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Barbanti (M5S), per risolvere il problema rifiuti servono 45 milioni di euro

ROMA – Sebastiano Barbanti – M5S ritorna sull’emergenza rifiuti in Calabria affermando che non è mai finita. I vari partiti politici, ora al governo regionale delle grandi intese, dopo aver sparato a zero per 16 anni contro una “fallimentare” gestione commissariale, oggi si trovano a perpetrare le stesse identiche nefandezze del passato.

Il M5s lo ha ribadito anche ieri nel corso della bella iniziativa “Il giorno del rifiuto” organizzata dagli attivisti di Catanzaro. In quella sede, insieme ai miei colleghi calabresi Paolo Parentela, Federica Dieni, Nicola Morra e Dalila Nesci, cittadini portavoce di Camera e Senato, al deputato Riccardo Nuti, abbiamo fatto il punto della situazione nazionale e regionale, accogliendo le esperienze dei sindaci di Parma, Pizzaroti, e di quello virtuoso di Saracena, Gagliardi; le testimonianze del vice capogruppo alla Camera, Di Maio, arrivato direttamente dalla Terre dei fuochi e quella del deputato Stefano Vignaroli che ha portato la sua esperienza di battaglia contro la discarica di Malagrotta a Roma.

Ribadisce che in Calabria non servono nuove tasse, ma una nuova mentalità per risolvere l’annoso problema dei rifiuti. E, soprattutto, servono leggi che incentivino la raccolta differenziata e il riciclo successivo dei materiali. Come Movimento 5 Stelle è stata fatta una nostra proposta e un Piano rifiuti è da più di due anni nelle mani dei nostri governanti. Sono in attesa ancora di una risposta nel merito e nel frattempo ci chiediamo perché la Regione vuol spendere 9 milioni di euro al mese –oltre 110 milioni all’anno – per spedire fuori regione i nostri rifiuti anziché  utilizzare 45 milioni di euro per mettere in atto il un Piano rifiuti e risolvere, questa volta sì una volta per tutte, l’emergenza rifiuti in Calabria.

Barbanti (M5S), ripartire da Corigliano

CORIGLIANO CALABRO (CS) – Sebastiano Barbanti  M5S  parla del porto di Corigliano e propone il rilancio dell’economia e del turismo della costa ionica. L’Italia sta diventando un paese dove si attende la tragedia e poi si interviene perché, evidentemente, a qualcuno conviene lavorare in emergenza. E la Calabria, purtroppo, non è da meno: il porto di Corigliano che doveva essere la porta d’accesso verso l’Oriente rappresenta l’esempio più concreto e tangibile. Si è dovuto aspettare, infatti, che l’ennesima imbarcazione attraccata in banchina affondasse per far salire a galla le innumerevoli carenze della struttura, immagine e testimonianza delle promesse non mantenute da parte delle istituzioni competenti.

La struttura di Corigliano vive uno stato di eterno abbandono. Una struttura che per dimensioni e posizionamento dovrebbe portare solo degli utili e invece offre esclusivamente perdite, disagi e malfunzionamenti. In lista d’attesa ci sono progetti di rilancio sia commerciale che turistico – chi si ricorda delle “autostrade del mare”? ovvero i collegamenti con la Sicilia – o i tanti annunciati traghetti da crociera di cui nessuno ha più notizia. Tutte idee di rilancio che però restano attraccate a un molo che cade a pezzi e vengono portate via dal vento come le parole dei vari politicanti.

Ma come si può pensare di pianificare progetti di sviluppo se al porto di Corigliano mancano i servizi essenziali utili allo svolgimento delle attività di base? L’esempio più clamoroso sono proprio i numerosi locali vuoti presenti all’interno del porto predisposti da tempo ad ospitare il distaccamento dei vigili del fuoco che però tarda ad arrivare. Ci piacerebbe anche sapere il perché.

Anche per Francesco Sapia, capogruppo consiliare M5S di Corigliano Calabro “lo scalo di Corigliano è abbandonato a se stesso invece di essere nodo di scambio integrato nel sistema portuale del Mediterraneo, dove accessibilità e connessione costituiscono una condizione di base per intraprendere innovativi processi di sviluppo locale. Bisognerebbe utilizzare il Porto come luogo di commercio (mercato portuale), di svago (manifestazioni di massa) e approdo culturale (museo del Mare), per poi integrarlo nel tempo in un progetto più ampio che comprenda altre località marittime collegate da una ‘Metropolitana del mare’, come già avviene sulle coste turistiche di tutto il mondo”. Ad oggi sono troppe le carenze strutturali e quel che è peggio troppo alto è il disinteressamento delle istituzioni che non fanno altro che piangersi addosso. Non è la prima volta infatti che all’interno del porto di Corigliano accadono fatti simili a quello di due giorni fa. E quel che è peggio è che molto probabilmente non saranno gli ultimi. 
 Solo davanti a episodi come questi ilsindaco e le imprese portuali si riuniscono per fare il punto della situazione. Peccato per ò che questo non è che un copione gi à visto. Ci auguriamo per ò che questa volta le istituzioni coinvolte prendano coscienza della gravità della situazione e intervengano una volta per tutte per cambiare il finale di questa storia già sentita. Non sta a noi sottolineare l’importanza strategica del porto di Corigliano. A noi preme rimarcare con forza che non accettiamo più ennesimi rinvii. La rinascita della Calabria deve partire dai suoi punti di forza e lo scalo di Corigliano deve essere uno di questi.

 

 

Fondazione Campanella, Molinari e Barbanti (M5S): non facciamola morire

ROMA Anche il sentore Francesco Molinaro e il deputato Sebastiano Barbanti, Movimento 5 Stelle,  si oppongono alla chiusura delle attività della Fondazione Campanella e del polo oncologico di Catanzaro definendola come  l’ennesimo capitolo buio per la storia della sanità calabrese, la classica goccia che farà traboccare il vaso.

È inammissibile che strutture di questo genere, che hanno il compito di garantire la cura dei malati, possano chiudere le porte per colpa di cattive gestioni politiche, dettate dai tagli scellerati di un piano di rientro che in nome del risparmio colpisce prima di tutto i diritti del malato.

Oggi che la qualità del servizio sanitario calabrese è ai minimi storici, la chiusura del polo oncologico sarebbe il colpo di grazia dell’intero comparto. E vi è di più: perché oltre a colpire i diritti dei malati si andrebbe a distruggere anche quelli dei lavoratori, circa 270, che già da tempo hanno provato a far sentire la propria voce.

Chi ha in mano la gestione della Sanità in Calabria deve tenere in considerazione primariamente il malato. Non può condannarlo ad estenuanti viaggi della speranza. Non può consegnarlo nelle mani delle cliniche private. Non può distruggere tutti i suoi diritti.

La Regione Calabria, e il presidente nonché commissario ad acta della Sanità, Giuseppe Scopelliti, mantengano fede alle promesse fatte e trovino i fondi necessari a salvare la struttura, i suoi lavoratori e i tanti malati che lì arrivano carichi di speranza per il futuro. Il piano di rientro non sia la scusa per smantellare la buona sanità calabrese e favorire così l’ascesa dei privati. Non resteremo inermi mentre distruggono una istituzione che dovrebbe accogliere i malati e non mandarli a casa.