La torre

Ferrea si ergeva la torre, incastonata nella sua conca di scuro metallo , innalzandosi possente e monolitica. Erosa, sporca, eppure impressionante nell’aspetto e nell’imponenza, dominava la vallata d’acciaio in cui era stata posta, come fosse precipitata dal cielo, chissà quanti secoli prima. Ai confini della vallata, alte quanto l’edificio, stavano le incredibili mura, metalliche anch’esse e fuse in un’unica colata da artefici ignoti venuti da luoghi lontani. Esse cingevano la valle, proteggendola dall’esterno.
D’un tratto, qualcosa sulla cima della torre millenaria si mosse; s’udì un borbottio, un gorgogliare confuso; poi dalla sommità colò un fluido nero, denso, incandescente, striato di sinistre venature brune. Velocemente scese lungo i fianchi della torre, si riversò sulla vallata metallica, raggiunse le mura mentre dalla cima dell’altissimo obelisco continuava a sgorgare inesorabile, a fiotti. Colmò il fondo della conca, s’accumulò, aumentando di livello e prendendo a ricoprire le mura.
Velocemente il liquame saliva, saliva, e ora fumando sommergeva la torre senza ch’essa rinunciasse ad eruttarne ancora e ancora; vomitando imperterrito il pilastro condannava la vallata, il suo antico dominio.
E quando il liquido raggiunse infine la cima della torre, ormai sul punto di traboccare oltre le mura, risuonò nell’aria un unico e potente grido: – Adalgisooo!
– Adalgiso! – urlò Marisa, – ma che stai a fare lì impalato?
– Guardo la moka.
– E non vedi che il caffè è uscito di fuori?

Francesco Corigliano

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