COSENZA – La Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva il docente dell’Unical, Alfonso Nastro confermando di fatto la sentenza di primo e secondo grado che era di quattro anni per il professore e di due anni e sei mesi per la sua segretaria Marcella Beltrano. Per entrambi l’accusa è di corruzione mediante induzione. Per il docente, il Tribunale di Cosenza aveva disposto anche l’interdizione dai pubblici uffici e l’interruzione del rapporto con l’Unical. Nastro era stato condannato, inoltre, al pagamento di una provvisionale di duemila euro a un ex dottorando, che si è costituito parte civile. L’inchiesta in cui è coinvolto Nastro rappresenta uno stralcio di quella denominata “Symposium”. Il docente del dipartimento di Chimica e tecnologie chimiche è accusato di otto casi di presunta concussione ai danni di altrettanti ricercatori che, secondo la Procura, sarebbero stati costretti a versare dai 2mila ai 100 euro per avergli procurato la conclusione del contratto con l’azienda “Vecchio prodotti in ceramica”. Nastro è considerato la mente della maxitruffa scoperta dalla Guardia di finanza che, nel novembre 2009, portò all’arresto di tre imprenditori e al sequestro di beni per oltre 70 milioni di euro, tra cui il villaggio turistico “La Pace”, nel vibonese, le imprese “Vecchio Costruzioni generali” e “Vecchio prodotti in ceramica”, nel reggino. Gli indagati erano accusati di truffa, indebita percezione di finanziamenti pubblici e altro. All’epoca dei fatti Nastro era ordinario di “Materiali per la gestione ambientale e di tecnologia chimica applicata alla tutela ambientale” alla facoltà di Ingegneria dell’Università della Calabria ed era stato sospeso dall’esercizio di pubblico ufficio con conseguente interdizione temporanea dall’attività di insegnamento.
Archivi tag: corte cassazione
Delitto Fazio Cirolla, la Cassazione assolve gli imputati
ROMA – Rimane senza colpevoli il delitto di Fazio Cirolla, ucciso a Sibari il 27 luglio del 2009. La Cassazione ha assolto con formula piena i due imputati, Archentino Pesce e Saverio Lento, ribaltando la condana loro inflitta dalla Corte d’Appello di Catanzaro a 30 anni di reclusione. La vittima, operaio, venne freddato davanti agli occhi dei suoi tre bambini e assassinato, secondo quanto accertato dalle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Vincenzo Luberto, per un tragico errore: al suo posto doveva essere ammazzato Salvatore Lione, ritenuto dagli inquirenti il contabile del clan Forastefano di Cassano. Il pg della Suprema Corte aveva chiesto la conferma della condanna a 30 anni di carcere per Pesce, difeso dall’avvocato Vincenzo Belvedere, e per Lento, difeso dai legali Rossana Cribari e Pasquale Marzocchi. La Corte di Cassazione ha emesso invece sentenza di assoluzione.