Stroke: intervista a Diana Amantea. L’Unical e le sue eccellenze.

L’Università della Calabria vanta non solo un bel campus ma anche ottimi studenti e validi ricercatori. Un volto della ricerca farmacologica calabrese Diana Amantea, coordinatrice di un importante studio di medicina traslazionale per lo sviluppo di una nuova terapia contro lo stroke, meglio conosciuto come ictus cerebrale. Nel corso dell’intervista scopriamo una donna caparbia ma nello stesso tempo affabile, alla quale non da subito, gli esperimenti hanno dato prova di esattezza. “Sono un cervello in fuga orgoglioso di essere ritornato in Calabria”, così si racconta. Laureata presso l’Università calabrese con il prof. Giacinto Bagetta come relatore, consegue il titolo in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche con il massimo dei voti. Grandi riconoscimenti per lei anche all’estero. Presso la Medical School dell’Università di Birmingham (Regno Unito) consegue il dottorato di ricerca in Farmacologia sotto la supervisione del Prof. Norman Bowery, per poi proseguire la sua attività di ricerca nella stessa sede in qualità di Research Fellow. “La voglia di tornare era troppa, tanto da rinunciare anche all’opportunità di lavorare per una grossa azienda farmaceutica di Verona” fa sapere. La sua strada è in Calabria. Diana Amantea vanta un curriculum di tutto rispetto: autrice di più di trenta pubblicazioni in extenso su riviste internazionali a severo comitato di referee, editore (insieme alle colleghe R. Russo e L. Berliocchi) della serie Frontiers in Neurotherapeutics pubblicata dalla CRC press (Boca Raton, FL, USA), responsabile dello spin-off SNAR&D (Services to Neurotherapeutics Advancement, Research & Development). Attualmente è responsabile dell’Unità di Ricerca di Base e Traslazionale “Stroke” dell’Università della Calabria in collaborazione con lo SCENT (Stroke Centre and Emergency Neurology Trust).  Dopo quasi dieci anni di ricerca volta ad identificare una nuova terapia per l’ictus ischemico, grazie a tanto studio e ad un pizzico di intuizione, il gruppo di ricerca calabrese guidato dal prof. Giacinto Bagetta ha individuato nell’azitronicina, farmaco già noto come antibiotico, la capacità di ridurre il danno cerebrale ed i deficit neurologici associati all’ischemia attraverso la modulazione del sistema immunitario. Lo stroke (ictus sia di tipo ischemico che emorragico) è una patologia caratterizzata dalla riduzione dell’apporto sanguigno al cervello, per cui il tessuto cerebrale viene fortemente danneggiato. Rappresenta una delle principali cause di morte e la prima causa di disabilità nel mondo. In Calabria, secondo un recente censimento, vengono diagnosticati circa 3500 ictus ogni anno, con una degenza ospedaliera media di 10 giorni e tempi di riabilitazione di oltre 30 giorni, con costi notevoli per la sanità pubblica. Negli ultimi trent’anni diversi farmaci neuroprotettivi sono stati studiati in laboratorio, ma nessuno di questi ha avuto riscontri positivi sul problema, in quanto nell’uomo questi trattamenti si sono rivelati poco efficaci o eccessivamente tossici. “L’azitromicina è un farmaco ben tollerato dall’uomo”, ci conferma la ricercatrice, “e risulta essere molto efficace nei nostri modelli sperimentali di ischemia”. Pertanto, a breve partirà la sperimentazione clinica, coordinata dal Prof. Giuseppe Micieli dell’IRCCS Fondazione “Casimiro Mondino” di Pavia in cinque diversi centri (stroke units) del territorio nazionale (Aosta, Verona, Como, Perugia e Vibo Valentia). “E’ la prima volta che un farmaco capace di modulare il sistema immune viene testato in un trial clinico multicentrico per la terapia dello stroke,” dichiara la ricercatrice, “ed è motivo di grande orgoglio che il razionale per lo studio provenga dalla ricerca farmacologica di giovani calabresi”. Alla caratterizzazione dei meccanismi neuroprotettivi dell’azitromicina hanno infatti anche contribuito il Dott. F. Petrelli e il Dott. M. Certo durante il loro percorso formativo per il conseguimento del dottorato di ricerca. La scoperta in laboratorio, il brevetto, lo spin-off e lo studio clinico rappresentano un percorso esemplare di medicina traslazionale, finalizzato a far crescere le competenze locali e a garantire ai giovani ricercatori più brillanti di avere un lavoro che ne impedirà la fuga.

                                                                                                                                                                              Rossana Muraca 

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