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Accoglienza come condivisione: la Comunità Don Milani di Acri nelle parole di Nello Serra

ACRI (CS) – “Sono stato un sognatore a occhi aperti per una buona parte della mia vita, ora non più, perché ho imparato a realizzare i sogni che faccio”. È il ritratto di un uomo felice, di chi ha raggiunto traguardi importanti e notevoli soddisfazioni. Un’idea di successo che non corrisponde però certo al comune senso di celebrità contemporanea: non è una posizione sociale riconosciuta da tutti, non è la ricchezza, non è la fama. È piuttosto la serenità che nasce da una coscienza pulita, dal sudore della fronte per un buon progetto, dalla condivisione di percorsi di vita, dal rispetto per la natura e per ogni essere vivente.

È la storia raccontata da “Guarda che fa quel matto di Nello Serra”, edito da Editoriale progetto 2000, sulla Comunità Don Milani di Acri e la figura del suo fondatore. L’idea del libro nasce quasi come un gioco: alcuni amici invitano Nello Serra a raccontare e postare su facebook aneddoti e riflessioni legati alla nascita e allo sviluppo della Comunità. Il risultato è una storia da gustare, ricca di episodi, di proverbi, di figure emblematiche, di gesti semplici e preziosi. Un misto di filosofia e quotidianità, di teoria e pratica, di ricordi e di progetti ancora da realizzare. Un programma di accoglienza che è soprattutto uno stile di vita, un mezzo per riscoprire le proprie radici e rivalutare l’importanza del rapporto sincero con gli altri, oltre la diversità.

Incuriositi da un’esperienza di vita così complessa e affascinante, abbiamo raggiunto l’autore nella sua casa sul poggio.

Dal libro emerge chiaramente una simbiosi molto forte tra lei e il suo progetto. La “Comunità Don Milani” nasce da una sua precisa volontà e cresce grazie al suo impegno costante e amorevole. Volendo per un attimo provare a scindere le due cose, come immagina la sua vita senza la Comunità?

La Comunità Don Milani è una mia creatura, come dice lei, ha già trent’anni e dovrebbe essere una vecchietta, se penso al tempo che è passato; se invece penso che mi sopravvivrà, allora, la vedo giovane, giovanissima, un’adolescente, sulle soglie della maturità. In essa vi sono le mie passioni, i miei ideali, la mia concezione del mondo che aspira a cercare sempre un equilibrio tra l’io e il noi. Scindere me dalla mia creatura potrebbe essere possibile, ma m’immagino sempre alla ricerca del mix tra l’io e il noi, il me e gli altri.

Nelle pagine del libro si incontrano diverse figure che, in momenti e modalità differenti, hanno condiviso con lei un pezzo di strada. Può darci un’idea delle persone che attualmente gravitano intorno alla realtà della Comunità?

Mi viene subito in mente Salim, ragazzo povero della parte più diseredata del mondo, venuto qui per disperazione, quando aveva sedici anni e sembrava un pulcino inzaccherato dopo un temporale; oggi è un ragazzo felice, quasi un uomo, molto responsabile, attaccato a me e all’ambiente che ha trovato come l’ostrica allo scoglio; lo immagino libero di andarsene un giorno, libero di volare, ma anche di rimanere tutta la vita se lo vorrà. Poi un’altra persona che in questo preciso momento mi stanno dando cuore e cervello è Silvio Faragò, esperto di processi bio-chimici e tecnologici che è nato in Calabria e vive a Milano… Con lui sto imparando a trasformare ogni risorsa che madre terra ci regala, soprattutto le piante spontanee che chiamiamo erbacce, in prodotti utili alla vita. Ma devo dire in verità che aumenta ogni giorno il numero delle figure che mi confortano della loro presenza, dandomi aiuto e stimoli.

Don Milani è uno dei punti di riferimento principale del suo percorso di vita. Oggi molti si riempiono la bocca delle sue parole ma sono pochi quelli che realmente seguono la strada tracciata dal Priore di Barbiana. Qual è il contesto in cui servirebbe maggiormente prendere spunto dall’esperienza e dall’insegnamento di don Milani?

Don Milani per me è quello che può essere Gesù per un cattolico o Maometto per un musulmano. Di lui ho apprezzato la scelta di dedicare tutta la vita ai suoi ragazzi, il cui futuro era segnato dalla povertà, senza risparmiarsi. Due sono le parole importanti se pensiamo a Lorenzo Milani: coerenza e aderenza, coerenza tra il dire e il fare, aderenza ai bisogni diversi di ogni soggetto che si affida o ci viene affidato, aiutandoli ad aiutarsi, ma anche aderenza ai bisogni del territorio. Il contesto può essere quello che stiamo cercando di creare: libero, autofinanziato, responsabile, solidale in cui ognuno è portatore di strumenti per l’altro, accogliendo tutti, soprattutto i bisognosi; non quindi un ghetto per sfortunati, ma un luogo capace di accogliere chiunque ne abbia bisogno o voglia condividerlo.

Un discorso che si può collegare in qualche modo anche al tema della sudditanza di cui lei fa cenno a proposito dei rapporti tra mezzadri e padroni. Oggi sono probabilmente cambiati i soggetti in causa, ma esistono ancora forme diverse di sudditanza…

Sudditanza o subalternità interiorizzata come complesso di inferiorità. Io tengo molto a questo discorso perché nella mia vita ho sempre cercato di non essere subalterno e di immunizzarmi dalla cultura proprietaria che tende a rendere subalterni gli altri. Solo la parità, nel lavoro come nell’amore, rende le persone libere di dire di no e di dire di sì, di essere se stesse, creative e felici.

Ricorrono spesso nelle sue riflessioni i concetti di decrescita, educazione alla semplicità, lentezza. È possibile, a suo modo di vedere, trasmettere questi valori (che in alcuni sembrano diventare necessità) ai ragazzi contemporanei? Come si può contrastare l’idea imperante del consumismo con cui praticamente crescono fin dalla nascita?

Più che trasmettere bisogna educare alla decrescita, lavorando in modo chirurgico sul che cosa far crescere e che cosa far decrescere; bisogna far crescere la voglia di conquistare le cose che giovano alla vita, essenzializzandole e le cose a cui rinunciare perché superflue, inutili o dannose. Vittorino Andreoli, in un suo libro, ipotizza la fine dell’Homo sapiens sapiens perché diventato Homo stupid stupid e fa sopravvivere una tribù di bonobo, le scimmie che non competono per il cibo e per il sesso; brutta bestia la competizione. Combattere il consumismo? Direi che occorrerebbe una nuova resistenza come quella che ha liberato l’Italia dal nazismo e dal fascismo; il consumismo è la peggiore delle malattie e delle dittature e si combatte con piccoli gesti, dando valore alle cose che mangiamo, indossiamo, usiamo quotidianamente. Tutto serve alla vita, ma con sobrietà, morigeratezza, austerità, lentezza, accontentandosi di quello che abbiamo, imparando a godere della vita che è il primo dono, senza correre per arrivare non si sa dove; potendo scegliere l’autostrada o una buona strada provinciale scelgo sempre quest’ ultima perché nell’andare lento mi godo il panorama ed è sicuramente meno pericolosa.

Prima di salutarci vuole regalarci qualche annotazione sui progetti per il prossimo futuro? Nel libro sono riportati alcuni spunti curiosi, soprattutto per quanto riguarda i bachi da seta e l’olio d’oliva. Cosa dobbiamo aspettarci ad esempio già per i prossimi mesi?

Innanzitutto la ristampa del libro “Guarda che fa quel matto di Nello Serra” del quale, in soli quattro mesi sono state diffuse 1000 copie, sperando che diventi un leitmotiv che accarezzi la voglia di cambiare, ma anche un grimaldello per scardinare consolidate pigre abitudini. Con l’anno nuovo, poi, andrò a Milano, la città che mi ha dato l’imprinting della concretezza e non solo a Milano, a imparare a fare tisane, a come rendere i nostri saponi, i nostri unguenti, le nostre creme insuperabili, potendo disporre degli ingredienti naturali migliori, ivi compreso le proteine nobili del baco da seta!

 

Mariacristiana Guglielmelli

Andreina Morrone

 

Un campo di lavoro internazionale a Riace Superiore per i progetti di accoglienza

RIACE (RC), 15 GIU 2012 – Dal 4 al 18 agosto si terrà a Riace Superiore (Rc) il campo di lavoro internazionale, organizzato dalla Rete dei Comuni Solidali. Parteciperanno più di venti ragazzi e ragazze, provenienti da ogni parte d’Europa, per aiutare gli operatori dei progetti di accoglienza e allo stesso tempo conoscere a fondo il ”modello Riace” di accoglienza dei migranti per poi farsene portavoce nei proprio Stati di provenienza.

I partecipanti al campo lavoro visiteranno anche i progetti di Caulonia e prenderanno parte, tra le altre attività, ad un’escursione sul torrente Allaro, per conoscere il territorio della Locride.

FONTE: ASCA