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Capire e curare l’artrosi del ginocchio

 

ALTOMONTE (CS) – L’artrosi del ginocchio, definita anche gonartrosi, è un processo di usura dell’articolazione che coinvolge primariamente le cartilagini che rivestono i capi ossei. Queste si assottigliano sempre di più fino a scomparire, lasciando le ossa prive del loro rivestimento protettivo. In queste condizioni il tessuto osseo si addensa e forma degli speroni appuntiti, noti come ostiofiti, che sono tra gli elementi caratteristici della malattia. Tale processo avviene lentamente nel tempo ed è favorito dal carico eccessivo sull’articolazione. Esistono fattori predisponenti quali: l’età, l’obesità, attività lavorative o sportive usuranti, traumi, alterazioni del normale allineamento tra femore e tibia, articolazione instabile per problematiche legamentose e le malattie infiammatorie del ginocchio.

Quali sono i disturbi di un ginocchio artrosico ?

Un paziente affetto da gonartrosi lamenta come disturbo principale il dolore. Inizialmente esso si presenta solo con il movimento e con le attività in carico come la stazione eretta o la deambulazione prolungata e si attenua con il riposo. Con l’aggravarsi della malattia, compare anche a riposo e di notte e spesso compromette la capacità di deambulare correttamente, portando alla zoppia. Spesso al dolore si associa la perdita del completo movimento dell’articolazione associato ad una rigidità articolare, cioè la difficoltà nel muovere l’articolazione dopo un periodo di riposo, che si manifesta soprattutto al mattino. Quando l’articolazione viene sovraccaricata, ad esempio dopo una lunga camminata, può artrosiinfiammarsi e sviluppare del liquido che si accumula al suo interno. Le fasi avanzate del processo artrosico sono caratterizzate da modificazioni anatomiche dell’arto inferiore: il femore e la tibia perdono il loro normale allineamento e si incurvano spesso verso l’esterno (varismo). Dal punto di vista del trattamento è bene precisare che l’artrosi determina delle alterazioni anatomiche che attualmente è impossibile far regredire, pertanto qualsiasi intervento terapeutico sarà orientato al contenimento dei sintomi e al rallentamento della progressione della malattia, ma non porterà alla ricostituzione anatomica dell’articolazione. Il trattamento conservativo, riservato alle forme lievi – moderate, consiste nell’utilizzare in maniera integrata diversi presidi: misure comportamentali, terapia farmacologica e trattamento rieducativo e fisioterapico. Per le forme lievi – moderate è fondamentale la fisioterapia

 

Il primo intervento da effettuare è la presa di coscienza, da parte del paziente, della propria condizione e della malattia: deve conoscere le cause del disturbo e le misure che può mettere in atto per prevenire il peggioramento. La perdita di peso, ad esempio, è essenziale per ridurre il carico sull’articolazione . Allo stesso modo l’utilizzo di un bastone e di calzature morbide consente di scaricare il ginocchio sofferente durante le attività in carico come la deambulazione. Il trattamento fisioterapico è di fondamentale importanza ed è il fulcro del trattamento conservativo dell’artrosi lieve e moderata. Nelle fasi iniziali è estremamente importante la rieducazione in acqua (idrochinesiterapia) dove è possibile far lavorare l’articolazione in assenza di carico o con un carico estremamente ridotto allo scopo di recuperare il movimento articolare e far sgonfiare il ginocchio. Sugli stessi obiettivi si lavora anche in palestra attraverso le terapie fisiche (correnti antalgiche, ultrasuoni, laserterapia, tecarterapia), le mobilizzazioni, i massaggi e gli esercizi per il miglioramento della deambulazione. Quando il dolore e l’infiammazione dell’articolazione risultano particolarmente difficili da trattare è possibile ricorrere ai farmaci. Gli antinfiammatori veri (fans o cortisone) possono essere di aiuto per superare la fase acuta, ma non è prudente protrarre per lunghi periodi il loro artrosi 2utilizzo a causa degli effetti collaterali che comporta.

Una volta controllati il dolore e l’infiammazione, l’obiettivo delle fasi successive sarà il rinforzo della muscolatura dell’arto inferiore. Generalmente i muscoli di chi soffre di gonartrosi sono deboli ed ipotonici. Questo non fa altro che aumentare il carico sull’articolazione innescando un circolo vizioso. È come una macchina con gli ammortizzatori scarichi: tutto il carico dovuto alle irregolarità del terreno viene trasmesso direttamente al telaio dell’auto, danneggiandolo. Il rinforzo adeguato dei muscoli fornisce al ginocchio degli ammortizzatori naturali che consentono di ridurre il carico sull’articolazione e di conseguenza di migliorarne la funzionalità e ridurre il dolore. In alcuni casi l’artrosi colpisce solo una parte dell’articolazione; è possibile impostare un programma di rinforzo e di allungamento muscolare che è in grado di ridurre il carico sulla posizione dell’articolazione maggiormente sofferente, distribuendolo in maniera più omogenea su tutta la superficie articolare. Tale tipo di trattamento ha la durata, in media, di 6 settimane, con una frequenza di 3 sedute di fisioterapia settimanali, garantendo ottimi risultati in termini di riduzione del dolore e miglioramento dell’autonomia funzionale. Affrontando il problema per tempo si può evitare l’intervento chirurgico.

È possibile associare al trattamento fisioterapico il trattamento infiltrativo con l’acido ialuronico: una sostanza simile ad un gel che ha la funzione di proteggere le superfici articolari e ammortizzare gli impatti sul ginocchio, rallentando il decorso dell’artrosi. Il suo effetto, però ha una durata limitata nel tempo e il trattamento va ripetuto generalmente ogni 6-8 mesi. Nei casi di gonartrosi severa e resistente al trattamento conservativo, il trattamento protesico rimane la soluzione più valida. artrosi 3L’articolazione irreversibilmente danneggiata viene sostituita da un’articolazione meccanica. Anche in questo caso è estremamente importante sottoporsi ad un ciclo di fisioterapia sia prima (pre-operatoria) che dopo l’intervento. Diversi studi hanno dimostrato come il trattamento rieducativo garantisca un miglioramento della sintomatologia dolorosa già nel periodo pre-operatorio e un notevole incremento delle capacità funzionali del ginocchio nel post-operatorio. L’artrosi può essere una malattia estremamente invalidante in grado di compromettere la qualità di vita. Spesso chi ne soffre ha un atteggiamento di resa e di rassegnazione alla sofferenza. Affrontarla nel modo giusto al primo apparire dei sintomi consente, invece, di rallentarne il decorso, contenere in maniera significativa la sintomatologia ed evitare l’intervento chirurgico.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

Trattamenti utili per combattere la capsulite

ALTOMONTE (CS) – La capsulite adesiva, precedentemente chiamata spalla congelata, è una patologia caratterizzata da una grave perdita della mobilità della spalla. I pazienti affetti da questa patologia presentano una registrazione dolorosa della mobilità sia attiva che passiva ed una perdita globale dei movimenti della spalla in tutti i piani. Questa condizione insorge principalmente in soggetti di età compresa tra i 40-60 anni, con maggiore incidenza nelle donne. La capsulite adesiva si associa spesso a condizioni mediche come il diabete, l’ipertiroidismo, le malattie ischemiche – cardiache, l’artrite reumatoide e la spondilosi cervicale; l’associazione più significativa è con il diabete insulino – dipendente.spalla congelata La capsulite adesiva è caratterizzata da tre stadi. Il primo dura all’incirca tra i 3 e i 6 mesi ed è quello del congelamento (freezing) caratterizzato dallo sviluppo di un dolore acuto e intenso alla spalla, il quale tende ad aumentare la notte durante il movimento, provocando di conseguenza un senso di malessere che si irradia per tutto il braccio.

Spesso non è possibile individuare un evento traumatico che abbia dato inizio al dolore. Sfortunatamente molti di questi pazienti vengono trattati con l’immobilizzazione, la quale non fa altro che peggiorare il processo di congelamento. Il secondo stadio è la fase di progressiva rigidità che dura dai 3 ai 18 mesi. Durante questo periodo il dolore a riposo di solito diminuisce, lasciando una spalla con limitazioni nel movimento. Le attività della vita quotidiana risultano molto difficoltose. Il paziente lamenta difficoltà a fare dei banali movimenti come raggiungere la tasca posteriore dei pantaloni, allacciarsi il reggiseno, pettinarsi. Lo stadio finale è quello della risoluzione per la quale ci vogliono dai 3 ai 6 mesi, ed è caratterizzato da una lenta ripresa del movimento. La diagnosi di capsulite viene fatta dal medico in base ad una buona anamnesi (inizio e durata dei sintomi, descrizione di eventuali precedenti traumi, eventuali patologie mediche associate) e ad un buon esame obiettivo (in generale perdita della mobilità passiva ed attiva) confermata dalla normalità dell’esame radiografico.

Sebbene la capsulite adesiva venga considerata un evento a risoluzione spontanea può produrre disabilità per mesi o anni, ragion per cui, richiede un trattamento non appena sia stata posta la diagnosi.

La cura iniziale deve comprendere un trattamento fisioterapico aggressivo per recuperare il rom (range di movimento) articolare. Nella fase iniziale dolorosa lo scopo è quello della riduzione del dolore ed il riacquisto della mobilità perduta. In quest’ultima , o in quella di congelamento, la riduzione del dolore è essenziale per la guarigione attraverso l’utilizzo di farmaci antinfiammatori e iniezione intrarticolare di corticosteroidi. Tutto ciò si può ottenere tramite terapie fisiche come gli ultrasuoni, la tecarterapia, il laser e l’applicazione di caldo umido prima della terapia e di ghiaccio alla fine della seduta. Per la mobilità si effettueranno esercizi senza alcuna restrizione sul movimento ma comunque controllati.

Il paziente e il fisioterapista infatti devono comunicare tra loro per evitare danni (lesioni).

Inoltre importanti sono tutti gli esercizi di allungamento e stretching. Il fisioterapista fin da subito deve insegnare al paziente un programma di esercizi da eseguire a casa. Quando poi diminuirà il dolore alla spalla, oltre ad un miglioramento visibile della mobilità, si passerà alla seconda fase, durante la quale si aggiungeranno esercizi di rinforzo muscolare mentre nella fase più avanzata si effettueranno con elastici e pesetti. Nell’ultima fase, quando si vedrà un significativo recupero funzionale del movimento, cioè il paziente tornerà a fare quei movimenti che prima erano impossibilitati oltre alla scomparsa del dolore, diminuiranno progressivamente le sedute fino alla conclusione del ciclo terapico. Nonostante ciò il paziente dovrà eseguire esercizi di mantenimento a casa.

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

L’ernia del disco : sintomi, cause e rimedi

 

ALTOMONTE (CS) – Tra una vertebra e l’altra della colonna vi è il cosiddetto disco intervertebrale, una sorta di ammortizzatore. Questo cuscinetto è costituito da una parte esterna, a forma di anello fibroso, detta  “anulus” e da una parte interna, di consistenza molle, costituita per il 90% di acqua, detta “nucleo polposo” che ha la funzione di distribuire a tutto il disco le forze che lo sollecitano.

L’ernia del disco è la fuoriuscita del nucleo polposo dall’anello che si può lacerare, solitamente a livello degli ultimi anelli lombari. Per ernia del disco s’intende quindi la migrazione del nucleo polposo attraverso le fibre dell’anulus.

La migrazione del nucleo polposo comporta sia una compressione meccanica delle strutture nervose sia una reazione infiammatoria. L’ernia discale può verificarsi in qualunque tratto della colonna vertebrale, ma la sua frequenza è nettamente prevalente nel tratto lombare, seguita dal tratto cervicale, mentre è molto rara l’ernia del tratto dorsale. L’ernia lombare è la più comune ed è quella a cui si fa riferimento.

Ernia del disco e Protrusione, Differenze?

Tra protrusione ed ernia discale c’è una leggera differenza. Entrambe sono classificate come un’alterazione del disco intervertebrale, in cui il disco, la sua consistenza originale e la sua capacità fungono da ammortizzatore.

Nella protrusione però il disco si deforma, il nucleo polposo protrude cioè deborda e invade lo spazio circostante ma le fibre dell’anulus, l’anello fibroso che circonda il nucleo polposo, rimangono integre. Nell’ernia invece, c’è una rottura di queste fibre, che può essere quasi completa e si parla di ernia contenuta, o completa e si parla di ernia espulsa. Nell’ernia la rottura di queste fibre fa sì che il nucleo polposo entri nel canale midollare .Una protrusione importante può essere definita come l’anticamera dell’ernia del disco.

 ernia disco 3

Perché si forma l’ernia del disco?

I  motivi principali sono o microtraumi ripetuti, dovuti a lavori fisicamente impegnativi compiuti male ma anche a posizioni sbagliate in un fisico predisposto, o ad uno sforzo eccessivo, per esempio durante  l’attività  lavorativa o nello sport. In questi casi si parla di ernia traumatica, più frequente  nelle persone giovani.

Un’altra causa è quella degenerativa, legata cioè all’età: si tratta dell’artrosi lombare, che colpisce le persone dopo i 50 anni .

Non esiste però un’età considerata a rischio.

 

Quali sono i fattori di rischio di ernia del disco lombare?

Sono considerati fattori di rischio le occupazioni sedentarie e l’inattività fisica, il sovrappeso, l’alta statura, la guida di veicoli a motore prolungata e costante,  le vibrazioni, i lavori a elevato impegno fisico, soprattutto se comportano abitualmente il sollevamento manuale di carichi, le gravidanze.

Come si fa la diagnosi dell’ernia discale lombare? Quali sono i sintomi?

La diagnosi dell’ernia è sia strumentale sia clinica, cioè tramite l’esame obiettivo e test clinici di coinvolgimento radicolare.

Considerando  l’alta frequenza di ernie del disco asintomatiche e la possibile regressione di ernie sintomatiche, è raccomandabile attendere almeno 4-6 settimane dall’insorgenza dei sintomi, i principali dei quali sono dolori lombare, radicolopatia e limitazione funzionale, prima di effettuare gli esami di diagnostica per immagine.

La sintomatologia dell’ernia del disco lombare inizia in genere con il cosiddetto “colpo di strega“, con dolore (lombalgia acuta) accompagnato da sciatalgia, compressione del nervo sciatico da parte dell’ernia e irradiazione del dolore alla gamba. Nella maggior parte dei casi si ha la guarigione spontanea. Nei casi di deficit neurologici, con perdita di forza o di sensibilità, diminuzione del trofismo e difficoltà a stare fermi a lungo in piedi si ricorre poi all’intervento chirurgico (discectomia). Nei casi in cui i sintomi non regrediscono, e prima dell’intervento chirurgico, è opportuno fare una TAC e una Risonanza Magnetica.

ernia disco 2

Qual è il trattamento nei casi di diagnosi  di ernia? Conservativo o Chirurgico?

L’intervento chirurgico di rimozione dell’ernia è riservato a quei malati nei quali il dolore e l’invalidità che compromettono le normali attività della vita quotidiana persistono per due o più mesi dall’inizio dei sintomi. La sintomatologia associata all’ernia, infatti, regredisce di frequente con i trattamenti conservativi; il primo approccio è il trattamento farmacologico. In questa prima fase il medico può prescrivere antinfiammatori e/o antidolorifici .

Se lo specialista lo ritiene opportuno, può anche prescrivere cortisonici per via intramuscolare che agiscono rapidamente, calmando sia il dolore che l’infiammazione.

È opportuno anche un moderato riposo, anche se, si è visto in questi ultimi anni che si deve evitare di mettersi completamente a letto: si devono alternare momenti di riposo al movimento, evitando  le posizioni che fanno aumentare il dolore e che caricano la schiena. In particolare spesso la posizione che fa più male è quella seduta. Poi si possono trovare validi aiuti nelle mani di un vero fisioterapista esperto (occhio ai falsi fisioterapisti che vanno a domicilio).

Alla terapia farmacologica fa seguito quindi un trattamento fisioterapico.

 

In cosa consiste un trattamento non chirurgico? Quali tecniche di rieducazione adottare?

È possibile utilizzare delle tecniche di terapie manuali per mobilizzare la colonna, favorendo un maggior spazio per il transito della radice nervosa.

Una delle tecniche più usate per il trattamento del dolore che si irradia lungo gli arti è costituita dalla rieducazione posturale che consiste  in una serie di esercizi abbastanza semplici messi a punto da una terapista di origine francese (F. Mèzierès), metodiche  che cercano di ridurre la pressione del disco sul nervo spingendo la parte di disco che comprime nella sua posizione normale, oppure allungando le catene muscolari che imprigionano e fissano la sintomatologia .

Nelle cure fisioterapiche strumentali fondamentale è l’uso della TECARTERAPIA  associata al massaggio decontratturante. Per ridurre la pressione sulla radice del nervo si possono effettuare manipolazioni della colonna e trazioni manuali, seguire un programma di esercizi per rinforzare i muscoli addominali e para-vertebrali, così da dare maggiore solidità alla colonna e ridurre le sollecitazioni meccaniche sulla radice. È consigliato fare un ciclo di massoterapia oltre ad un riposo alternato alla ripresa dell’attività fisica con delle passeggiate quotidiane ed eseguire dei semplici esercizi di scarico e relax come ad esempio: rimanere in una posizione sdraiata a pancia in su con le anche e le ginocchia piegate spesso aiuta perché rilassa la colonna.

Vi è prova che un programma intensivo di esercizi effettuato come trattamento conservativo per il trattamento dell’ernia de disco lombare, iniziato ed eseguito per circa 6-8 settimane, facilita il recupero funzionale e il rientro al lavoro, senza incrementare il rischio di intervento chirurgico .

Nel caso invece di un primo intervento chirurgico è fondamentale sapere che il rischio di recidiva è molto alto per i due anni successivi, specie per i soggetti giovani. La convalescenza dura due anni: in questo periodo è fondamentale fare prevenzione.

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170