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Un superperizia farà luce sulla morte di Tarsitano, il giovane di Pietrafitta

COSENZA – Mario Tarsitano aveva 26 anni quando è morto nel 2013. Il giovane di Pietra fitta si era rivolto al proprio medico curante con sintomi di fame d’aria e forte tachicardia. Fu inviato a casa con consiglio di iniziare una terapia anti-ansia. Ma il giovane continuava a stare male e decise così di rivolgersi anche alla guardia medica di Aprigliano. Il medico lo rasserenò confermando le scelte del primo che si trattava di stati d’ansia. Dopo oltre 15 giorni Mario Tarsitano morì tragicamente a causa di una embolia polmonare massiva misconosciuta. I familiari all’indomani della morte del ragazzo pretesero chiarezza sul decesso. “Mario era un ragazzo che godeva di ottima salute” e la sua scomparsa prematura era inspiegabile agli occhi dei genitori che presentarono una denuncia. La salma, come da protocollo, venne sequestrata e conservata in una cella frigorifera dell’obitorio di Cosenza. Ma all’arrivo dei medici legali, cinque giorni dopo, il cadavere è già in avanzato stato di decomposizione e non fu possibile eseguire l’autopsia. Il suo corpo fu lasciato in una cella frigorifera non funzionante ad una temperatura di 32 gradi alla fine del mese di giugno con gravi compromissioni per la valutazione tanatologica delle cause del suo decesso. La Procura di Cosenza a seguito di tali emergenze fu costretta a richiedere l’archiviazione del procedimento per omicidio colposo pur in presenza di un dettagliato dossier della Polizia Scientifica della Questura di Cosenza che evidenziò molteplici criticità nella gestione del corpo di Mario Tarsitano ben potendosi ipotizzare il vilipendio di cadavere, considerato l’avanzato stato di putrefazione della salma riscontrato dai consulenti della procura i quali dovettero astenersi dall’effettuare l’esame autoptico. Furono indagati e assolti in altro procedimento penale i responsabili dell’ Azienda Ospedaliera di Cosenza, anche in presenza di documenti ufficiali che definirono testualmente le celle frigorifere della struttura obitoriale dell’ospedale “obsolete” perché risalenti agli anni ‘60 e per questo non riparabili, oltre che lasciate in totale stato di abbandono per un lungo periodo di tempo e senza qualsivoglia manutenzione che potesse garantire il servizio a cui la struttura obitoriale, per altro delle dimensioni come quelle di un Ospedale come quello di Cosenza, era preposta.

La famiglia Tarsitano non ha mai creduto alla morte naturale del giovane e per questo decisero di affidarsi all’avvocato Massimiliano Coppa, esperto in colpa medica, il quale ha nominato un collegio di periti autorevoli delle varie Università Italiane: il Prof. Pietrantonio Ricci Ordinario di Medicina legale all’Università di Catanzaro, il Prof. Vincenzo Pascali Ordinario di Medicina legale all’Universita Cattolica di Roma Policlinico Gemelli ed il Prof. Francesco Alessandrini Ordinario di Cardiochirurgia all’Università Cattolica di Roma Policlinico Gemelli. I rilievi difensivi dell’Avv. Coppa in sede giudiziaria hanno pure puntato il dito sul vilipendio della salma e sugli accertamenti dalla Polizia Scientifica della Questura di Cosenza che accertò come : “…l’intero plesso obitoriale dell’ Azienda Ospedaliera di Cosenza era privo di aria condizionata e dalle macchine installate fuoriusciva aria forzata e calda. Si constatò che le celle frigorifere non producevano l’adeguata temperatura di conservazione tanto che non si percepiva la differenza con l’ambiente esterno; le stesse sono ubicate in un ambiente antistante la porta della sala settoria. Nella medesima sala i due splitter ivi installati emanano aria calda. La temperatura evidenziata dall’orologio-termometro ivi presente è di 31 gradi, confermata a 32 gradi, anche da altra apparecchiatura in uso”.

L’avvocato Coppa

Il deposito della superperizia del Tribunale di Cosenza guidati dalla Prof.ssa. Isabella Aquila ha quindi accertato non solo le “gravi inadempienze diagnostico assistenziali”, aggiungendosi alle conclusioni dei consulenti della Procura di Cosenza ed alla relazione di servizio della Polizia Scientifica della Questura di Cosenza che diedero ampio riscontro alle contestazioni circa la “difettuale gestione del corpo in vita di Mario Tarsitano con evidente violazione del sentimento di pietas”, non solo nel culto ma anche e soprattutto nel rispetto delle spoglie umane, considerato che il bene giuridico violato nel caso del giovane Tarsitano era rappresentato da un legittimo interesse etico-sociale diffuso, proprio di ciascun membro della collettività, in quanto radicato nell’umanità in ogni epoca storica e cultura, astraendo dalle qualità rivestite dal soggetto allorché era in vita, configurando detta violazione perpetrata ed accertata una concreta lesione dalla quale la famiglia Tarsitano intende riceverne la reintegra dei danni. “Il catalogo dei casi determinati dalla legge, ha concluso il difensore della famiglia Tarsitano, raccogliendo l’istanza proveniente dalla più recente meditazione giurisprudenziale “non costituisce numero chiuso” e, sulla scorta di tali contingenze è stato chiesto al Tribunale di Cosenza, in applicazione degli esposti principi di diritto, di condannare anche la Azienda Ospedaliera di Cosenza al risarcimento del danno non patrimoniale subito da tutta la famiglia Tarsitano in conseguenza del fatto illecito da ravvisarsi nella omessa manutenzione della struttura obitoriale ed in particolare delle celle frigorifere con tutte le conseguenze che la violazione ha comportato in punto di violazione dell’interesse sotteso alla tutela delle spoglie umane è individuato dalla dottrina giuridica nella pietà dei defunti. Tale violazione ha determinato la lesione del diritto inviolabile al rispetto e alla pietas verso la salma del giovane Mario Tarsitano, imponendo di sollecitate al Tribunale – ha concluso l’avvocato Coppa – di tenere conto delle modalità del fatto e dell’oggetto della violazione dei diritti, della risonanza che l’episodio ha avuto sulla stampa locale, della particolare intensità della sofferenza psichica subita dalla famiglia Tarsitano al momento della scoperta e dell’inevitabile protrarsi della stessa per tutta la vita, ogni volta che verrà ricordato l’episodio delittuoso o, comunque, il prossimo congiunto