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E’ morto Pino Rauti, le parole di Wanda Ferro

Leader della destra si è spento a Roma a 86 anni

E’ morto a Roma l’ex segretario del Msi Pino Rauti. Aveva 86 anni e si è spento stamani intorno alle 9.30.

Il presidente della Provincia di Catanzaro, Wanda Ferro, esprime profondo cordoglio per la morte di Pino Rauti, ex segretario del Movimento Sociale Italiano, nativo di Cardinale (CZ). “Con Pino Rauti – dice Wanda Ferro – scompare un pezzo di storia della destra italiana. Una destra che egli ha sempre voluto traghettare verso la modernità, strappandola via al nostalgismo e al conformismo dei vecchi schemi ideologici. Una vera e propria battaglia culturale quella condotta da Pino Rauti, per l’affermazione dei valori più autentici della politica: la comunità, il senso di appartenenza, l’etica, l’attenzione al sociale, una visione del mondo diretta alla difesa della tradizione e dei valori spirituali dell’uomo, ma soprattutto la grande volontà di trasformare le idee in azioni. Idee rivoluzionarie, con le quali ha ‘incendiato le anime’ di intere generazioni di giovani, affascinate dal suo carisma, dalla sua intelligenza, dalla sua inflessibile coerenza ideale, dal suo spessore culturale, dalla sua capacità di interpretare e precorrere i complessi fenomeni storici e sociali, con riflessioni e analisi che a distanza di decenni appaiono straordinariamente attuali. Ai suoi familiari, alla figlia Isabella e a Gianni Alemanno, rivolgo la mia più sincera vicinanza”.

Soppressione delle giunte provinciali: le dichiarazioni di Wanda Ferro

CATANZARO – 2 NOV 2012 – Di seguito una dichiarazione del presidente dell’Upi Calabria, Wanda Ferro:

“Da un governo tecnico ci si aspetterebbero decisioni improntate alla funzionalità e all’efficienza, non alla demagogia. Eppure alcune scelte, come l’azzeramento delle giunte provinciali, sembrano dirette soltanto a soddisfare gli appetiti irrazionali della cosiddetta antipolitica, piuttosto che ad ottenere un effettivo risparmio di risorse e migliori servizi per i cittadini. Il Governo continua a non intervenire sulle vere voragini in cui sprofondano i soldi dei cittadini – società partecipate, consorzi ed enti strumentali che con i loro consigli di amministrazione costano 7 miliardi di euro all’anno – però continua ad accanirsi contro le Province, senza alcun reale beneficio in termini di risparmio di spesa, anzi con un aumento complessivo dei costi, un peggioramento dei servizi per i cittadini ed un generale impoverimento dell’economia del territorio.

Quello che il Governo spaccia per una lotta allo spreco è un bluff che i cittadini stanno già pagando a caro prezzo. La decisione di non mantenere in carica gli organi politici fino alla scadenza naturale del mandato rappresenta inoltre un grave vulnus democratico – molti assessori in carica sono stati eletti dai cittadini e hanno lasciato il Consiglio per assumere l’incarico in Giunta –, ma soprattutto si impedisce all’amministrazione di svolgere le sue funzioni nella piena efficienza. Se alle Province sono attribuite funzioni importanti di gestione, non si può pensare di cancellarne gli organi esecutivi: sarebbe come dire che il Governo nazionale non serve, perché per assolvere alle sue funzioni può bastare il Parlamento.

La possibilità di delegare funzioni a tre consiglieri è infatti impercorribile, innanzitutto sotto il profilo della separazione dei poteri e delle funzioni tra chi amministra e chi dovrebbe indirizzare e controllare, che rappresenta un punto cardine della
democrazia, ma anche sotto il piano della rappresentatività politica e territoriale. Per questo occorre un’assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche parlamentari, che in sede di conversione del decreto non possono avallare una scelta populistica, che delegittima esse stesse e il loro ruolo di rappresentanza degli interessi e delle istanze dei cittadini.

Restiamo intanto in attesa della decisione della Consulta che, il 6 novembre, potrebbe sancire l’illegittimità di una riforma che sopprimendo tanti enti intermedi non taglia i costi, bensì i servizi ai cittadini, la rappresentanza democratica nei territori, ma anche tanti importanti presidi di legalità, come le Prefetture e le Questure. L’auspicio è che la Corte Costituzionale dia ragione alla battaglia che abbiamo condotto per mesi, e consenta di lasciare in vita le Province di Crotone e Vibo Valentia. Se così non sarà, è indispensabile che il nuovo percorso sia improntato al dialogo, alla collaborazione, al rispetto dell’identità dei territori e al superamento di quei campanilismi che hanno storicamente rappresentato alcune delle principali zavorre alla crescita della Calabria. L’area centrale della regione, in un ritrovato spirito di coesione e unità, deve rappresentare la cerniera capace di unire territori diversi e complementari, da Cosenza a Reggio, puntando alla crescita complessiva dell’intera Calabria”.