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[#BadNews] E’ morto Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills 90210

E’ venuto a mancare Luke Perry.

Ad annunciarlo il sito TMZ. L’attore, noto ai più per la parte di Dylan in Beverly Hills 90210, era rimasto vittima di un ictus qualche giorno fa. Le condizioni sono apparse subito disperate, ma gli amici e i fan dell’attore hanno sperato fino alla fine in una sua ripresa. Ci ha lasciati questa mattina all’età di 52 anni all’Ospedale St. Joseph’s di Los Angeles, dove era ricoverato.

Negli ultimi anni era ritornato alla ribalta grazie alla serie Riverdale, in cui ricopriva la parte di Fred Andrews, e aveva appena finito di girare alcune scene per il nuovo film di Tarantino, Once upon a time in Hollywood, pellicola sulla storia del serial killer Charles Manson.

Era, inoltre, stata confermata la sua presenza nella serie reboot di Beverly Hills 90210.

Miriam Caruso

 

[#CiNerd] Dragon Ball Super: Broly, la recensione

Il 28 febbraio è uscito finalmente anche in Italia il nuovo film sull’universo di Dragon Ball “Dragon ball Super: Broly”.

La pellicola fu annunciata nel lontano 2017, ma il primo poster promozionale venne mostrato appena una settimana prima della fine della serie animata.

Broly, originariamente apparso nel film Dragon Ball Z: il Super Saiyan della Leggenda del 1993, viene rivisitato dallo stesso Akira Toriyama, con l’intento di mostrare l’amato personaggio in una veste del tutto nuova e sopratutto canonica alla serie Super (in previsione forse di una nuova serie).

LA TRAMA

La trama si pone come una continuazione della saga principale: è ambientata subito dopo gli eventi del Torneo del Potere, in cui Freezer è intento a rubare le Sfere del Drago sulla Terra e a reclutare nuovi combattenti per aumentare la potenza del suo esercito.

Proprio durante le operazioni di reclutamento si imbatte in Broly e Paragas, Saiyan esiliati su un pianeta lontano e selvaggio in cui meditano vendetta per il torto subito da re Vegeta. Appena il tiranno galattico si rende conto del potenziale combattivo di Broly, decide di recarsi sulla Terra per usarlo come arma contro Goku e Vegeta. La battaglia sarà lunga e devastante e i nostri protagonisti cercheranno di tenere testa a Broly con molte difficoltà.

IL COMMENTO

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Come annunciato dal regista, Tatsuya Nagamine, il combattimento sarebbe stato al centro dell’intera pellicola; infatti la sequenza in cui si alternano sia Goku che Vegeta contro Broly è lunga e appassionante, ed è tangibile la cura che è stata messa nelle animazioni, dopo le ripetute lamentele per la qualità generale di Dragon Ball Super. Tuttavia, la trama non riesce a rendere giustizia al (ex) Super Saiyan della Leggenda, che risulta piatta e poco interessante. Ma non è l’unico personaggio snaturato del film: Freezer passa da invincibile villain a macchietta quasi comica, con motivazioni futili nella sua ricerca delle Sfere del Drago. Bardack conferma quanto letto nel capitolo del manga Dragon Ball Minus, cioè di essere un padre amorevole che decide di spedire lontano dal pianeta Vegeta, il suo figlio più piccolo, per via di presentimenti di morte avvertiti per l’ingombrante presenza di Freezer sul popolo di guerrieri. Anche i personaggi secondari non riescono a essere così indimenticabili, anche perché molti di loro non sono per nulla approfonditi.

Lo sappiamo, essendo un prodotto del tutto nuovo, non andrebbe paragonato al precedente film, ma è impossibile esimersi dal farlo: la vendetta di Paragas (i cui motivi sono rimasti invariati) risulta meno incisiva e lo stesso rapporto che ha con suo figlio è meno protettivo rispetto all’originale, quasi crudele. Broly è una macchina da guerra, che sembra non avere una propria volontà, e tutto quello che fa, lo fa perché glielo ordina suo padre. Quindi i fattori scatenanti della sua rabbia, dovuti a Goku nella pellicola precedente, sono qui del tutto inesistenti, anche per via del fatto che la sua ira questa volta è indirizzata verso Vegeta. In più anche il design, che tutto sommato si avvicina a quello classico, è poco originale se si pensa che sarebbe dovuto essere “inedito”.

COMPARTO TECNICO

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Lo stile grafico è forse il maggior pregio, che attinge da un’animazione vintage, quasi a ricordare la serie Z, con l’aggiunta di una lieve CGI che però non si amalgama del tutto allo stile generale. La fluidità dei combattimenti è sicuramente superiore a quella vista in molti anime odierni (compreso Dragon Ball Super stesso), vista l’enorme presenza di scene veloci e frenetiche che coprono praticamente tutta la seconda parte del film. Probabilmente avrebbe avuto bisogno di una colonna sonora più incisiva, che rendesse il tutto più epico ed emozionante.

IN CONCLUSIONE

Quello di “Dragon Ball Super: Broly” è un esperimento parzialmente riuscito, seppur siano presenti più difetti che pregi. Apprezzabile è comunque la volontà di ascoltare i fan e includere nel progetto personaggi così amati e iconici, che non possono fare a meno di ingrandire ancora di più l’immenso universo di Dragon Ball.

Carmine Aceto

[#Oscar] La lista completa dei vincitori dell’Academy Awards 2019

La cerimonia di consegna dei Premi Oscar, edizione numero 91, si è appena svolta al Dolby Theatre di Los Angeles.

Le prestigiose statuette sono state assegnate dai membri dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences in una cerimonia molto attesa. Dopo la rinuncia di Kevin Hart, nessun presentatore ufficiale è salito sul palco, ma non sono mancate presenze importanti.

Le candidature erano state annunciate il 22 gennaio. Le pellicole con il maggior numero di nominations erano Roma del regista messicano Alfonso Cuarón e La favorita di Yorgos Lanthimos, 10 a testa, seguite da A star is born di Bradley Cooper e Vice – L’uomo nell’ombra di Adam McKay con 8.

La cerimonia non è stata povera di sorprese, fra tutte le tre statuette vinte da Black Panther, che continua a mietere record storici. Infatti, il cinecomic di casa Marvel non solo è il primo film del genere a essere stato candidato nella categoria Miglior Film, ma Ruth E. Carter è stata la prima donna afroamericana a guadagnare l’Oscar per i Migliori Costumi. Degna di nota anche l’esibizione di Lady Gaga e Bradley Copper sulle note di Shallow, con una Gaga visibilmente emozionata, poi in lacrime al momento di ritirare il proprio Oscar per la Migliore Canzone.

Durante il tributo per le personalità del mondo del cinema scomparse lo scorso anno, l’Academy ha reso un piccolo omaggio anche a Stan Lee, Excelsior!

Ma ecco di seguito la lista completa dei vincitori.

MIGLIOR FILM

Green Book – Jim Burke, Charles B. Wessler, Brian Currie, Peter Farrelly e Nick Vallelonga

MIGLIOR REGIA

Alfonso Cuarón – Roma

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA

Rami Malek – Bohemian Rhapsody

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA

Olivia Colman – La favorita

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA

Mahershala Ali – Green Book

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA

Regina King – Se la strada potesse parlare (If Beale Street could talk)

MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE

Nick Vallelonga, Brian Currie e Peter Farrelly – Green Book

MIGLIORE SCENEGGIATURA NON ORIGINALE

Charlie Wachtel, David Rabinowitz, Kevin Willmott e Spike Lee – BLACKkKLANSMAN

MIGLIORE FILM STRANIERO

Roma –  regia di Alfonso Cuarón (Messico)

MIGLIORE FILM D’ANIMAZIONE

Spider-Man – Un nuovo universo (Spider-Man – Into the Spider Verse) , regia di Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman

MIGLIORE FOTOGRAFIA

Alfonso Cuarón – Roma

MIGLIORE SCENOGRAFIA

Hannah Beachler e Jay Hart – Black Panther

MIGLIORE MONTAGGIO

John Ottman – Bohemian Rhapsody

MIGLIORE COLONNA SONORA

Ludwig Göransson – Black Panther

MIGLIORE CANZONE

Shallow (musica e testi di Lady Gaga, Mark Ronson, Anthony Rossomando e Andrew Wyatt) – A Star is born

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI

Paul Lambert, Ian Hunter, Tristan Myles e J.D. Schwalm – First Man (Il primo uomo)

MIGLIORE SONORO

Paul Massey, Tim Cavagin e John Casali – Bohemian Rhapsody

MIGLIORE MONTAGGIO SONORO

John Warhurst e Nina Hartstone – Bohemian Rhapsody

MIGLIORI COSTUMI

Ruth E. Carter – Black Panther

MIGLIOR TRUCCO E ACCONCIATURA

Greg Cannom, Kate Biscoe e Patricia DeHaney – Vice. L’uomo nell’ombra

MIGLIOR DOCUMENTARIO

Free Solo – regia di Jimmy Chin e Elizabeth Chai Vasarhelyi

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO DOCUMENTARIO

Period. End of Sentence – regia di Rayka Zehtabchi

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO

Skin – regia di Guy Nattiv

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D’ANIMAZIONE

Bao – regia di Domee Shi (Pixar)

 

 

 

 

[#NerdNews] Pokémon: Internazionale Melbourne 2019

Si è concluso da pochi giorni il Campionato Internazionale di Melbourne dedicato ai Pokémon.

Oltre ad essere uno dei più importanti tornei a livello mondiale, questa edizione dell’internazionale è stata particolarmente interessante perché si sono viste (per la prima volta in una competizione mondiale) all’opera le carte della nuova espansione Gioco di Squadre.

La prima cosa che possiamo notare guardando i deck presenti nella Top 36 finale è la massiccia presenza delle combinazioni Zapdos/Jirachi e Pikachu/Zekrom, tutte carte presenti nella nuova espansione. Poi troviamo gli instancabili Zoroark in combinazione con Lycanroc, immancabile anche Malamar che continua a dimostrare stabilità e concretezza anche in coppia con Ultra Necrozma, anche se non riesce ad entrare per un soffio nella Top 8. Infine possiamo notare come sono stati utilizzati solo due deck Blacephalon/Naganadel, che nella scorsa espansione (Tuoni Perduti) hanno rappresentato i migliori deck nel formato.

jirachi pokemon

Per quanto riguarda i giocatori nella top ci sono poche sorprese nella categoria Master con 338 partecipanti e la presenza in Top 36 di grandi player come Altavilla, Schulz, Chen e i finalisti Ivanoff e Williams. Purtroppo il nostro connazionale Boschetto non è riuscito a passare il Day 1 del torneo terminando con un punteggio di 5-2.

Come appena detto, in finale si sono incrociati Ivanoff (con un deck Zoroark/Lycanroc/Lucario) e Williams (Zapdos/Jirachi), con quest’ultimo che al termine del terzo round è riuscito a portare a casa una sudata vittoria.

Ora vedremo se nel prossimo Internazionale ci sarà un’evoluzione del metagame per contrastare i nuovi deck.

Carmine Aceto

[#NerdReview] Alita – angelo della battaglia, la recensione

Dopo tante attese e rimandi, finalmente il nuovo attesissimo film tratto dal famoso manga di Yukito Kishiro, di grande importanza all’interno dell’intero panorama fumettistico per le sue tematiche intense, arriva nei nostri cinema: Alita.

La pellicola, diretta da Robert Rodriguez e prodotta da James Cameron (che non hanno certo bisogno di presentazioni) ha rispettato la natura del prodotto, portando su schermo una dignitosa trasposizione della storia di Alita. Infatti è proprio questo che più ha reso soddisfatta la cerchia dei fan, ovvero il fatto che ci fossero tutti gli elementi rappresentativi del manga, come lo spettacolare Motorball, che lo stesso Cameron ha confessato di non poter fare a meno di inserire, seppur con qualche modifica alla trama originale.

Ma vediamo nel dettaglio questa ennesima trasposizione hollywoodiana di un’opera nipponica.

LA TRAMA

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Nella Città di Ferro, anno 2563, il dottor Ido va alla ricerca di pezzi di ricambio per svolgere la sua professione di medico all’interno della grande discarica della città, in cui trova un cyborg di fattezze femminili con un cervello umano intatto. Ido la riparerà e scoprirà che il robot non ha memoria di come sia finita nella discarica. E così il dottore le darà un nome a lui molto caro: Alita. All’interno della sua nuova vita, Alita farà la conoscenza di Yugo, giovane col sogno di raggiungere un giorno Salem, la Città Sospesa, e con cui stringerà un rapporto speciale. cyborg spietati  saranno pronti a ucciderla, cosa che le farà scoprire delle potenzialità combattive sopite che si manifestano grazie al suo senso di giustizia e alla volontà di combattere il male.

IL CAST

Il cast, formato da Rosa Salazar nel ruolo di Alita, Christoph Waltz nel ruolo di Ido, Jennifer Connelly nel ruolo dell’ambiziosa scienziata Chiren, risulta essere azzeccato e le interpretazioni sono state di alto livello. In particolare la Connelly ha saputo dare la giusta caratterizzazione al personaggio di Chiren, seppur con qualche cambiamento ai fini della sceneggiatura, sempre curata da Cameron.

COMPARTO TECNICO E COMMENTO

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La CGI era probabilmente la nota che spaventava di più i fan: se gli occhi della giovane protagonista sembravano a primo acchito grossolani e fuori posto, nella pellicola si amalgamano alla perfezione e, anzi, si cerca di dare una sorta di “giustificazione” alla scelta. La Città Sospesa colpisce per la sua bellezza e la sua realizzazione, ma sicuramente il punto più forte del film è l’azione: scene di combattimento spettacolari, acrobazie e partite di Motorball all’ultimo sangue fanno immergere lo spettatore al centro dell’azione, che quasi si tiene alla poltrona grazie alla fluidità delle immagini in movimento. In particolare, il corpo di Alita è leggiadro e sinuoso, muovendosi sullo schermo come se fosse una persona in carne e ossa. L’estetica dei cyborg riesce nella volontà di stupire per la grossa quantità di dettagli di cui sono composti e la luce che spesso si riflette su di essi dà il giusto spessore e volume, senza sembrare “finzione”.

Per quanto riguarda i difetti, perché nessuna pellicola è perfetta, il ritmo è altalenante, tra fasi molto concitate e altre in cui si ha la presenza di qualche “spiegone” di troppo, seppur non vada a minare la fruibilità del tutto (anche se un fan potrebbe essere un po’ pignolo su queste sbavature).
Anche la regia fa il suo dovere, mostrando la bellezza di alcuni scorci della Città di Ferro e dell’imponente Salem.
Tutto sommato, la combo Rodriguez-Cameron ha raggiunto il risultato sperato, lasciandoci la speranza di riuscire a proseguire la storia, dato il finale aperto.

Speriamo che anche il botteghino premi gli sforzi di Hollywood, che in questo caso, si è comportata in modo rispettoso verso l’opera originale e (soprattutto) verso i fan.

Vittoria Aiello

[#NerdReview] Carmen Sandiego, il reboot di un mito

Molti della mia generazione, quella degli anni ‘80 per capirci, hanno avuto una fitta al cuore quando hanno sentito del reboot della serie di Carmen Sandiego.

Questo perché la moda della nostalgia ha già mietuto moltissime vittime sullo schermo e avevamo paura che questo poteva riproporsi con la femme rouge.

Ma… c’è stato un tradimento?

Prima di addentrarci nel mondo dei ladri, c’è da fare una premessa evidente: nella serie originale il punto di vista non era di Carmen. Il giocatore (un uomo nel mondo reale) doveva cercare questa fantomatica Carmen attraverso due degli agenti della ACME, Zack e Ivy, che le davano la caccia. Qui uno dei punti di grande differenza: questo reboot parla di lei, delle sue emozioni e di come, da bambina, è diventata la ladra più famosa del mondo. Tutto è più allineato, relativamente ha più senso e di sicuro non ha l’orribile stacco da mondo reale a mondo animato che tanto andava di moda negli anni ‘90.

COSA CAMBIA NEL REBOOT

Ritornano i personaggi della vecchia serie come “Player”, doppiato in questa versione da Finn Wolfhard (il giovane Mike in Stranger Things, in Italia doppiato da Luca De Ambrosis) insieme a Zack e Ivy. Questi, però, subiscono un mutamento dettato dalla rinnovata storia, più fresca e coinvolgente, ma senza perdere i topic educativi delle vecchie stagioni.

La serie “Dov’è finita Carmen Sandiego?” del 1994 nasce infatti da una serie di giochi educativi e Netflix nel suo reboot vuole rispettare questa connotazione ambientando ogni episodio in un luogo diverso così da spiegarne storia e avvenimenti importanti. Certo è che il focus è di sicuro sull’intrattenimento rispetto all’educazione, quindi troveremo personaggi con grande spessore emotivo e psicologico e soprattutto una Carmen più “umana” e meno fantomatica.

Gina Rodriguez ha interpretato bene la voce della protagonista (in Italia è doppiata da Lavinia Paladino, Yumeko in “Kakegurui“), ma qui ci sarebbe da fare un appunto sul doppiaggio: seppure i dialoghi siano fluidi e ben caratterizzati, molti dei giochi di parole e citazioni fatte nella lingua originale non passano attraverso la versione italiana. Vi consiglio quindi una successiva visione in lingua originale se masticate bene l’inglese.

COMPARTO GRAFICO

La rivoluzione, oltre che nella storia e nei personaggi, è avvenuta nel comparto grafico. Se la serie animata originale aveva lo stile tipico che ritroviamo nell’animazione americana del tempo, questa riproposizione Netflix utilizza tinte piatte e sfumature di colore dando al tutto un aspetto più leggero e minimale. Un occhio più attento noterà però nello studio fotografico dei fondali molto ben sviluppati e ricchi di sfumature di colore e dettagli.

COMMENTO

In definitiva, Carmen Sandiego è una serie che intrattiene e si lascia guardare piacevolmente nei suoi 9 episodi. Il finale aperto lascia l’aspettativa di una nuova stagione che non è stata, tuttavia, ancora confermata. Non la vedremo sicuramente quindi per la stagione primaverile ma possiamo sperare in quella estiva o autunnale.

Dal vostro Mr.Ink è tutto, commentate su facebook per dire la vostra riguardo la serie e seguite la nostra pagina per ulteriori novità!

 

Daniele “Ink” Ferullo

[#CiNerd] Aquaman, la recensione: punto di svolta per la DC?

Dopo un anno a tratti catastrofico, Aquaman sarà riuscito a risollevare le sorti dell’universo cinematografico DC?

Pubblica ammissione: la delusione provocata da Suicide Squad e da Justice League brucia ancora. Tuttavia, nonostante l’hype ridotto alla soglia dello zero, i grandi numeri registrati al botteghino mondiale dal cinefumetto di James Wan, mi hanno indotta a dare una possibilità al personaggio di Jason Momoa.

LA STORIA

La storia è quanto di più semplice ci si possa aspettare e narra le origini di Aquaman. Ora, alzi la mano chi non ha mai pensato che, nella Justice League, Aquaman sia il più sfigato tra gli eroi. Ecco, non vedo nessuna mano… e proprio in questo risiede il punto di forza di una pellicola in cui nessuno probabilmente avrebbe scommesso. Questo cinecomic non cerca di strafare col risultato di finire fuori tema o sovraccaricare lo spettatore di eventi che non gl’interessa conoscere: si limita a raccontare chi è Arthur Curry e com’è diventato il Protettore degli oceani.

Quanto alle vicende narrate, siamo lontani dalla profondità della trilogia di Nolan dedicata all’uomo pipistrello per tinte dark e spessore narrativo, ma Aquaman non cerca affatto di scimmiottarla. Non si traveste da cinecomic orrorifico per poi lanciare addosso al pubblico ignaro il colpo di grazia delle gag (sì, Suicide Squad, sto dicendo proprio a te). Fin dal trailer si è mostrato per quello che è: una pellicola d’intrattenimento che narra una storia delle origini. Troviamo una famiglia, botte, inseguimenti, battute che strizzano l’occhio all’action movie hollywoodiano, motivi come il coraggio e la necessità di scegliere, l’epopea di un uomo che va incontro al suo destino.

COMPARTO TECNICO

Aquaman racconta una storia semplice. Quindi sì, la sceneggiatura di David Leslie Johnson-McGoldrick e Will Beall non brilla certo per originalità o per la brillantezza dei plot twist: un po’ perché qualche fumetto l’abbiamo letto, un po’ perché insomma cinecomics ne abbiamo visti tanti. Non facciamo fatica a capire come la storia si evolverà né che alla fine il cattivo sarà sconfitto. Eppure, le due ore piene di film scorrono in velocità e nessuna noia s’impadronisce dello spettatore. Se c’è una parola che può descrivere la pellicola di James Wan, quella è SPETTACOLARITÀ.

Il regista malaysiano, forse memore del suo lavoro in Fast & Furious, ha pensato bene di dare vita a una pittoresca scena d’inseguimento e fin qui tutto normale… se non fosse che non ci sono quattro ruote che sfrecciano per le strada losangeline, ma mezzi atlantidei che a tutta velocità schizzano tra i flutti. A discapito delle premesse (tutti ricordiamo uno di quei primi poster del film che pareva malamente photoshoppato), la CGI è ben fatta oltre ogni aspettativa. Brenden Barry Brown, Hauk Olafsson e Tony Watt hanno dato il meglio negli effetti speciali e la visione del film è una gioia per gli occhi. Creature marine reali e fantastiche, la futuristica Atlantide, la molteplicità delle scene nelle viscere oceaniche, perfino un imponente kraken. L’impressione è spesso quella di essere immersi nella gigantesca vasca di un acquario, spettatori di un mondo sommerso che pullula di oscurità e vita intorno a noi.

IL COMMENTO

Aquaman può dirsi probabilmente il più riuscito tra i cinefumetti targati DC degli ultimi anni (la trilogia di Nolan non toccatela, però, quella è un mostro sacro). Non ha nulla da invidiare ad alcune delle pellicole Marvel (Thor: Ragnarok sentiti chiamato in causa). Il film è letteralmente straripante: di acqua, creature, rumori, personaggi, eppure il caos che regna sovrano non è mai così eccessivo da infastidire, anzi risucchia in un vortice che quasi invoglia a volerne di più. Cosa che, a giudicare dalla scena post crediti (e dagli incassi stellari) probabilmente accadrà, ma se questo è stato il primo capitolo molti saranno invogliati a vederne un secondo.

Nonostante i vistosi difetti di scrittura, dunque, Aquaman riesce nell’impresa titanica di non deludere (a meno che non siate andati al cinema aspettandovi un film d’autore), perché ogni personaggio, ogni azione sembrano essere al posto e al momento giusto. Pur con le movenze smisurate di un kolossal, la pellicola narra una modernissima vicenda di formazione. È la storia di una sorta di metallaro capellone tutto tatuaggi e scazzottate ma dal cuore buono, che non solo è re di un mondo a cui crede di non appartenere davvero, ma diventa un eroe. Jason Momoa, Amber Heard, Dolph Lundgren fanno un buon lavoro. Ma soprattutto Willem Dafoe si conferma un ottimo performer nel ruolo del consigliere e maestro atlantideo Vulko. Esiguo il minutaggio riservato a Nicole Kidman perché la sua performance possa essere degna di nota.

CONCLUSIONI

Aquaman è un film mastodontico che dona senza riserve tutto quel che ha da dare, non si finge quel che non è. Concede una spruzzata di freschezza all’Universo Esteso di una DC ormai martoriata, incapace di portare a galla la propria carcassa, inabbissata sul fondale di una sfida all’ultima imitazione. Certo, siamo ancora lontani dal capolavoro, ma forse il Tridente di Atlan è riuscito nell’impresa di rifocillare la speranza. Il mio consiglio, perciò, è di concedervi una visione senza pretese e immergervi nella meraviglia di Atlantide. Aquaman non è più l’eroe sfigato della Justice League.

Infine, complimentatevi con la sottoscritta che è riuscita ad arrivare alla fine di questa recensione senza menzionare nemmeno una volta il fascino incommensurabile di un Jason Momoa bagnato  e scompigliato.

 

Francesca Belsito

 

[#Anime] TOP 10 Anime più belli del 2018 by SaiTony

Il 2018 si è ormai concluso. Ecco a voi la mia personalissima TOP 10 delle serie anime dello scorso anno.

Vi ricordo che si tratta di serie CONCLUSE nel 2018, anche se iniziate nel 2017, in modo da avere una visione complessiva della serie. Ma bando alle ciance e partiamo con la posizione numero 10.

 

10. Seishun Buta Yarou wa Bunny Girl Senpai no Yume wo Minai

bunny girl

 

Titolo lunghissimo e decima posizione per questa ottima serie in 13 episodi targata Cloverworks, con regia di Souichi Masui, adattamento dell’omonima light novel di Hajime Kamoshida. Questo anime riesce a fondere molto bene il sovrannaturale alle classiche turbe adolescenziali, ispirandosi sicuramente a serie come La malinconia di Haruhi Suzumiya e Monogatari. Dalla copertina ci si può aspettare la classica serie ecchi, invece ci troviamo davanti un’opera matura, con degli ottimi personaggi e un grande ritmo. Sul lato tecnico l’anime si fa valere soprattutto sul lato della regia, con forte sensibilità nella gestione dei dialoghi, che scorrono senza annoiare per un secondo. La serie è inedita in Italia, la trovate dai Rakuen Subs. Voto 8.

 

9. Banana Fish

Banana fish

 

Alla posizione numero 9 abbiamo un anime in 24 episodi prodotto da studio MAPPA e diretto da Hiroko Utsumi, adattamento dell’omonimo manga di Akimi Yoshida, serializzato tra il 1985 e il 1994. Serie con un ottimo comparto action e dei personaggi veramente memorabili, che riesce a tenerti incollato allo schermo. Sul lato tecnico la serie si avvale di un bel character design e ottime animazioni, nonostante un leggero calo negli episodi finali. L’anime è disponibile su Amazon Prime Video. Voto 8.

 

8. Hinamatsuri

Hinamatsuri

 

Ottava posizione per il divertentissimo anime in 12 episodi targato studio Feel, con regia di Kei Oikawa, adattamento del manga omonimo di Masao Ohtake. Serie con delle bellissime caratterizzazioni e con un ritmo indiavolato, vi verrà da divorarvi i 12 episodi tutti in una volta. Il character design di Kanetoshi Kamimoto conferisce ai personaggi un aspetto particolarmente simpatico, che di tanto in tanto sfocia in delle facce esilaranti. L’anime è disponibile su Crunchyroll. Voto 8.

 

7. After the rain (Koi wa ameagari no you ni)

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Settimo posto per un ottima serie romance in 12 episodi targata Wit Studio, con regia di Ayumu Watanabe, tratta dal manga di Jun Mayuzuki. Serie che tratta il tema dell’amore tra 2 persone con una grande differenza d’età. Personaggi molto ben caratterizzati, con l’autore che riesce a dare spazio anche ai comprimari, creando una storia di grande dolcezza e sensibilità, cosa che traspare anche nella regia di Watanabe. Anime disponibile su Amazon Prime Video. Voto 8.

 

6. SSSS. Gridman

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Al sesto posto abbiamo la nuova fantastica serie in 12 episodi prodotta da Studio Trigger, con regia di Akira Amemiya. L’anime parte come una serie mecha, senza particolare sostanza, ma con l’avanzare degli episodi ci rendiamo conto che l’opera è molto più profonda e matura di quanto potesse sembrare, utilizzando il tema della depressione per creare un gruppo di personaggi complessi e strettamente collegati tra loro. Episodio finale da antologia. Sul lato tecnico abbiamo una buona fusione tra animazioni classiche e computer grafica, utilizzata soprattutto per animare gli scontri. Regia che per alcune inquadrature ricorda quella di Hideaki Anno nei rebuild di Evangelion. Serie inedita in Italia, la trovate dai Sadame No Fansub. Voto 8,5.

 

5. Megalo Box

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Quinta posizione per Megalo Box, serie in 13 episodi prodotta da TMS Entertainment, con regia di You Moriyama. L’anime è stato realizzato per festeggiare i 50 anni del capolavoro Ashita No Joe (Rocky Joe in Italia), omaggiandone i personaggi e le situazioni. Serie che funziona alla stragrande, anche senza conoscere l’opera originale, grazie ad un’ottima gestione dei rapporti tra i personaggi e un buon apparato tecnico, con delle discrete animazioni e una regia che non si risparmia nelle scene di combattimento. A livello visivo, la serie fonde alla perfezione uno stile moderno con dei connotati molto vecchio stampo. Disponibile su VVVVID. Voto 8,5.

 

4. Steins;Gate 0

steins gate 0

Quarta posizione per una delle serie più attese dal sottoscritto. Steins;Gate 0 è l’adattamento in 23 episodi dell’omonima visual novel prodotta da 5pb e Nitroplus, midquel di Steins;Gate e ambientato nella linea temporale β, quella che nella serie originale porta alla terza guerra mondiale. L’anime è prodotto da studio White Fox, con regia di Kenichi Kawamura. Serie che si combina alla perfezione con l’opera originale, rispondendo a quasi tutte le domande rimaste in sospeso. Al solito, abbiamo tutti gli ottimi personaggi di Steins;Gate, più qualche gradita aggiunta. La serie ha il pregio di avere un bel ritmo nella prima metà, con un leggero calo nella parte centrale, ma niente di esagerato. A livello tecnico si sente la mancanza di Hiroshi Hamasaki alla regia, le scene non hanno lo stesso impatto e la stessa enfasi di Steins;Gate, ma Kawamura riesce comunque a mettere in scena una regia solida e senza fronzoli. Musiche molto belle, con un riutilizzo dei temi classici di Steins;Gate, più qualche brano originale. Disponibile su VVVVID. Voto 9.

 

3. A place further than the universe

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Al terzo posto abbiamo uno degli “slice of life” migliori degli ultimi anni. Sora yori mo Tooi Basho è un anime originale in 13 episodi prodotto da studio Madhouse, con regia della talentuosa Atsuko Ishizuka. Serie meravigliosa, con 4 protagoniste diversificate, ma perfettamente in sintonia, che partiranno per un viaggio indimenticabile. Una piccola perla di rara bellezza, una di quelle serie che ti ricordano il perché ami l’animazione. Grande regia, ottime animazioni e musiche sensazionali. Disponibile su Crunchyroll. Voto 9,5.

 

2. Devilman: Crybaby

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Seconda posizione per il nuovo adattamento del capolavoro di Go Nagai “Devilman”. La serie è prodotta da studio Science SARU con regia del genio Masaaki Yuasa. Adattamento che ambienta l’opera originale ai giorni nostri, modificandola in alcuni punti, ma mantenendone intatta la sua devastante forza, dimostrando quanto i suoi temi non tramontino mai. Gli ultimi 2 episodi della serie sono di quelli che rimangono piantati nel cervello e non vanno più via. La regia di Yuasa è più trattenuta rispetto ai suoi standard, ma il suo tocco resta inconfondibile, con il particolarissimo character design e le ottime animazioni. La serie ha inoltre uno dei migliori comparti musicali degli ultimi anni, pezzi come Crybaby o D.V.M.N sono da riascoltare a ripetizione. Disponibile su Netflix. Voto 9,5.

 

1. 3-Gatsu No Lion 2

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Sul gradino più alto del podio abbiamo il capolavoro dell’anno, ovvero la seconda stagione di 22 episodi dell’adattamento del manga Un marzo da leoni di Chika Umino. La serie è prodotta da studio Shaft, con regia del grande Akiyuki Shinbo, ed è andata in onda per metà nel 2017, concludendosi a Marzo del 2018. L’autrice dimostra nuovamente quanto i suoi personaggi siano straordinari, come aveva già fatto con Honey & Clover, narrando una storia in cui ogni situazione ti tocca nel profondo del cuore. La Umino è veramente un’autrice unica nel suo genere, i suoi personaggi sembrano degli amici a cui vuoi bene, ti viene da sorridere con loro, da piangere quando sono tristi, da sentirne la mancanza quando non ci sono. Questa stagione tocca temi importanti come il bullismo, con la solita sensibilità che contraddistingue questa straordinaria mangaka. Tutto questo unito alla regia di Akiyuki Shinbo crea una serie d’animazione che tutti dovrebbero vedere, una di quelle opere d’arte meravigliose da cui ogni autore dovrebbe prendere ispirazione. Voto 10.

 

Menzione d’onore per alcuni lungometraggi, soprattutto l’ottimo Penguin Highway, l’OAV Asagao To Kase-San e il film Maquia: When The Promised Flower Blooms, quest’ultimo forse il miglior film dell’anno tra quelli che ho avuto il piacere di visionare.

 

Antonio “SaiTony” Vaccaro

 

[#NerdAnime] Cavalieri dello Zodiaco, perchè Andromeda sarà donna nel remake

La serie animata de I Cavalieri dello Zodiaco sta per tornare.

La piattaforma di streaming Netflix ha pubblicato online il primo trailer del remake ufficiale di Saint Seiya realizzato dallo studio di animazione MEIRS.

La serie, intitolata Knights of the Zodiac – Saint Seiya, avrà una prima stagione di dodici episodi. Le vicende esploreranno la saga già nota fino alla comparsa dei Cavalieri d’Argento. Yoshiharu Ashino si occuperà della regia, mentre la sceneggiatura è stata affidata a Benjamin Townsend, Shannon Eric Denton, Thomas F. Zahler, Joelle Sellner, Travis Donnelly, Thomas Pugsley, Saundra Hall, Shaene Siders e Patrick Rieger. Il character design sarà di Terumi Nishi, mentre il design delle armature sarà di Takashi Okazaki.

LE POLEMICHE

Tuttavia, alla visione del trailer molti fan hanno storto il naso. Il motivo è semplice: il cambiamento drastico apportato al personaggio di Shun, il Bronze Saint di Andromeda. Infatti, la versione del personaggio proposta dal remake made in Netflix del lavoro del maestro Masami Kurumada non avrà solo una voce più femminile, ma sarà una donna, in tutto e per tutto.

A commentare la decisione è stata per prima la designer Terumi Nishi, che ha spiegato che la decisione di rendere Shun di Andromeda una donna sia stata presa prima che lei stessa accettasse l’incarico.  In ogni caso, l’artista si è detta certa che “la nuova Andromeda farà del suo meglio come Sacro Guerriero”.

LA RISPOSTA DELLO SCENEGGIATORE

A porre fine alla controversia legata al personaggio è stato Eugene Son, creatore della serie d’animazione Saint Seiya targata Netflix. Son, attraverso una lunga serie di tweet, ha risposte alle critiche dei fan, motivando la scelta di rendere femminile il personaggio.

«‘Perché cambiare Andromeda?’ Me ne assumo la responsabilità. Quando abbiamo cominciato a sviluppare questo remake della serie, volevamo cambiare il meno possibile. I concetti chiave di Saint Seiya, che ne fanno un prodotto così amato, sono fortissimi. La maggior parte di questi funziona anche a trent’anni di distanza [dalla nascita dell’opera]. L’unica cosa che mi preoccupava erano i Cavalieri di Bronzo: tutti uomini. La serie ha sempre avuto dei fantastici, forti e dinamici personaggi femminili, e questo si riflette nell’enorme numero di donne appassionate del manga e dell’anime di Seiya. Ma trent’anni fa, un gruppo di ragazzi in lotta per salvare il mondo senza neanche una ragazza nel team non erano un grosso problema. Era lo standard di allora. E forse trent’anni fa vedere delle donne prendersi a calci e pugni non era importante. Ma oggi? Non è la stessa cosa».

ANIME E DONNE

Dunque, cosa fare perchè la presenza di un gruppo di combattenti completamente al maschile non diventi una dichiarazione d’intenti?

«Ci abbiamo pensato parecchio. L’anime e il manga sono colmi di personaggi femminili. Marin e Shana sono entrambe incredibili. Ma sono dei personaggi già molto potenti – e nessuno vorrebbe vederle trasformate in Cavalieri di Bronzo. Prendiamo un personaggio esistente come Sienna (che prima era chiamata Saori), Shunrei o Miho, le diamo dei poteri e la trasformiamo nella nostra versione di Apri O’Neil? O creiamo o un nuovo personaggio femminile e lo facciamo entrare in squadra? Ma noi non volevamo creare un nuovo personaggio femminile che di certo avrebbe dato nell’occhio e sarebbe stato scontato. Poi abbiamo parlato di Andromeda. Eravamo tutti d’accordo sul fatto che fosse un personaggio fantastico. Così abbiamo considerato l’idea di reinterpretare “Andromeda Shun” come la nostra “Andromeda Shaun”. Più ne parlavamo, e più ne vedevamo il potenziale. Un gran personaggio con un grande look.

ANDROMEDA SARÀ DIVERSA?

«Le caratteristiche chiave di Andromeda non sono cambiate – ha continuato a spiegare Eugene Son -. Usa le sue catene per difendere sé stessa e i suoi amici – come le ha insegnato il suo protettivo fratello. I fan più intransigenti di Saint Seiya sanno cosa succede ad Andromeda durante la storia. Come sarebbe se Andromeda fosse una donna? Ho ritenuto che sarebbe stato interessante scoprirlo. Ma sapevo che sarebbe stato controverso. Non la vedo come un’alterazione del personaggio. L’Andromeda originale è ancora un gran personaggio. Ma questa è una nuova interpretazione. Una versione diversa [del personaggio]. Se pensate che sia una cosa strana e non vi piace, lo capisco. Anche all’interno di Toei c’erano un sacco di persone che mi hanno chiesto se ne ero sicuro. Un sacco di fan di Shun amano il personaggio. Ma io spero che sarete disposti a conoscerla quando [la serie] uscirà e a valutarla di conseguenza».

Pertanto, non resta che aspettare l’estate del 2019, quando Saint Seiya debutterà ufficialmente su Netflix.

 

 

[#CiNerd] Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald, la recensione

Animali Fantastici è tornato al cinema con il secondo capitolo della saga dopo due anni di attesa.

Noi di NERD30, da Potterhead nostalgici, non ci siamo lasciati sfuggire la possibilità di visionare la pellicola in anteprima e qui trovate le nostre impressioni, rigorosamente spoiler free: non lanceremo un Engorgio sulle vostre aspettative, siamo buoni.

LA STORIA

Animali Fantastici: I crimini di Grindelwald riprende esattamente là dove si era interrotto al termine del primo capitolo. Ritroviamo i personaggi che avevamo imparato ad apprezzare, ma in una location differente. Come JK Rowling aveva annunciato, ciascuna delle pellicole della saga sarà ambientata in un paese diverso. Questa volta i protagonisti si muovono tra Londra e Parigi, alla fine degli anni Venti. Grindelwald, il potente mago oscuro interpretato da Johnny Depp, è stato catturato ed è prigioniero nella sede del MACUSA, il Ministero della Magia americano.

Nel frattempo, dopo aver giusto distrutto un terzo della città di New York liberando il Tuono Alato, Newt Scamander ha ricevuto il veto sui viaggi internazionali dal Ministero della Magia britannico. Tuttavia, Grindelwald non intende mandare a monte il suo piano. Con abilità e notevole capacità di persuasione  riesce a radunare un manipolo di maghi e streghe a lui fedeli. E proprio a questo punto entra in scena Albus Silente in tutta la sua fascinosa autorevolezza. È necessario fermare Grindelwald, ma lui non può farlo ed è per questo che affida il compito a un coraggioso Newt.

I PERSONAGGI

Ritroviamo i personaggi principali del primo film: il magizoologo Newt Scamander, Tina Goldstein, la biondissima sorella Queenie e, soprattutto, Jakob Kowalski. A questi si aggiungono nuove conoscenze: il giovane Albus Silente, interpretato da Jude Law, Theseus Scamander, fratello di Newt e Leta Lestrange. E proprio quest’ultima, interpretata da Zoë Kravitz, è uno dei personaggi intorno al quale ruotano la storia e il mistero di questa seconda pellicola. Inoltre, scopriamo qualcosa in più su Credence Barebone, l’Obscurus sopravvissuto, e su un particolare tipo di maledizione magica, quella del Maledictus: così si presenta sulla scena Nagini, una giovane donna costretta a trasformarsi in serpente. Certo che sì, è proprio quella Nagini che abbiamo imparato a conoscere così bene nella saga madre di Harry Potter.

Tuttavia, la coralità, che avrebbe potuto essere uno dei pregi di questo film, ne diviene invece un vistoso difetto. A differenza di quanto accade in Animali Fantastici e dove trovarli, quasi nessun personaggio riesce a conquistarsi la propria nicchia sulla scena. Lo spettatore, anche il Potterhead più accanito, fa fatica a immedesimarsi in quanto vede, sebbene i presupposti della storia permettano uno scavo psicologico nei vari personaggi. Lo stesso Newt, protagonista della pellicola e designato da Silente per contrastare il piano di Grindelwald, rimane sullo sfondo delle vicende mostrate. Newt, così timido eppure coraggioso, un perfetto Tassorosso, non esita a mettersi in pericolo per una buona causa. La performance di Eddie Redmayne resta, ancora una volta, brillante ed esemplifica a pieno l’iconica battuta pronuciata da Leta: “Non c’è mostro che tu non riesca a non amare”, ma a rubare la scena è un altro.

Johnny Depp nei panni di Gellert Grindelwald è sublime. Da tempo l’attore non portava sulla scena un personaggio così complesso con tale enfasi, mettendo a tacere tutte le critiche sulla sua partecipazione al progetto. Grindelwad, personaggio marginale nella saga di Harry Potter, acquista in questo secondo capitolo di Animali Fantastici, il ruolo di protagonista. Rispetto alla platealità di Voldemort, il personaggio di Grindelwald, nonostante poco si sappia di lui, sembra reggersi quasi soltanto sulla presenza scenica di Johnny Depp. Ciò che colpisce non è l’aspetto teatrale. Grindelwald non ha bisogno di Marchi Neri alla Coppa del Mondo di Quidditch, a inquietare basta quella aura di grave calma che lo circonda, come presagio di qualcosa di terribile che sta per accadere.

Il mago è simbolo dell’outsider che si riscatta, del diverso che lotta – e non importa come: il fine giustifica il mezzo – perchè il mondo magico non debba vivere nell’ombra. D’altra parte, non era forse questo il bene superiore che tanto ha avvicinato lui e il giovane amico Albus? Se Grindelwad si fa emblema di ciò che non vuole restare nascosto, al contrario Silente, nella sua fiera tempra, è già quell’uomo profondo ma ombroso, indomito custode di conoscenze e segreti che nasconde dietro l’accenno di un veloce sorriso. E Jude Law riesce a mettere a segno una brillante interpretazione di un Silente giovane, proprio come le rivelazioni contenute nei Doni della morte l’avevano fatto immaginare.

Una menzione particolare va ad Ezra Miller. Il suo Credence Barebone, che instaura un legame con Nagini, ha poche scene a disposizione, ma bastano a gettare le basi per la costruzione di un personaggio di spessore: la sua sarà una presenza chiave all’interno della pentalogia.

COMPARTO TECNICO

Veniamo alla nota dolente del film. Regia, montaggio e sceneggiatura rendono Animali Fantastici: I crimini di Grindelwald un film riuscito a metà, al di là del plot twist, inaspettato e sconvolgente. Le inquadrature in molti momenti sono tremolanti. I passaggi da una sequenza all’altra sono confusionari: il montaggio è, purtroppo, pessimo. I tagli operati rendono lacunosa una sceneggiatura che aveva comunque ottime potenzialità. Quasi certamente avremo un’edizione home video con contenuti extra e scene tagliate, dunque perchè non fare un lavoro migliore già in fase di montaggio?

I dialoghi sono curati, in linea con lo stile della Rowling, presente nelle vesti di sceneggiatrice, e non mancano i momenti divertenti che, per fortuna, non risultano mai note stonate. D’altronde, conosciamo la finezza e l’eleganza della penna di JK.

Altro difetto, la regia. David Yates si era parzialmente riscattato con Animali Fantastici e dove trovarli, dopo aver fatto un pessimo lavoro con gli adattamenti di Harry Potter ma, in questo caso, ha compiuto passi indietro. È evidente la sua difficoltà di gestione degli attori, soprattutto nelle numerose scene corali, col risultato di complicare ulteriormente una storia che di per sè non è semplice seguire.

Un ottimo lavoro, invece, quello compiuto da Tim Burke e Christian Manz agli effetti speciali. Le creature di Newt sono un piacere per gli occhi, così vivide, maestose e colorate. Ritornano l’Asticello e gli Snasi, conosciamo l’Augurey già citato in Harry Potter, poi il Firedrake, il demone acquatico Kelpie, il gigantesco felino cinese Zouwu e ritroviamo anche i Thestral. Visivamente accattivanti le rese degli incantesimi, che di per sè varrebbero quasi la visione del film.

COMMENTO

Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald non ha sfruttato la sua grande potenzialità. I difetti tecnici non possono essere ignorati, pur trattandosi di una pellicola godibile. D’altra parte, il plot twist che la caratterizza arriva imprevedibile e gela lo spettatore come una doccia fredda, nonostante i molti interrogativi che lascia. Interrogativi che nascono anche dalla difficoltà di seguire lo sviluppo della pellicola, poco lineare. JK Rowling porta su schermo la sua capacità narrativa fondata sul disseminare indizi e distribuire misteri, ma i limiti materiali nella realizzazione rendono il suo lavoro riuscito solo in parte.

La pellicola non è da stroncare nè è noiosa: più che il predecessore, è questo il vero avvio dell’universo cinematografico espanso del Wizarding World. Per chiunque sia cresciuto con Harry Potter sarà un’emozione tornare a Hogwarts anche solo per qualche minuto e ritrovare un rifugio sicuro, cullati dalle note dell’Hedwig’s Theme.

Se una certezza c’è è che l’autrice ha in serbo grosse sorprese provenienti dal suo universo magico. La Rowling non ha perso la sua capacità di rendere la magia una metafora perfetta del nostro mondo. Diversità, coraggio, paura, frustrazione, consenso, persuasione. Ancora una volta, questo mondo magico lascia indietro la sicurezza dell’infanzia e così si fa proiezione dei mali non di un solo adulto, ma di tutta una società.

 

Francesca Belsito