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Mimmo Lucano torna a casa. Annullato il divieto di dimora

RIACE (RC) – La Corte di Cassazione ha annullato il divieto di dimora per Mimmo Lucano, sindaco sospeso di Riace.

Secondo la Cassazione per Mimmo Lucano «No indizi di azioni fraudolente».

Come riporta “Il Fatto Quotidiano” «Non ci sono indizi di “comportamenti” fraudolenti che Mimmo Lucano, il sindaco di Riace sospeso dalla sua carica, avrebbe “materialmente posto in essere” per l’assegnazione di alcuni servizi, come quello della raccolta dei rifiuti. Non solo, perché non sono nemmeno provate le “opacità” che avrebbero caratterizzato la sua azione poiché è la legge che consente “l’affidamento diretto di appalti” in favore delle cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate” a condizione che gli importi del servizio siano “inferiori alla soglia comunitaria». 

Mimmo Lucano è stato coinvolto – lo ricordiamo – nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Locri dello scorso 16 ottobre. L’udienza preliminare che stabilirà se l’ex primo cittadino dovrà essere rinviato a giudizio è aggiornata al 4 aprile. Secondo alcune fonti Il Viminale intanto avrebbe deciso di costituirsi parte civile nell’eventuale processo.

 

 

Sentenza Cassazione, Oliverio, «Finalmente giustizia, mai tradito fiducia dei calabresi»

CATANZARO – «È stato un inverno lungo e freddo quello che ci lasciamo alle spalle. Un inverno per me particolare che lascia un segno indelebile nella mia esistenza e nella storia della Calabria. Finalmente è arrivata la Primavera a ridare giustizia a me e alla terra che ho la responsabilità e l’onore di guidare. Voglio ringraziare per questo i miei avvocati Enzo Belvedere ed Armando Veneto che con grande competenza e rigore professionale hanno fatto valere le ragioni della Legge e la forza della Giustizia davanti alla Suprema Corte di Cassazione».

Sono queste le parole del Presidente della Regione Calabria Mario Oliverio all’indomani della sentenza di revoca dell’obbligo di dimora emessa dalla Cassazione.

«Tre mesi bui in cui il dubbio dello smarrimento della giustizia è stato costantemente in agguato. Sapere di essere onesti ed innocenti ed allo stesso tempo condannati alla privazione della libertà senza processo è duro ed amaro da accettare. E ancor più feroce l’angoscia alimentata dal dubbio che i calabresi possano essersi sentiti traditi e ingannati da colui nel quale hanno riposto la loro fiducia, affidandogli la responsabilità di governare la Cosa Pubblica, il loro futuro, le loro speranze.  Sento di dire oggi ciò che ho avuto modo di dire il giorno in cui mi è stato notificato il provvedimento di limitazione della mia libertà e lo faccio con la forza della giustizia che si aggiunge a quella della verità, che è stata per me il primo fattore di resistenza: I calabresi devono stare tranquilli, il loro presidente non ha mai tradito la loro fiducia e mai lo farà. La mia azione di governo è stata sempre ispirata alla lealtà, ai valori dell’onestà e all’affermazione della legalità, valori in cui ho creduto e continuo a credere e per i quali ho speso la mia intera esistenza. Valori che considero fondamentali per recuperare la fiducia necessaria al riscatto di questa terra ingiustamente martoriata e segnata da ferite profonde. Una terra ricca di grandi risorse umane e naturali per la quale vale la pena battersi anche a costo di sacrifici dettati da ingiustizie che lasciano segni profondi. Un ringraziamento a quanti mi sono stati vicino, a partire dalla mia famiglia e dai miei cari, dai tantissimi cittadini che malgrado tutto non sono stati mai sfiorati dal dubbio».

Oliverio indagato, la Cassazione revoca l’obbligo di dimora

CATANZARO – La Corte di Cassazione ha revocato l’obbligo di dimora nel comune di residenza cui era sottoposto dal 17 dicembre scorso il presidente della Regione Calabria Mario Oliverio. Il provvedimento era stato emesso dal gip su richiesta della Procura di Catanzaro per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta “Lande desolate” per presunte irregolarità in due appalti gestiti dalla Regione per la realizzazione della sciovia di Lorica e dell’aviosuperficie di Scalea. L’operazione, portata avanti dalla guardia di finanza, aveva evidenziato presunti equilibri tra ‘ndrangheta, politica e pubblica amministrazione, da sempre nel mirino del procuratore Nicola Gratteri. Nell’ordinanza che aveva portato all’obbligo di dimora il presidente della Regione Mario Oliverio, figuravano appalti pubblici, ‘ndrangheta, aiuti politici, favori, giro vorticoso di denaro.

La Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai legali di Oliverio, gli avvocati Armando Veneto e Vincenzo Belvedere. «La decisione è giunta su conforme parere del Pg, che è ancora più importante, che ha definito abnorme il provvedimento. Le tesi che portavamo avanti sin dall’inizio, sin dal tribunale della libertà – ha affermato l’avvocato Belvedere – sono state finalmente accolte dalla Cassazione e, a maggior ragione, dalla Procura generale».

 

Caso Riace, accolto in parte il ricorso di Mimmo Lucano

CATANZARO – E’ stato accolto in parte, dalla Cassazione, il ricorso della difesa del sindaco sospeso di Riace Domenico Lucano contro l’ordinanza del riesame di Reggio Calabria che lo scorso 16 ottobre gli aveva imposto il divieto di dimora a Riace.

In particolare, i supremi giudici hanno “annullato l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente di cui al capo ‘T’ della rubrica e alle esigenze cautelari e si rinvia per nuova deliberazione su tali punti al tribunale di Reggio Calabria sezione riesame”.  Il resto del ricorso è stato respinto. Lucano, intanto, continuerà a risiedere a Caulonia Marina, a pochi chilometri da Riace, in attesa del nuovo verdetto dei giudici di merito.

LE PAROLE DI MIMMO LUCANO

«Nessun commento al momento. Devo parlare prima con i miei avvocati per capire bene i termini della sentenza della Cassazione. Dopodiché valuterò se dire qualcosa”.

Mimmo Lucano, sindaco sospeso di Riace dopo l’arresto del 2 ottobre scorso, contattato dall’ANSA, non vuole ancora esprimersi sulla sentenza con cui la Suprema corte ha accolto parzialmente il ricorso presentato dai suoi difensori per chiedere l’annullamento del divieto di dimora nel suo comune disposto dai giudici del riesame di Reggio Calabria, rinviando gli atti allo stesso collegio per una nuova decisione.
Lucano, che si trova a Caulonia, il centro del reggino poco distante da Riace in cui si è stabilito in attesa di poter fare rientro nel suo paese, vuole verificare i termini concreti della pronuncia della Cassazione, anche se ne riconosce la positività.
«Sono questioni delicate – aggiunge – e voglio prima capire dai miei legali cosa è stato concretamente deciso dalla Suprema Corte».

Fonte Ansa

Firenze, condannato imprenditore calabrese vicino alle cosche

FIRENZE – Traffico di cocaina e legami con appartenenti alle cosche della ‘ndrina Arcoti di Reggio Calabria, queste le accuse con le quali è stato condannato un imprenditore calabrese, Nicola Callea, attivo nel settore della ristorazione a Firenze. Il sequestro e la confisca, di circa due milioni di euro, consta di tre unità immobiliari, un appartamento di pregio e due fondi commerciali nel centro storico fiorentino dove sono ubicati i due ristoranti, era già stato disposto nel 2016 dal Tribunale di Firenze su proposta del Direttore della Dia.

NON PRESENTAVA DA ANNI DICHIARAZIONI DI REDDITI

L‘uomo aveva poi presentato un ricorso contro tale decisione, respinto dalla Corte d’Appello di Firenze nel 2017. I giudici della Corte di Cassazione, dopo aver negato nuovamente il ricorso, hanno confermato la legittimità del provvedimento in cui si evidenzia che il soggetto interessato, negli anni in cui tali reati venivano commessi, scompariva sul piano fiscale e cessava di presentare dichiarazioni dei redditi spogliando inoltre l’intero nucleo familiare di tutti i beni ad esso riconducibili. La Dia di Firenze ha quindi eseguito una sentenza definitiva di sequestro e confisca di un appartamento di pregio e due fondi commerciali nel centro storico Fiorentino a carico dell’imprenditore.

Valle Crati Spa, il Comune di Cosenza vince il ricorso in Cassazione

COSENZA – Il Comune vince ricorso in Cassazione contro la fallita Valle Crati SPA. Annullate le precedenti sentenze del Tribunale di Cosenza e della Corte d’Appello di Catanzaro. Non dovute somme per quasi 7 milioni di euro

La Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza n. 8640 di oggi, 9 aprile 2018, ha annullato due decisioni, rispettivamente del Tribunale di Cosenza (sentenza n. 1695 del 18.11.2011) e della Corte di Appello di Catanzaro (sentenza n. 1569/2016) che avevano confermato un decreto ingiuntivo di € 6.712.897.82, oltre interessi, emesso contro il Comune di Cosenza per il pagamento, in favore della Valle Crati SPA, di numerose fatture emesse dalla società, per la gestione del servizio di raccolta e di trasporto dei rifiuti e di depurazione delle acque reflue negli anni compresi tra il 2004 ed il 2009.
A darne notizia, l’Avvocatura comunale, attraverso l’Avvocato Agostino Rosselli che ha sostenuto le ragioni del Comune davanti alla Suprema Corte di Cassazione.

Violazione e falsa applicazione artt. 43 legge fall., 299, 300 e 305 c.p.c.,

«Il Tribunale di Cosenza prima e la Corte di Appello di Catanzaro poi, senza pronunciarsi nel merito dei rapporti tra le parti – ha sottolineato nella sua difesa l’avv.Rosselli – avevano dichiarato la decadenza del Comune di Cosenza dal proporre l’opposizione sul presupposto –ritenuto erroneo dalla Corte di Cassazione- che la P.A., essendo a conoscenza del fallimento della società Valle Crati SPA, intervenuto prima della notifica del decreto ingiuntivo, avrebbe dovuto citare in giudizio direttamente il curatore del fallimento, anziché il legale rappresentante della società, nel termine perentorio di tre mesi dalla conoscenza del fallimento da parte del Comune».

Il Comune di Cosenza ha, nel ricorso in Cassazione presentato dall’Avv.Rosselli, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 legge fall., 299, 300 e 305 c.p.c., ha dedotto la tempestività della riassunzione del processo, effettuata nel termine dei tre mesi decorrente dalla data in cui aveva avuto conoscenza legale dell’intervenuto fallimento, mediante dichiarazione resa in udienza dal procuratore della società, a nulla rilevando la conoscenza di fatto del fallimento.
Nell’accogliere i motivi di ricorso proposti dall’avv. Agostino Rosselli, la Corte Suprema di Cassazione, facendo chiarezza in una materia particolarmente complessa quale è quella del diritto fallimentare, nell’interpretare l’art. 43, comma 3, legge fallimentare, ha fissato alcuni principi.
In caso di interruzione del processo determinata dall’apertura del fallimento, al fine del decorso del termine per la riassunzione, è necessaria la conoscenza “legale dell’evento interruttivo, acquisita cioè non in via di fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo, assistita da fede privilegiata.
In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità della Corte Suprema è la comunicazione dell’evento interruttivo da parte del difensore della società fallita a far decorrere il termine per la riassunzione dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento.
«Nella specie – ha fatto rilevare il difensore del Comune, avv.Agostino Rosselli – non risulta che vi sia stata una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento interruttivo provenienti dalla società fallita in data precedente alla dichiarazione resa in udienza dal procuratore della valle Crati Spa circa il fallimento della società. La conoscenza che il Comune ne poteva avere in epoca precedente (avendo notificato alla Curatela l’opposizione al decreto ingiuntivo con atto che faceva riferimento al fallimento) implica una conoscenza di fatto dell’evento interruttivo, tuttavia non idonea a far decorrere il termine per la riassunzione del giudizio nei confronti della Curatela fallimentare”.
Nell’affermare questi principi di diritto, la Corte di Cassazione ha rinviato gli atti alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione, per l’esame di merito dei rapporti intercorsi tra la società fallita ed il Comune di Cosenza.
All’indomani del deposito della sentenza del Tribunale – ha tenuto a precisare l’Avvocato di Palazzo dei Bruzi Agostino Rosselli – gli avvocati della Società fallita avevano esultato per la condanna del Comune che, perseverando nelle proprie tesi difensive, ha, invece, avuto piena soddisfazione dalla decisione della Corte Suprema».

 

 

Scopelliti si costituisce, per lui si aprono le porte del carcere

REGGIO CALABRIA – Si è presentato stamane nel carcere di Reggio Calabria, l’ex governatore regionale Giuseppe Scopelliti. Si è presentato davanti i cancelli della carcere “Arghillà” per scontare una pena di 4 anni e 7 mesi di reclusione per falso in atto pubblico, inflittagli ieri dalla Cassazione, a seguito del processo scaturito dagli ammanchi nei bilanci del Comune dal 2008 al 2010, nel “caso Fallara“, dal nome dirigente Orsola Fallara, suicidatasi ingerendo dell’acido muriatico. Scopelliti, dal 2010 al 2014 governatore della Calabria, si è dimesso dalla presidenza della Regione per effetto della legge Severino, dopo la condanna in primo grado a 6 anni.

Scopelliti condannato anche dalla Cassazione, adesso rischia il carcere

ROMA – L’ex governatore della Calabria e sindaco di Reggio Giuseppe Scopelliti rischia di finire in carcere dopo la sentenza della Cassazione che lo ha condannato a scontare una pena di 4 anni e 7 mesi per i reati di abuso in atti di ufficio e falso in atto pubblico. La vicenda risale al periodo in cui Scopelliti guidava la città dello Stretto, in particolare tra il 2008 ed il 2010, ed è relativa agli ammanchi nelle casse comunali. In quella fase a dirigere il settore bilancio era Orsola Fallara, che si tolse la vita ingerendo acido muriatico. 

Pena ridotta di cinque mesi per la prescrizione

La Suprema Corte ha leggermente ridotto la condanna della Corte d’Appello di Reggio Calabria che aveva inflitto a Giuseppe Scopelliti cinque anni di reclusione. Lo sconto di pena si deve alla prescrizione per il reato di abuso d’ufficio. La Cassazione ha anche sostituito la condanna all’interdizione perpetua dei pubblici uffici riducendola a soli cinque anni. Respinti i ricorsi dei revisori dei conti Carmelo Stracuzzi, Domenico D’ amico e Ruggero De Medicio, tutti condannati a 2 anni e 4 mesi. 

“Why Not”, annullata assoluzione De Magistris. Nuovo giudizio su eventuali danni

ROMA – Accogliendo parzialmente il ricorso delle parti civili Sandro Gozi, Clemente Mastella e Francesco Rutelli, la sesta sezione penale della Cassazione ha annullato, ai soli effetti civili, la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Roma il 21 ottobre dello scorso anno aveva assolto l’attuale Sindaco di Napoli ed ex pm Luigi De Magistris dall’accusa di abuso di ufficio in relazione alla vicenda di acquisizione dei tabulati telefonici dei politici nell’inchiesta “Why Not”. Pertanto, è atteso ora un nuovo giudizio per verificare eventuali danni. Ricordiamo, nell’ambito dell’inchiesta catanzarese sul malaffare nella regione, furono acquisiti, senza autorizzazioni delle Camere di appartenenza, i tabulati telefonici di parlamentari e ministri, tra cui l’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi. Per tale ragione, De Magistris e Genchi furono condannati in primo grado e assolti in secondo. L’assoluzione passa in giudicato per gli aspetti penali, mentre la Cassazione ha chiesto un nuovo esame, per i soli aspetti civili, su eventuali danni.

Cassazione, ex sindaco Scopelliti deve risarcire 300mila euro

ROMA – E’ stata confermata dalla Cassazione la condanna erariale a risarcire la pubblica amministrazione con 300 mila euro inflitta dalla Corte dei Conti a Giuseppe Scopelliti, ex sindaco di centrodestra di Reggio Calabria dal 2002 al 2010, per aver stipulato nel 2004 il contratto di acquisto dell’ex stabilimento di trasformazione degli agrumi “Italcitrus”, in stato di totale abbandono e pieno di amianto, al prezzo di due milioni e mezzo di euro interamente a carico del Comune, cifra richiesta dall’imprenditore Emidio Francesco Falcone. I terreni acquistati e i capannoni non furono «mai riconvertiti, in seguito, ad alcuna utilizzazione proficua per la collettività», nonostante la necessità dell’acquisto fosse stata motivata per ospitare un “fantomatico” centro della Rai Scopelliti, «la cui azione era risultata trainante in tutta l’operazione», rileva la Suprema Corte nel verdetto 10814 – in primo grado era stato condannato dalla Corte dei Conti della Calabria, nel 2009, a risarcire il danno con 697.511 euro perché i giudici contabili avevano ritenuto che fosse stato corrisposto «un prezzo largamente superiore» al valore del bene immobiliare, oltre al fatto che era stato acquistato un bene «inutile rispetto all’interesse pubblico». In secondo grado, invece, la Corte dei Conti sezione centrale, nel 2014, aveva ridotto l’entità del risarcimento a 300mila euro dopo aver eliminato la prima voce di addebito per «dell’incertezza del reale valore di mercato del complesso immobiliare, alla luce delle diverse stime espresse in più perizie» e lasciando fermo invece il secondo motivo di addebito relativo alla inutilità dell’acquisto. Per questa vicenda, è stata messa sotto ipoteca la casa coniugale di Scopelliti.