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Alcmeone, filosofo e medico del VI secolo a.C. Colui che pose il cervello al di sopra di tutto.

Conosciuto come Alcmeone di Crotone, nacque nella suddetta città nel 560 a.C. In greco Ἀλκμαίων,è stato un medico e filosofo greco antico ed è considerato il padre fondatore della medicina antica dando origine al metodo della ricerca scientifica basato sull’analisi reale delle cose, operata con la selezione dei corpi umani, fondamentale per il suo studio sull’anatomia. Scoprì che il cervello è il centro motore delle attività umane, mentre fino ad allora si era creduto che l’organo fondamentale fosse il fegato o il cuore. Studiò attentamente i nervi e il sistema nervoso, intendendone le funzioni motorie, fu lui che probabilmente scoprì le trombe di Eustachio e il nervo ottico. Aveva una concezione democratica del sapere e non classista come Pitagora. Studiò attentamente il corpo umano e lo interpretò in analogia con il funzionamento della politica : per lui, infatti, malattia e salute corrispondevano a due situazioni politiche. La salute corrispondeva alla democrazia, la malattia alla monarchia. Come nel corpo si ha salute quando c’è equilibrio tra gli organi, così nella politica c’è democrazia quando tutte le parti sono in equilibrio. E dati recenti studi americani che affermano che la predisposizione politica derivi dal cervello, comprendiamo come Alcmeone avesse visto, già allora, molto lontano.

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Alarico I, la leggenda calabrese.

Alaricus in latino, compare per la prima volta nelle cronache nel 390 quando, giovane principe della dinastia dei Balti, guidò i Visigoti, gli Unni ed altre tribù provenienti dalla sponda sinistra del Danubio nell’invasione della Tracia, culminata con il saccheggio di quella provincia. “Il re di tutti”, significato del suo nome, nacque nel 370 d.C. c.a. Acclamato nel 395 duce dei visigoti allora stanziati nella Pannonia e nella Mesia come foederati di Roma, invase la Macedonia, la Tessaglia, il Peloponneso e l’Epiro inserendosi abilmente nella discordia esistente tra i successori di Teodosio, Onorio e Arcadio e i rispettivi ministri, Stilicone e Rufino. Ricevette la nomina di magister militum dall’imperatore romano d’oriente Arcadio garantendo autonomia per il suo popolo a patto che cessasse le ostilità e le scorrerie. Nel 400 Alarico invase l’Italia dove, dopo aver varcato le Alpi Giulie, devastò le province di Venezia, Liguria ed Etruria, espugnando diverse città toccando perfino Mediolanum, l’allora capitale dell’impero, dove fu fermato dal generale Stilicone nel 402, comandate in capo dell’esercito romano d’occidente e protettore del nuovo imperatore Onorio. Fu stipulato un trattato con il quale Alarico, obbligato a ritirarsi di buon ordine dall’Italia, si impegnava ad asservire l’impero d’occidente. Tuttavia a tre anni dalla sconfitta, Alarico invase Verona e venne fermato ancora una volta dal generale Stilicone e si trovò nuovamente costretto a rinnovare il trattato di alleanza con il vincitore il quale grazie ad esso poteva assicurarsi un forte alleato contro l’impero d’oriente. Rientrato in Epiro, Alarico ricevette tributi da Stilicone il quale non voleva avere problemi sui confini orientali dell’impero, in particolare nel maggio del 408, quando deciso il generale si recava verso Costantinopoli rimasta senza un reggente a causa della morte di Arcadio, fratello dell’imperatore Onorio, nell’intenzione di conquistare finalmente l’illirico orientale. Seguirono numerose battaglie sanguinose e molto difficoltose per il generale Stilicone che si trovò a fronteggiare una nuova personalità scesa dall’antica Britannia ormai ribellatasi l’anno precedente, un certo Flavio Claudio Costantino, noto alla storia come futuro imperatore Costantino III. Nell’agosto di quell’anno Stilicone a causa di trame e intrighi venne messo a morte, causa tradimento, e per Alarico questo significava l’aprirsi nuovamente la strada per un ritorno nei territori italiani. Senza l’aiuto del cognato e futuro re, Atatulfo, impegnato in Pannonia, Alarico invase nuovamente l’Italia giungendo a Ravenna ed esigendo dall’imperatore un tributo annuo e un’insediamento nel Nordico ma senza successo. Arrivò allora fino a Roma accerchiandola non con l’intenzione di attaccarla ma come dimostrazione delle sue capacità. La città, difesa dalle sue fortificate mura, non cedette ma il prezzo fu altissimo: una pesante carestia e una forte epidemia di colera. Tolto l’assedio, Alarico rientrò in Toscana ottenendo dal senato romano l’elezione di Attalo Prisco come correggente di Onorio e la carica di magister militum dell’occidente. Ma quando Onorio nominò Saro generale, la nomina ambita dal re goto, e dopo l’attacco del nuovo generale ad Atatulfo e l’inadeguatezza di Attalo Prisco nella pianificazione della conquista africana, Alarico perdendo la pazienza mise in atto le sue minacce e nella notte del 24 agosto del 410 d.C. Alarico dei Balti entrò con il suo esercito a Roma passando per Porta Salaria. Seguirono tre giorni di saccheggi e violenze. Successivamente i barbari abbandonarono l’Urbe e si diressero verso il Sud della penisola con la probabile intenzione di raggiungere le coste africane per nuove invasioni e conquiste. Ma ecco l’imprevisto: Alarico, allora quarantenne, colto da improvvisa malattia, morì pare nei pressi di Reggio. Ed ecco che qui entra in gioco la leggenda: si narra che i Visigoti per evitare che mani romani potessero violare la tomba del loro re, deviarono il fiume Busento, nei pressi di Cosenza, e seppellirono nel suo letto Alarico in armi, insieme al suo cavallo ed al suo immenso tesoro, pare 25 tonnellate d’oro e 150 di argento, ripristinando successivamente il normale corso delle acque. Infine, gli schiavi utilizzati per deviare temporaneamente il corso del fiume vennero uccisi perché non rivelassero il segreto.

 

 

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