima posizione per Death Parade, anime originale in 12 episodi prodotto da Madhouse, che segna l’esordio alla regia di Yuzuru Tachikawa, che è riuscito a confermarsi come un regista di grande talento con lo splendido adattamento di Mob Psycho 100.

Death Parade è una serie che si incentra sui sentimenti legati alla morte. Una serie matura, che riesce a coinvolgere fin dal primo episodio per la sua narrazione e per l’ottimo comparto visivo. L’episodio finale è meraviglioso per i temi trattati e per le emozioni che fa provare. La scena della pattinata sul ghiaccio resta una delle migliori scene singole degli ultimi anni. Distribuito in home-video da Dynit, è disponibile anche su VVVVID, Netflix e Amazon Prime Video.

9) SPACE DANDY (2014)

Al nono posto abbiamo Space Dandy, anime originale prodotto da studio Bones e diretto dal grande Shinichiro Watanabe (Cowboy Bebop). Dandy è una serie completamente folle, in cui tanti artisti dell’animazione giapponese hanno riversato tutto il loro talento, creando una sorta di trattato sull’animazione di alto livello. La struttura episodica tipica di Watanabe va a convergere in un finale assurdo, che nella sua follia riesce anche a dare qualche spunto su cui riflettere. Divertimento assicurato e grande, grandissima animazione. È disponibile su VVVVID.

8) DEVILMAN: CRYBABY (2018)

Ottava posizione per il nuovo adattamento del capolavoro di Go Nagai. La serie di 10 episodi è prodotta da Science SARU, con regia del genio Masaaki Yuasa. La serie riesce a trasportare perfettamente la narrazione di Devilman (un manga dei primi anni ‘70) ai giorni nostri, con l’aggiunta di cellulari e social network. Grande fedeltà agli storici temi del manga, modernizzati per renderli attuali, il solito design bizzarro a cui Yuasa ci ha abituati, che calza a pennello per adattare Devilman, animazioni fluide, musiche tra le più belle degli ultimi anni e grande rispetto per la narrazione originale: questo è Devilman: Crybaby. Yuasa ha creato il suo Devilman e noi non possiamo essere altro che contenti. Disponibile su Netflix.

7) PING PONG: THE ANIMATION (2014)

Al settimo posto abbiamo nuovamente il nostro Masaaki Yuasa, con il suo adattamento in 11 episodi del manga sportivo di Taiyo Matsumoto. Ping Pong è senza alcun dubbio una delle migliori serie sportive di sempre, grazie alla costruzione di alcuni dei personaggi più umani che si siano visti in un’opera d’animazione. Partendo da un presupposto simile è molto semplice rimanere incantati dalla narrazione. La storia di Smile e Peco ha delle premesse e un’evoluzione eccezionali, tanto che a fine visione sentirete la mancanza di quei personaggi, ma capirete di aver provato qualcosa di unico, che sarà utile anche nella vita. Ping Pong è questo: una delle massime espressioni della vita stessa, un turbinio di tutto ciò che rende bella la nostra esistenza. Disponibile su VVVVID.

6) SAKAMICHI NO APOLLON (2012)

Sesta posizione per l’adattamento in 12 episodi del manga di Yuki Kodama, prodotto da MAPPA e diretto nuovamente dal maestro Shinichiro Watanabe. Sakamichi No Apollon è una delle migliori storie d’amicizia che si siano mai viste in un anime, nel suo passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta. Kaoru e Sentaro sono due personaggi completamente diversi, ma la loro diversità li unirà in quell’amicizia che tutti cercano, quella vera. La storia è accompagnata da quel ritmo jazz che è anche la metafora della vita. Un’opera straordinaria, che tutti dovrebbero vedere, per capire quello che è veramente importante in un rapporto. Un Watanabe inedito, che dimostra ancora una volta di essere uno dei più grandi rappresentanti dell’animazione giapponese. Disponibile via fansub.

5) HUNTER X HUNTER (2011)

Quinta posizione per il secondo adattamento del capolavoro di Yoshihiro Togashi, prodotto da Madhouse e diretto da Hiroshi Koujina. Hunter x Hunter è uno shonen da cui tutti gli altri dovrebbero prendere ispirazione, a partire dai personaggi, vero marchio di fabbrica di Togashi, che riesce a caratterizzarli tutti alla perfezione, anche quelli meno importanti. Passando poi per l’incredibile varietà di temi affrontati nelle varie saghe, che cambiano registro continuamente, restando comunque coerenti con la narrazione. In particolare Yorkshin City e Formichimere, due saghe che reinventano il manga per ragazzi. Senza dimenticare il personaggio di Meruem, che si sviluppa da un design che ricorda un misto tra Cell e Freezer, diventando poi uno dei più grandi villain che si siano visti in un’opera di finzione.

La grandezza della narrazione di Togashi è proprio quella di riuscire a rendere originali anche gli stereotipi, come l’aura combattiva, già vista in decine di opere. Il suo Nen è forse il potere shonen più complesso mai creato, con una quantità di limitazioni che Togashi stesso si impone per non rendere il suo manga un’accozzaglia di power-up. Da questo nascono alcuni dei migliori scontri mai visti in uno shonen, sempre contornati da un Togashi che spiega continuamente le dinamiche dello scontro, rendendolo estremamente realistico nella sua finzione. 148 episodi in cui vi verrà spesso da dire: “Non ho mai visto una cosa simile”. L’adattamento Madhouse, dopo una partenza traballante, riesce a cogliere molto bene l’essenza dell’opera di Togashi, nonostante sia chiaro che la voglia dello studio sia quella di rendere l’opera più adatta a un pubblico generalista. In ogni caso, ne vien fuori uno dei migliori adattamenti shonen mai creati. Questo è Hunter x Hunter, uno dei migliori manga e anime di combattimenti di sempre. Disponibile via fansub.

4) MONOGATARI: SECOND SEASON (2013)

Al quarto posto abbiamo l’adattamento della Second Season delle Monogatari Series, serie di light novel scritte dal grande Nisio Isin. Dopo Bakemonogatari, è stata proprio la Second Season a farmi innamorare definitivamente di questa serie. Partendo dalla grande regia di Akiyuki Shinbo, che ci trasporta in un mondo surreale, fatto di geometrie incredibili. Merito anche degli eccezionali personaggi, che in alcuni archi avranno la loro definitiva evoluzione. Monogatari è una serie che fonda quasi tutta la sua essenza sui monologhi interiori di Araragi e nei dialoghi con gli altri personaggi. Ogni singolo arco è un insegnamento irrinunciabile, che dimostra per l’ennesima volta la maestosità della scrittura del buon Nisio. Bisognerebbe menzionare anche i vari Kizumonogatari e Owarimonogatari, ma dovendo scegliere una sola serie, la mia preferenza è andata alla Second Season. Monogatari è una serie che sperimenta attraverso l’animazione, quindi non si può far altro che apprezzarla. Disponibile via fansub (Consigliato Akuma-Subs).

3) SHOUWA GENROKU RAKUGO SHINJOU (2016)

Terza posizione per l’adattamento in 25 episodi del manga josei di Haruko Kumota, realizzato da Studio Deen, con regia Mamoru Hatakeyama.

Difficile non definire Rakugo un capolavoro assoluto: una serie che parla di arte e di tradizione e di come l’evoluzione artistica venga influenzata dalle tradizioni. Gli eccezionali personaggi della serie cercano di mantenere vivo il genere teatrale del “rakugo”, in cui un singolo attore racconta una storia. Uno degli aspetti migliori di Rakugo è il suo ritmo, lento ma poderoso. Vi verrà da divorare un episodio dietro l’altro. La prima stagione è composta quasi interamente da un lungo flashback, uno dei migliori che abbia mai visto, per poi proseguire con una seconda stagione sontuosa. Una regia pazzesca, che riesce a valorizzare le scene di Rakugo con le inquadrature più disparate. Inoltre, nonostante io non sia un amante del doppiaggio giapponese, in questo caso trovo che sia stato fatto un lavoro incredibile. I racconti scorrono che è una meraviglia, anche grazie allo straordinario lavoro in fase di incisione. Disponibile su VVVVID.

2) UN MARZO DA LEONI (2016)

Al secondo posto abbiamo uno dei principali candidati ad anime preferito del sottoscritto, sperando che venga proseguito con una terza stagione. Un marzo da leoni è l’adattamento in due stagioni da 22 episodi ciascuna dell’omonimo manga di Chika Umino, realizzato da studio Shaft e Akiyuki Shinbo.

3-Gatsu No Lion è una serie praticamente perfetta. Si parte da un protagonista meraviglioso, in cui in molti potranno rispecchiarsi, passando per dei comprimari favolosi. La Umino è un genio assoluto nella creazione dei personaggi e lo aveva già dimostrato con il precedente Honey & Clover, altra serie consigliatissima. In questo caso viene raccontata la vita di Rei Kiriyama, giovanissimo giocatore professionista di shogi. La Umino ci fa entrare ripetutamente nella testa del protagonista, un personaggio tormentato fin dall’infanzia, che troverà dei legami inaspettati con le persone che lo circondano. La regia di Shinbo riesce a esaltare i momenti riflessivi della serie, con delle trovate stilistiche originali e ben dosate. Insieme a Rakugo è la seconda serie da 10 pieno di questo decennio. Disponibile su Netflix.

1) STEINS;GATE (2011)

Infine, al primo posto abbiamo l’adattamento della visual novel targata 5pb e Nitroplus, realizzato da studio White Fox, con regia del grande Hiroshi Hamasaki. Steins;Gate è una delle opere a tema “viaggio nel tempo” più coerenti e ben scritte che esistano. Una sceneggiatura di ferro regge una delle serie fantascientifiche migliori di sempre. Dopo una prima metà di introduzione, si viene catapultati in una serie di eventi imprevedibili, con un ritmo forsennato, in compagnia di personaggi assolutamente memorabili. Mettiamoci anche un Hiroshi Hamasaki raramente così in forma e otteniamo la perfetta fusione di forma e sostanza, di arte e intrattenimento. Disponibile su VVVVID e Netflix.

A UN ALTRO DECENNIO DI INCREDIBILI ANIME

Abbiamo quindi concluso la nostra TOP10. Voglio aggiungere che è stato difficilissimo riuscire ad estrarre solo 10 serie, perché tantissime altre avrebbero meritato una posizione in classifica, come i vari Psycho Pass, Mushishi Zoku Shou, Star Blazers 2199, Rainbow, Katanagatari, Fate/Zero, Mawaru Penguindrum, Your Lie In April, Shirobako, Hibike! Euphonium, Ushio e Tora, Mob Psycho 100, One Punch Man, Haikyuu, Made In Abyss, A place further than the universe e The Tatami Galaxy.

Speriamo di rivederci tra 10 anni per la prossima TOP10!

Antonio Vaccaro

 

 

 

Storia di un matrimonio – Recensione del film Netflix

Dal 6 dicembre è disponibile su Netflix Storia di un matrimonio del regista Noah Baumbach con Scarlett Johansson e Adam Driver.

La storia del cinema contemporaneo è costellata di pellicole che raccontano l’amore, il matrimonio e il divorzio, ma in questo film Baumbach ha scelto di dare un taglio tutto personale alla storia che viene raccontata in 136 minuti di lacrime, ironia, costernazione e quotidianità.

Il cinema ci ha regalato molte pellicole che indagano sullo sgretolarsi di quell’istituzione che è il matrimonio. Da Divorzio all’italiana fino a Kramer contro Kramer, diversi registi si sono impegnati a rappresentare quanto c’è di più comune nella vita degli esseri umani: la fine di un amore. In particolare, l’occhio scrutatore dei registi si è posato spesso su quelle che sono le implicazioni legali, sociali e familiari di un divorzio.

SEPARARSI PER CAPIRSI

Questo è ciò che fa anche Noah Baumbach in Storia di un matrimonio. A dirla tutta, l’interesse del regista per la tematica era già emerso in una sua precedente pellicola. Ne Il Calamaro e la Balena il divorzio veniva raccontato attraverso gli occhi di un bambino. In Storia di un matrimonio, invece, Baumbach narra il divorzio dal punto di vista della coppia e, soprattutto, dal punto di vista di ciascun membro della coppia.

Ecco cosa rende questa pellicola tanto originale nell’ambito della cinematografia su affetti, famiglia e relazioni. Per una volta, la fine dell’amore, il crollo del matrimonio divengono pretesto per soffermarsi sull’individualità di chi compone il matrimonio stesso e la coppia. Percorrendo le tappe di un “noi”, dall’intimità fino al punto di rottura, Baumbach riflette su come, a volte, sia necessario aspettare la fine per capire, su come solo la rottura permetta di comprendere meglio se stessi e la propria relazione.

LA PERFEZIONE CELA L’ODIO

Protagonisti della storia sono Charlie e Nicole Barber. Lui regista teatrale perfezionista di New York, lei attrice di cinema di Los Angeles. I due s’incontrano per caso e si ritrovano l’uno nell’altro. S’innamorano. Il matrimonio, poi un figlio. Le loro vite sono sincronizzate e sembrano perfette, tra casa e palcoscenico. Ma la perfezione, si sa, nasconde spesso un’insidia, che attende il momento giusto per destarsi. Così, all’improvviso, Nicole si accorge che quello che sta vivendo è un sogno a occhi aperti… ma non il suo. A lungo ha creduto che il suo sogno fosse quello di Charlie. Solo dopo tempo e un brusco risveglio sulla realtà si rende conto di non essere la protagonista di quel sogno, ma soltanto una comparsa. Torna a Los Angeles con il bambino. “Momentaneamente”, una parola sussurrata, ma gli occhi non mentono: entrambi sanno, pur non ammettendolo, che nulla tornerà più come prima.

Charlie e Nicole si sono amati, forse si amano ancora, nonostante il risentimento, i sogni persi, il conoscersi così a fondo e l’abitudine. Nonostante in quell’amore si faccia strada, irruento come un fiume che consuma la roccia, un odio inaspettato, ma così realistico da fare quasi male. Perché, come l’arte insegna da sempre, amore e odio sono due facce della stessa medaglia, due poli di un magnete: l’uno non esiste senza l’altro. La separazione di Nicole e Charlie inizia pacificamente, è adulta benchè pregna di sofferenza emotiva e interiore. Ogni spettatore, perfino chi non ha attraversato un’esperienza simile, lo percepisce. E percepisce tutto il dolore e la quotidianità sfilacciata che si celano nei silenzi, nelle lacrime trattenute, nelle espressioni attonite, fino all’esplosione finale.

IL DOLORE PASSA DAGLI OCCHI

La sensibilità di Noah Baumbach, forse maturata da una recente esperienza personale, traspare potente in ogni fotogramma di questa pellicola, che si snoda lenta ma densa tra i primi piani dei protagonisti su cui spesso la camera indugia per lunghi istanti. Istanti preziosi che catturano l’occhio di chi guarda che, rapito, non può distogliere mente e animo dallo schermo.

Sublimata da un montaggio incisivo, la regia di Baumbach è fluida, perfetta per la narrazione di questa storia. Predilige i primi piani, lasciando che siano gli occhi a raccontare, ancora più dei dialoghi. Dialoghi che oscillano tra quotidiana comicità e violenza verbale, sfiorando silenzi che si caricano di rumore. Una comunicazione visiva quella messa in atto da Baumbach che, attraverso gli occhi, si propone di raccontare il mondo interiore di due persone, che percepiscono la morte dell’io nel noi e lo riscoprono al di fuori del matrimonio. Charlie e Nicole, provocati dalle insinuazioni dei rispettivi avvocati, si aggrappano a colpe e amarezze rimproverate all’altro. Le riportano a galla con verosimile violenza e si travestono delle versioni più grottesche di se stessi. Nicole vuole brillare ed essere al centro dell’attenzione, mentre Charlie, quasi rassegnato, rischia di diventare l’uomo invisibile.

Ciò che più colpisce in questa pellicola è il tessuto di realtà che inzuppa ogni scena. Non c’è enfasi artificiale, non ci sono emozioni così accentuate da risultare finte. La sensibilità che percorre tutta la sceneggiatura (dello stesso Baumbach) è così fine che si estende come un ramo gentile dal copione fino alle performance degli attori. Pochi sono i personaggi in scena, perchè tutta l’attenzione si concentri sui due eccezionali protagonisti.

ADAM DRIVER E SCARLETT JOHANSSON DA OSCAR

Scarlett Johansson, finora imbrigliata nel ruolo della femme fatale e della supereroina bellissima, riesce finalmente a dimostrare un talento che faticava a emergere. La sua presa di coscienza è cruda e vera e toccante. In un tempo in cui ancora alla donna si chiede di essere madre per sentirsi realizzata, Nicole è una donna che dà voce a tutte le donne. Perchè l’amore è puro, forte, totalizzante ma non deve divorare l’io e il suo sogno. E una simile dimenticanza non può che sfociare in un egoismo doloroso ma necessario.

Che Adam Driver fosse un attore di talento era noto ai più (è suo il Kylo Ren della nuova trilogia di Guerre Stellari) ma anche ai cineasti più raffinati (Blackkklansman, L’uomo che uccise Don Chisciotte, Silence). In Storia di un matrimonio ne dà ulteriore prova. Fa sorridere, provoca immediata empatia. Appare temibile, in un momento di rabbia guizzante. Quest’interpretazione è una straordinaria dimostrazione delle doti di questo giovane attore, capace di esprimere un ventaglio incredibilmente ampio di emozioni e sensazioni, senza mai apparire forzato. Un candidato perfetto per la statuetta più ambita dagli attori, ma certamente non è necessario un premio che dimostri quanto valga.

Non meno brillanti i due attori di supporto: Laura Dern e Ray Liotta. Interpreti di due legali, danno una rappresentazione perfetta del concetto di “avvocato del diavolo”. Cinici, spregiudicati: non esitano a ricorrere a subdole manipolazioni per ottenere la vittoria nella battaglia legale. La Dern e Liotta sono limpido esempio di quegli avvocati ipercompetitivi, che istigano i loro assistiti al contrasto acceso e alla denigrazione. Quella che doveva essere una separazione pacifica e consensuale diviene terreno di uno scontro ideologico tra due io che per la prima volta si trovano sganciati da quel noi in cui si erano amalgamati. L’ingerenza dei due avvocati alimenta la scintilla della rivalsa e del risentimento. Incomprensioni e non detti trasformano il “cosa amo di questa persona” in uno sbottato e sofferente “vorrei che morisse”.

L’AUTOPSIA DI UN AMORE

Storia di un matrimonio è una rappresentazione quasi teatrale di uno spaccato di vita. Non a caso, il teatro, la recitazione divengono nella pellicola una valvola di sfogo dei sentimenti contrastanti che seguono al cedimento del rapporto amoroso. Il regista, come su un palcoscenico, mette in scena un gioco delle parti. Tutto è buio e gli spettatori possono rivolgere la loro attenzione ai due fasci di luce bianca che illuminano Charlie e Nicole. Sono loro i protagonisti e, pur nella finzione, appaiono così umani, prendono voce e ritrovano una personalità smarrita: di fronte a una telecamera, prendendo in mano un microfono. Sì, la performance di Adam Driver nella canzone Being alive (dal musical Company di Stephen Sondheim) esprime tutto il bisogno d’amore che pure resta dopo una separazione dolorosa, perfino tra due persone che si sono odiate ma che, forse, non hanno mai smesso di amarsi e mai lo faranno.

Storia di un matrimonio non è pertanto solo un film sul divorzio. È un film sull’amore, sulle sue molteplici sfumature, sulla ricerca di sè e il bisogno di essere amati, anche e soprattutto nel dolore e nella solitudine. Con acuta empatia, pezzo dopo pezzo, il film costringe i protagonisti ad affrontarsi e il pubblico a scontrarsi con una tempesta emozionale.

Storia di un matrimonio s’insinua sotto pelle, ferisce profondamente, prende possesso del nostro posto, rovina il sonno. Ma rende consapevole di cosa vuol dire, davvero, essere vivi.

Francesca Belsito

Hearthstone: la discesa dei draghi. Svelata la nuova espansione

La storia che la Blizzard sta portando avanti da un anno con il bene che si scontra contro il m.a.l.e arriva ad un nuovo capitolo: la discesa dei draghi.

L’ultima espansione dell’anno del drago in Hearthstone termina appunto con l’arrivo dei draghi. Molte delle nuove carte, infatti, apparterranno a questo sottotipo, senza contare le carte eroe del drago progenitore Galakrond.

LE NUOVE MECCANICHE DI GIOCO

Oltre le 140 nuove carte, l’espansione porterà con sè 2 nuove meccaniche nel gioco di carte Hearthstone:

  1. invocazione: giocare servitori o magie con questa nuova dicitura potenzierà l’effetto delle nuove carte eroe Galakrond;
  2. missioni secondarie: molto simili alle missioni leggendarie, ma piu semplici da completare e con ricompense ovviamente più moderate.

Le classi che rappresentano la banda del m.a.l.e avranno Galakrond. Al contrario, i membri della Lega degli esploratori avranno come alleati i vecchi aspetti dragonici, anche se con nuovi poteri.

Non mancheranno  le missioni speciali per ottenere buste della nuova espansione che, ricordiamo, possono essere cambiate. Perciò, fate attenzione.

Inoltre la “nuova” modalità battaglia dovrebbe uscire dal periodo di beta testing, sbloccando tutte le sue funzioni che finora erano limitate ai soli possessori del preorder.

Ovviamente ci dovremo aspettare una nuova avventura, che sarà disponibile da gennaio, anche se questa volta non sarà la solità “dungeon run”, bensì sarà molto più simile alle vecchie avventure (ad esempio Karazhan o Frozen Throne).

Non ci resta che sperimentare nuovi mazzi con nuovi archetipi e fare il tifo per la fazione preferita!

Giulio Ciambrone

Superliminal, tra sogno e prospettiva. Alla scoperta del titolo Pillow Castle

Che succede quando arte e psicanalisi si incontrano nel mondo videoludico? Nasce Superliminal.

Superliminal è un gioco di prospettiva forzata: questo vuol dire che tutto, all’interno del gioco (giocatore compreso), è soggetto a cambiamenti di prospettiva a seconda della sua posizione su un immaginario piano cartesiano.

UN GIOCO DI PROSPETTIVA

Superata la definizione in stile Wikipedia, possiamo fare un passo in avanti e uscire dai normali canoni del videogame per proiettarci in quella che è l’essenza di Superliminal: un tour nell’arte della prospettiva che strizza l’occhio ad artisti del calibro di Escher, Dalì e Brunelleschi. La prospettiva, però, non viene sondata solo dal punto di vista artistico ma anche da quello psicoanalitico di stampo freudiano, sfiorando sottilmente la critica estetica. Potranno sembrare paroloni accodati a nomi altisonanti, ma datemi fiducia per qualche altro paragrafo e vi mostrerò l’arte messa in scena dai Pillow Castle.

Molto spesso, soprattutto negli ultimi tempi, il mercato ci ha abituato a titoli per lo più lineari, prevedibili nella storia ma complessi nella giocabilità. Non tirerò in mezzo i giochi alla Souls, perché abusati ormai in ogni recensione videoludica, ma mi atterrò invece all’effettività del gioco. E soprattutto a ciò che è riuscito a trasmettermi, da vecchio giocatore che ha divorato floppy, CD e Blu-Ray di videogiochi e si è anche un po’ annoiato a morire nei baratri come tutorial.

TRA PUZZLE E SOGNO

In Superliminal non si spara e non si muore perché è un puzzle game. Al massimo ci si può innervosire per la difficoltà nel risolvere un puzzle. In Superliminal non ci si annoia mai e questo perché i Pillow sono riusciti, nelle due ore circa di gioco, a creare meccaniche sempre differenti e originali, passando dalla semplicità escheriana dello spostare gli oggetti sul piano a un sistema di portali che ingrandiscono e riducono intere ambientazioni.

La storia inizia con il nostro protagonista che fa il suo ingresso in un sogno lucido. Questa esperienza, pilotata da un’azienda del settore, dovrebbe aiutare nella ricerca della tranquillità. Tutto, però, cambia quando usciamo dai confini della struttura monitorata e ci spostiamo nel backstage. A molti amanti dei puzzle game in prima persona, questo può ricordare il titolo Valve “Portal e non posso dissentire. È un chiaro riferimento, come lo è anche il senso di positività e umorismo. Tuttavia, quel passo all’esterno della struttura ha un profondo significato che forse dal principio non riusciremo a cogliere, ma con una pura immanenza estetica che ci condurrà su un sentiero impervio e intellettualmente diverso.

Da quel momento, infatti, gli scienziati non riescono più a trovarci. Siamo esterni allo schema e impossibili da svegliare. Perfino cadere nel vuoto, risveglio di emergenza in Inception, non funziona. Cadere, invece, ci farà piombare ancora più in profondità nel sogno, aprendoci un nuovo capitolo del gioco. Qui si scopriranno molti altri retroscena, si troveranno ambientazioni orrorifiche, umoristiche e infantili, ma lascio a coloro che lo proveranno il piacere della scoperta.

UNA SINFONIA TRA LE PARTI

Il livello tecnico di esecuzione è eccellente. Nonostante l’utilizzo del motore Unity, non proprio il massimo per la grafica 3D, non ho riscontrato bug, al massimo qualche glitch grafico sugli oggetti troppo grandi. Il level design è ambizioso ma concorde allo sfruttamento della meccanica prospettica del gioco. Tutto è funzionale alla dinamica prospettica del gioco, persino la musica che muta di pitch a seconda della grandezza dell’oggetto da cui proviene.

Quest’opera è di sicuro esempio eccellente di quando il team di una software house lavora come una forza concertata, rendendo la propria opera una sinfonia egregiamente strutturata in ogni sua parte. Dalla musica ai testi, tutti i settori hanno dato il loro contributo in ogni momento e traspare chiaramente il divertimento che ne è venuto nel farlo. Divertimento palpabile dal giocatore che, inconsapevolmente, segue le vicende, rincorre il risveglio, fino al raggiungimento del climax finale del tutto inaspettato.

ORIGINALITÀ E PUNTI DI VISTA

Non siamo davanti ad un capolavoro da tripla A, non è quello l’aspetto che mi ha deliziato del gioco. Ciò che veramente rende unico questo titolo sono l’aspetto creativo, l’originalità, i colpi di scena psicologici e persino motivazionali, fuori schema ma mai fuori plot. I puzzle sempre diversi sono riusciti a farmi dimenticare del tempo, a farmi chiedere se non mancasse qualcosa alla mia visione e se l’unica cosa effettiva da fare non fosse cambiare il punto di vista sul problema per riuscire a risolverlo.

Superliminal è questo: un tour in un museo in cui il museo stesso amplia i propri dedali all’interno della psiche di ognuno di noi.

Daniele Mr. Ink Ferullo

Per saperne di più sul gameplay, qui l’esperienza di gioco in streaming sulla nostra pagina facebook Nerd30.

https://www.facebook.com/NerdA30/videos/2776297835742446/

[#SpecialeStradeDelPaesaggio] Intervista all’artista Diala Brisly

In occasione de “Le Strade del Paesaggio” abbiamo avuto l’immenso piacere di conoscere Diala Brisly.

Di origine siriana, Diala Brisly è un’artista e attivista di fama internazionale. Nata in Kuwait, ha esordito nel mondo del fumetto grazie al canale Spacetoon. Specializzata nell’animazione, è molto legata alla street art, come forma d’arte per tutti. La sua è un’arte responsabile, socialmente e politicamente. Inoltre, è grande sostenitrice dell’arte come terapia. Da artista e attivista impegnata, nel 2014 ha lavorato per il reinserimento scolastico dei bambini nei campi profughi. Oggi vive a Parigi, non potendo più rientrare in Libano. Nell’intervista ci ha raccontato di sè e della sua arte.

Buona visione!

Intervista a cura di Miriam My Caruso

Riprese e Montaggio a cura di Daniele Mr. Ink Ferullo

[#SpecialeStradeDelPaesaggio] Intervista a Roberto Megna e Carlo Cid Lauro

Durante il festival “Le Strade Del Paesaggio” abbiamo incontrato Roberto Megna e Carlo Cid Lauro alias Dick and Cok.

Roberto Megna, fumettista e colorista, e Carlo Cid Lauro, disegnatore, sono ormai una coppia consolidata nel mondo del fumetto. Ma cosa c’è nel futuro di Dick and Cok? E quali progetti hanno in serbo i due, sia individuali che come squadra ormai rodata? Ce lo hanno raccontato nel corso della spiritosa intervista.

Buona visione!

Intervista a cura di Daniele Icelo Pezzolla

Riprese e Montaggio a cura di Daniele Mr. Ink Ferullo

[#SpecialeStradeDelPaesaggio] Intervista a Gio Quasirosso

Durante il festival “Le Strade del Paesaggio” abbiamo avuto il piacere di incontrare Gio Quasirosso.

Giovanni Esposito, in arte Gio Quasirosso, è un giovane illustratore napoletano. Si è fatto conoscere al grande pubblico quando ha iniziato a pubblicare le sue illustrazioni su Facebook e Instagram. Autore del volume “Quasirosso” edito Shockdom, Gio Quasirosso ci ha parlato d’ispirazione e aspirazioni, del suo approccio all’arte e alla fantasia.

Per conoscere un po’ meglio questo giovane e brillante illustratore, ecco la nostra intervista.

Buona visione!

Intervista a cura di Francesca Pandora Belsito

Riprese e Montaggio a cura di Daniele Mr. Ink Ferullo

[#SpecialeStradeDelPaesaggio] Intervista al disegnatore Daniele Bigliardo

In occasione de “Le Strade del Paesaggio” abbiamo avuto il piacere di incontrare Daniele Bigliardo.

Disegnatore di fumetti e scenografo, ci ha raccontato tantissimi aneddoti sulla sua carriera nel mondo dell’arte e del disegno. Dopo l’esordio nel teatro, al fianco di mostri sacri come Mario Martone ed Eduardo De Filippo, è approdato nella squadra della Sergio Bonelli Editore per i disegni delle storie di Dylan Dog. Da scenografo a “raccontatore per immagini”, Daniele Bigliardo è questo e molto altro.

Buona visione!

Intervista a cura di Miriam My Caruso

Riprese e Montaggio a cura di Daniele Mr. Ink Ferullo