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Inaugurazione della personale di Ortale

CASTROVILLARI (CS) – La prima personale di pittura e scultura del giovane artista autodidatta locale, Francesco Ortale, intitolata “Sguardi”, curata e promossa dall’associazione culturale Mystica Calabria e patrocinata dal Comune di Castrovillari, verrà inaugurata sabato 29 marzo alle 18.30, nella Sala Museale del Castello aragonese per essere a disposizione del pubblico sino al 6 aprile.

Al “battesimo” espressivo interverranno il sindaco Domenico Lo Polito, il consigliere regionale Gianluca Gallo, la giornalista Katia Cairo e il docente di Storia dell’Arte Mario Vicino.

Il percorso espositivo, tra ritratti di personaggi e approcci alla tecnica scultorea, connota l’ispirazione di Francesco Ortale, particolarmente attento e sensibile all’opera del grande Maestro Andrea Alfano che guarda con interesse e stupore per ciò che ha saputo creare. Uno sguardo per capire ed approfondire il pensiero artistico e poetico dello straordinario artista castrovillarese vissuto nel XX secolo che ha lasciato un’eredità artistica tutta da scoprire.

I pochi, essenziali colori di Francesco Ortale presenti nella personale rappresentano nelle immagini uno «strazio di luce» come egli stesso la definisce che è poi il frammento di un’esistenza fissata sulla tela. L’arte di Ortale, per chi lo segue da tempo, è pittura ispirata, è scultura suggerita, senza geometrie.

“Di una casa stagliata e tagliata dalla luce io vedo – afferma l’artista una forma disfatta, esangue, che fa ostacolo, che chiude, che soffoca, ma valida, per essere docilmente riempita di sensi non suoi”.

Un’espressività tutta da vedere, intendere e carpire, come i messaggi che vengono trasmessi pretendono, ribadendo la sensibilità da cui s’irradiano, ricca del desiderio umano alla ricerca dell’essenza, quella che dà gusto e consistenza al nostro essere provato ed assetato di verità.

L’Armonia degli Opposti nelle Tele di Agostino Bonalumi al Museo Marca

Rosso e Nero, 1968
CATANZARO- A pochi mesi dalla sua scomparsa, il MARCA dedica una grande retrospettiva all’artista Agostino Bonalumi, protagonista indiscusso della fervida stagione di rinnovamento artistico in Italia. La mostra, curata da Alberto Fiz e dal figlio dell’artista Fabrizio, ripercorre la sua carriera dalle prime prove di carattere informale fino alle sue recenti sperimentazioni. Per comprendere “l’alfabeto bonalumiano”, espressione coniata dal critico d’arte Gillo Dorfles, bisogna conoscere il clima all’interno del quale egli ha sviluppato la propria ricerca pittorica.
Nero, 2009

Durante i rivoluzionari anni ´60 nel mondo dell’arte avviene un’importante trasformazione: gli artisti sentono la necessità di smuovere la massa e di ridurre lo iato esistente tra opera d’arte e pubblico attraverso una serie di provocazioni e di sperimentazioni. Mentre il sodale Piero Manzoni sfida le regole del sistema dell’arte con la celebre “Merda d’artista” e con i suoi “Acromes” in polistirolo, Bonalumi non abbandona la pittura e realizza le prime “estroflessioni”: rigonfiamenti e avvallamenti della tela ottenuti grazie a particolari strutture retrostanti. Le tele monocromatiche presentano all’interno delle imbottiture in paglia o in gommapiuma che servono a dare un effetto scultoreo. In seguito, l’artista inserisce delle tavolette di legno e anche dei fili di ferro. Le prime tele sono cucite grazie all’aiuto della moglie con una vecchia macchina Singer acquistata a poco prezzo.

Come molti artisti della sua generazione, Bonalumi subisce il fascino dei celebri “tagli” di Lucio Fontana, ma il suo interesse principale non è varcare la superficie del quadro per raggiungere “l’infinito”, bensì dilatare lo spazio di là dello spettatore. Egli si propone di creare un rapporto simbiotico tra il quadro e chi osserva, dando così avvio a una pittura-oggettuale basata sul delicato equilibrio tra rigore geometrico e impatto sensoriale. Il culmine della sua ricerca è raggiunto con l’opera di quasi due metri e mezzo d’altezza intitolata Rosso e nero del 1968. Realizzata in ciré, materiale molto elastico e lucido, la tela è costituita da forme geometriche acuminate che si inseguono in una specie di arabesco vivificato da una luce molto intensa. L’universo pittorico di Bonalumi è un continuo andirivieni di linee rettilinee e convesse, di contrasti tra forze centrifughe e centripete.

Durante tutta la sua carriera l’idea progettuale rimane sempre quella: una perfetta sintesi tra rigore geometrico e sfera dei sensi. Se con la Scultura di bronzo del 2010 assistiamo a un’esaltazione di forme vibranti e baroccheggianti, con Nero si ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a un ventre materno. Un cambio di rotta nel percorso dell’artista lombardo avviene, alla fine dalla sua carriera, grazie all’uso del filo di ferro che determina un tracciato irregolare all’interno della tela. Infinite diramazioni, rettilinee e curvilinee, non scaturiscono più della volontà dell’artista ma sono determinate esclusivamente dal “caso”. Compare, dunque, una riflessione sull’azione della componente irrazionale prima assente nel suo lavoro.

Artista versatile, dedito anche alla poesia, Bonalumi sarà sempre ricordato per aver saputo instaurare un legame profondo tra opera d’arte e ambiente circostante e per aver ribaltato il concetto di visione con la messa a punto di un gioco di luci e ombre che provoca un senso di straniamento nello spettatore. Forse l’ambiguità e il fascino della sua opera scaturiscono proprio dalla presenza simultanea di elementi discordanti, oltre che da un’incessante smania di ottemperare una riconciliazione tra natura e artificio.

                                                                                                   Marianna Leone

Scultura di Bronzo, 2010

Condivisi: Moda, foto e teatro raccontano le maschere

LAMEZIA TERME (CZ) –  “Il romanzo meraviglioso nasce dalla capacità del romanziere di interpretare le maschere degli uomini attraverso la sua maschera-psiche per farne i volti dei suoi personaggi.” Con queste parole, di Aldo Busi nel Manuale del perfetto Papà, è possibile spiegare in breve la mostra di arte organizzata dall’associazione lametina inoper@, con il patrocinio del Comune di Lamezia Terme, che Sabato 15 e Domenica 16 Marzo ha animato la splendida location di Palazzo Nicotera.

Un mix di arte che va dalla fotografia alla pittura, passando per la moda, la scultura, il teatro. Artisti calabresi che hanno voluto mettersi in gioco per esprimere la loro visione della “Maschera”, il tema centrale della mostra espositiva “Condivisi”.

Già dai primi gradini del palazzo si respira un’aria di mistero e di farsa, tipica del periodo carnevalesco terminato pochi giorni fa. Ad accogliere il pubblico, Ilaria e Alfonsina, alcune modelle mascherate con il trucco, che camminano e sfilano tra sale del palazzo e tra le persone, accompagnandole e indossando gli abiti della celebre stilista lametina Elena Vera Stella, l’artista che crea capi per modelle, ma anche per persone comuni che vogliono un abito d’ Alta Moda, perché “la moda va sfruttata per esprimere se stessi e comunicare quell’Io che spesso si vuole nascondere dietro una maschera.”



Nella prima sala risalta subito all’occhio l’idea originale e innovativa di Riccardo Altieri e Antonio Renda, fotografi, che per la mostra scelgono uno shooting fotografico formato da location cittadine in bianco e nero, su ciascuna delle quali è impressa, con un eccellente lavoro di grafica, una maschera differente, tratta da celebri film del passato (tra cui The Mask, Batman, Hannibal Lecter, Pinocchio). Ma il nesso non è casuale, ha un senso ben definito (la maschera di V per Vendetta sul parco Peppino Impastato, come lotta alla criminalità ne è un esempio) ed è reso più comprensibile dalle citazioni che accompagnano ogni fotografia. La stanza scura è illuminata solo da luci colorate che danno una prospettiva camaleontica alle foto, donando un effetto molteplice ed assumendo quasi un significato diverso ad ogni colore.

Franz Mazza, fotografo, opta per uno shooting classico: la figura umana. E sopratutto il volto, “perché ogni volto, in sé, è una maschera; ossia, ogni individuo si rapporta alla “massa” nel modo in cui questa lo descrive. Ma ogni individuo ha più caratteri e più sfaccettature. Ci consideriamo “uno”, mentre la società ci considera “nessuno” o “centomila” a seconda della maschera che indossiamo.”

 

Damiano Cerra, fotografo, sceglie l’identità femminile: “la donna costretta dalla cultura e dalla società in cui vivono, a recitare il ruolo che gli viene assegnato.” E allora, nei suoi scatti la maschera è intesa come vestito che, una volta indossato, costringerà la donna a mettere in atto comportamenti a ruoli definiti: la donna forte e combattente come una guerriera amazzone; la donna sensuale a tutti i costi, ammaliatrice di uomini; la donna di casa, colonna portante della famiglia.

 

Ferdinando Cimorelli, pittore e scultore, guarda il contenuto della maschera: le sue sculture in arte pop, ritraggono soprattutto dei teschi. In particolare, da un ceppo di quercia (nella foto, in alto a sinistra), l’artista scava all’interno per mettere in risalto una metà di cranio, a voler indicare che ” anche se tutti indossiamo una maschera, scavando scavando, siamo tutti uguali.”

 

 

 


Riccardo Tropea
, pittore, indaga e spazia tra varie culture. Le sue opere, infatti, richiamano da un lato la mitologia greca (Pan, Zeus e Apollo), e quindi quel teatro greco dove le maschere servivano a caratterizzare il personaggio e dare un suono più udibile alla platea, fino a raggiungere i confini della Terra con i Maori ed il loro Moko: il tradizionale tatuaggio con cui questa popolazione dipinge i propri volti. “La maschera si fa identità. Una maschera che non cela, ma rivela; una non-maschera capace di raccontare la storia di un uomo. I segni vengono aggiunti man mano che l’uomo cresce e descrivono la sua vita, il suo lavoro, la discendenza e il clan di appartenenza.”

Conclude la mostra, Achille Iera, giovane attore lametino, impegnato in una eccezionale interpretazione di un monologo tratto dall’opera “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello. Interpretazione resa ancora più affascinante da un blackout tecnico. E allora, l’ombra proiettata su un muro da una luce artificiale, impressiona: un uomo che parla, racconta qualcosa; un uomo che non è nessuno, perché ad eccezione del contorno, della forma, è tutto nero, senza dettagli; ma è anche centomila, perché ciascuno degli ascoltatori, in quell’ombra, può vederci se stesso.

L’associazione inoper@ ringrazia il Comune di Lamezia Terme, gli artisti che hanno partecipato, Igers Lamezia Terme e quanti hanno contribuito con qualche offerta e con la propria presenza a questa mostra culturale.
All’evento hanno partecipato gli assessori Giusi Crimi e Rosario Piccioni, oltre che al Sindaco Gianni Speranza.

 


Roberto Tarzia  

Poesia e pittura per un nuovo happening a “Le Baccanti”

SAN MARCO ARGENTANO (CS) – “Quando un Poeta e un Pittore si incontrano, succedono cose strane”. Questo è il tema del nuovo happening culturale promosso dal centro enoculturale “Le Baccanti” di San Marco Argentano (CS).

La mostra collettiva, denominata “L’esatto contrario”, organizzata e promossa da Alessandro Brusco e Tiziana Russo, sarà esposta per alcune settimane nelle suggestive sale del centro winery e viveyard e si inaugurerà alle ore 20.30 di venerdì 26 luglio 2013 alla presenza dell’artista Maurizio Esposito e del pittore Angelo Gnoato. Nel corso della kermesse, il poeta amalgamerà le sue poesie e le sue “frasi di ghiaccio” a scatti fotografici e a paesaggi inventati. Questa eclettica collana di opere improvvisate sul posto sarà esposta sotto il titolo “Poesie a Colori”. Contemporaneamente, il pittore riporterà su tela e su ceramica un contesto a lui familiare e vissuto, fondamentalmente semplice e genuino. Il Poeta e il Pittore hanno scelto questo percorso comune per certificare che l’Arte può esistere e coesistere aldilà di ogni passata esperienza, a patto che sarà esposta per alcune settimane si costruisca insieme un futuro.

Tutto questo, mentre gli osservatori degusteranno i prodotti tipici locali, accompagnati da un calice di buon vino calabrese, si potrà parlare sedendo al tavolo del migliore centro enoculturale della Valle dell’Esaro.

 

 

Dal 25 luglio personale del pittore Andrea Canale

GERACE (RC) – Sarà inaugurata il prossimo giovedì 25 luglio alle ore 18:30, alla presenza del Sindaco di Gerace Giuseppe Varacalli, la personale del pittore Andrea Canale. La mostra – ospitata a Palazzo Tribuna, sede del Museo Civico Archeologico della città dello sparviero – accosterà tempere e olii rappresentanti alcuni degli scorci più suggestivi dell’antico borgo, oltre a momenti legati alle tradizioni e al folclore della città, e sarà visitabile gratuitamente fino al 31 luglio, dalle ore 10 alle 12 e dalle 17 alle 22.

Nato a Reggio Calabria nel 1962, Canale ha compiuto studi artistici diplomandosi presso il Liceo Artistico “Mattia Preti” del capoluogo reggino, per dedicarsi poi quelli universitari in medicina, con specializzazione in oncologia e psichiatria, e perfezionandosi in psichiatria transculturale ed evoluzionistica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Appassionato di disegno fin dalla fanciullezza, Andrea Canale coltiva nel tempo libero questa sua attitudine, dipingendo da autodidatta: attratto dalle figurativo e dall’arte classica, si interessa alle antiche tecniche pittoriche maturando il desiderio di perfezionare il proprio percorso artistico sperimentando personalmente tali tecniche.

Nel gennaio del 2012 ha presentato presso la sala mostre del Palazzo Storico della Provincia di Reggio Calabria, la personale “Lo cunto de’ li cunti”, una raccolta di olii su tela ispirati alle favole classiche, tematica cara all’autore e che gli ha consentito di partecipare in qualità di relatore al seminario “Medioevo fantastico: la favola tra immagini e metodologia didattica”, tenutosi presso l’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria.

Al luglio dello scorso anno risale infine la personale “Alchimie di Luce” tenutasi presso la Galleria d’Arte Toma del capoluogo reggino, dove Andrea Canale tuttora vive e svolge la propria attività di psichiatra e psicoterapeuta, continuando a coltivare la propria passione per il disegno e la pittura, dimostrando in tali campi doti peraltro apprezzate sia dalla critica che dal pubblico: un motivo in più per visitare la sua mostra geracese.

 

 

I cardi di Mimmo Sancineto

 Castrovillari (Cs) – Dopo un susseguirsi di mostre in note città italiane, che hanno ottenuto esiti positivi di valutazione critica, Mimmo Sancineto, a distanza di molti anni, espone nella sua Galleria d’Arte, a Castrovillari, un’affascinante personale monotematica: I Cardi.

L’Artista, puntando su un unico tema, ha sfidato il rischio di cadere in un refrain monotono e ripetitivo, rischio che ha abilmente evitato, grazie all’abilità tecnica che gli ha permesso di creare avvincenti “sinfonie” cromatiche, mediante la variazione dei colori, forti nel timbro e armoniosi nella partitura dei toni, fino a ottenere sfumature delicate e trasparenti.

Una pittura espressionista, che pur traendo ispirazione dalla natura, non la imita, ma la ricrea nell’interiorità di una visione del tutto personale. Eliminando la tradizionale prospettiva, Sancineto scandisce in profondità lo spazio pittorico tramite larghe spatolate, giustapponendo sulla tela dense zone di colori corposi. Tra i piani cromatici si elevano i “suoi” cardi. Prodotto della terra, il cardo, pianta erbacea delle Composite, con fusto e foglie spinosi, produce fiori a capolino di colore rosso, lilla, viola, giallo. Esistono diverse specie di cardo, Sancineto dimostra di averne una conoscenza approfondita.

Sancineto sceglie il cardo forse perché è un ortaggio secolare, molto diffuso anche nella nostra terra. Nell’antichità il cardo aveva un duplice significato: positivo e negativo. Nel primo caso, considerando che la pianta, una volta spezzato il frutto, ritornava a fiorire, simboleggiava una vita lunga e vigorosa. Nel secondo caso sovviene l’inesorabile sentenza di Dio, quando Adamo, dopo essere stato cacciato dall’Eden, si sentì dire : “Spine e cardo produrrà per te la terra” (Genesi 3,18) nel senso che per procurarsi il cibo l’uomo, da allora in poi, avrebbe dovuto soffrire e subire dure prove.

Nel Nuovo Testamento il cardo, poiché ha fusto e foglie spinosi, assume significato cristologico, rimanda alla Passione e alla corona di spine, posta dai soldati di Pilato sul capo di Cristo.

Sancineto in alcuni dipinti evidenzia le spine e le punte sporgenti del filo spinato entro il quale e anche oltre svettano i coloratissimi cardi. In filigrana egli riesce a veicolare l’eterno dissidio tra il bene e il male, inoltre fa percepire la precarietà della bella stagione nel raffigurare i cardi rinsecchiti, privi di colore; in questo caso l’impasto grigiastro si fa ancor più ispido.

In tante altre tele le spine invece scompaiono, i fiori si vedono nell’esilità dell’infiorescenza, nella carnosità delle foglie, nei singoli capolini. Le splendide tele raffiguranti i cardi senza spine attestano un messaggio di luce e di speranza. Gli sfondi azzurri, verdi, rosati, rossi, gialli, arancio fanno riacquistare al cardo il primitivo significato di buon auspicio contro il flusso delle forze negative. In virtù del suo carattere solare, l’Artista è portato ad esaltare il bene e il bello di una natura inventiva e incontaminata.

Estemporanea di pittura “Ri tratti di città”

COSENZA – Rinviata la scorsa settimana a causa del maltempo, si svolgerà sabato 8 dicembre la manifestazione estemporanea di pittura “Ri tratti di città”, che avrà come protagonista il centro storico, dove gli artisti partecipanti potranno ritrarre gli angoli preferiti.

L’iniziativa è della Pro loco di Cosenza con il patrocinio del Comune ed è finalizzata alla realizzazione di una mostra che valorizzi identità e storia della città.

Tutte le opere prodotte verranno esposte dal 10 dicembre al 2 gennaio presso la Biblioteca nazionale di Cosenza.

 

 

Mintom, a dieci anni dalla morte.

Tommaso Minniti, in arte Mintom, nasce nel 1926 a Reggio Calabria. Figura complessa di pittore, grafico e poeta, Mintom docente di Educazione Artistica e Materie Pittoriche, da giovane ha frequentato il Liceo Scientifico non potendo tuttavia completare gli studi a causa della guerra che lo spinse, come avvenne per molti dei suoi concittadini, ad emigrare al Nord. Finita la guerra lavorò nei cantieri navali di Pietra Ligure come disegnatore e dopo una serie di viaggi in Svizzera, Milano e Roma fece finalmente rientro a Reggio dove riprese e completò gli studi presso l’Istituto d’Arte Frangipane. Diplomatosi, frequentò poi l’Accademia di Belle Arti conseguendo il diploma con lode in Pittura. All’osservatore attento che si accosti alla sua opera egli si presenta, sia che si tratti dell’arte figurativa che dell’arte della parola, nella ricchezza della sua tavolozza variata per temi e tecniche a dimostrare la sua inesauribile voglia di ricerca, il suo desiderio di battere sempre nuove strade e di non essere mai eguale a se stesso. Autore di ritratti, nature morte, paesaggi, nudi femminili, artista del sacro, pittore di esotismi, maestro di variazioni sul tema della maschera e volto di ascendenza letteraria, pittore capace di cogliere nella serie dell’attesa momenti di vita quotidiana, affronta i temi più diversi con una tecnica sempre diversificata così da sembrare ora impressionista, ora espressionista, ora simbolista, ora naif. L’ecletticismo insito nelle sue opere rende la sua arte e il suo mondo interiore non immediatamente percettibile all’occhio dell’osservatore esterno ma al contempo schiude i significati più profondi della ricchezza di un artista che cerca continuamente se stesso e il modo di esprimere compiutamente la propria anima. Artista, poeta e letterato nella sua luminosa e apprezzata carriera ha ottenuto numerosi riconoscimenti non solo a livello nazionale come il Premio Centauro d’oro nel giugno del 1982 presso Salsomaggiore Terme ed il Premio Colonna d’oro 1982 presso Modena, ma anche internazionali come il riconoscimento ottenuto dall’AIAM (Accademia Internazionale d’Arte Moderna) nel 1989, il Primo Premio Nazionale “Artisti famosi nel mondo” i grandi maestri del XX secolo ed il premio Salvador Dalì, in Spagna nel 1991.

Laboratorio di pittura dal vivo con l’artista Rushit Veliu

Continuano le iniziative culturali alla Biblioteca civica di Quattromiglia. Dopo l’ottimo successo dell’evento “La biblioteca dell’Arte”, questa volta, per la prima volta, spazio alla pittura dal vivo. Gli appassionati della pittura, infatti, avranno la possibilità di ammirare uno dei giovani artisti tra i più promettenti ed interessanti del panorama europeo al lavoro sulla tela. Si tratta dell’artista kosovaro Rushit Veliu che da Lunedì 5 e  fino a martedì 13 novembre,  si cimenta in un laboratorio di pittura aperto al pubblico. L’iniziativa, a cura di Roberto Sottile, è dell’Assessorato al marketing Territoriale diretto Cesare Loizzo. L’artista kosovaro – che ha già all’attivo mostre in tutto il mondo – a Rende dipingerà dal vivo una serie di opere pittoriche che i visitatori potranno visionare dalla prima all’ultima pennellata. Nella sala, saranno inoltre esposte alcune opere dell’artista. «E’ la prima volta che proponiamo un’iniziativa del genere nella Biblioteca di Quattromiglia che, grazie anche alle precedenti iniziative culturali a cura di Roberto Sottile – spiega l’Assessore al Marketing Territoriale, Cesare Loizzo – sta diventando un punto di riferimento per i tanti appassionati dell’arte pittorica e scultorea: una vetrina per i tanti giovani artisti emergenti, ma soprattutto un luogo di incontro per tanti giovani che amano l’arte in tutte le sue sfumature. L’aver scelto un artista come Rushit Veliu, giovane apprezzato a livello internazione per il suo modo intenso e ricercato di trasposizione delle emozioni sulla tela, è certamente un valore aggiunto all’iniziativa che, siamo certi, accoglierà l’interesse di tanti ».

« Rushit Veliu racconta attraverso i suoi lavori un infinito immaginario caotico, inquieto – scrive Roberto Sottile, critico d’arte e curatore del vernissage  – dove spazio, forma e colore dialogano attraverso una sperimentazione artistica originale che tesse la sua trama nella ricerca della memoria rivisitata in chiave moderna. Nuove geometrie emergono e annegano sulla tela, stropicciata e graffiata, in una continua metamorfosi capace di raccontare quei percorsi della memoria, che l’artista vuole comunicare; come graffiti urbani, si combinano e si adattano in uno spazio ideale frantumato da richiami etnici e popolari, di forte impatto visivo, che fanno parte della storia personale dell’artista. Ciò che resta è una pittura in bilico tra la riflessione dello spirito e il caos della modernità, dove elemento di unione è l’intesa tra il pensiero e le ansie dei nostri giorni che prendono forma grazie ad una esecuzione vibrante, lavorata sull’accostamento di linee e colori»