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Falso Movimento IX/2012.2013: ALPIS di Giorgos Lanthimos

Domani 6 novembre, alle 0re 22.00, presso il Teatro Comunale di Rovito, verrà proiettato il film, inedito in Italia, ALPIS di Giorgos Lanthimos (2011).

“Alpis” (Alpi) è il nome di uno strano gruppo. Una piccola “società”, un’improbabile congregazione, l’appellativo di un quartetto tanto inusuale quanto male assortito. Un’infermiera e un paramedico, una ginnasta e il suo allenatore. Vite, età, sogni diversi riuniti in un’attività imprenditoriale finora sconosciuta: sostituirsi nella vita di tutti i giorni ai cari estinti per attenuare il dolore della perdita delle famiglie. Rimpiazzi, surrogati, palliativi dietro compenso, l’attività del gruppo “Alpis” va oltre il profitto economico, soprattutto per l’infermiera, che pagherà a caro prezzo le sue “terapie domiciliari”, non appena scavalcherà la squadra per agire individualmente.

E’ un mondo difficile quello descritto dal greco Giorgos Lanthimos, regista pluripremiato con Kynodontas (vincitore di Un Certain Regard a Cannes 2010 e nomination all’Oscar per il miglior film straniero, visto a Rovito nel nostro cineforum lo scorso anno e ancora senza distribuzione in Italia). I suoi personaggi sono ai margini di una società che non si accorge di loro. Una realtà esterna che assume confini indefiniti e impalpabili finché “Alpis” non si riunisce e decide di manifestarsi nel mondo reale, e i suoi membri di agire e diventare protagonisti, pur sacrificando la propria identità. Ed è forse questo il loro scopo primario, annullare il proprio io per diventare – in altro modo – importanti per qualcuno. Costruire esistenze alternative e fuggire dalla gabbia triste in cui si vedono imprigionati ogni giorno di più può allora diventare l’unica e ultima speranza di salvezza.
Nelle sue storie di perdita e impossibili sostituzioni, Alpis (presentato nel concorso ufficiale di Venezia 2011 dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura) mostra l’estremizzazione di alcuni istinti, esigenze, paure, ma soprattutto procede allo svuotamento, al drenaggio silenzioso di quanto abitualmente costituisce l’individuo. Svuotamento dei corpi, della loro capacità di relazione e della densità, fino a renderli del tutto accessori – e attribuendogli in questo modo una pura forza figurativa; svuotamento delle parole, attraverso meticolose operazioni di revisione dei significati, di distacco dal senso, di svelamento dell’artificialità del meccanismo di corrispondenze; svuotamento dei rapporti, nell’incapacità di coltivarne, di comprendere ruoli sociali che continuano comunque a esercitare una forte pressione. Il fatto stesso che il mondo, svuotato, sia oggetto di rappresentazione – registrazione e visione – genera la dimensione del film di Lanthimos: ancora più che ironico e cinico, pienamente paradossale, quindi intimamente realistico.
Una pellicola non facile dunque che si insinua sottopelle puntando sulla dirompente fisicità dei protagonisti (nel cast anche la brava Ariane Labed, Coppa Volpi a Venezia 67 per la sua interpretazione in Attenbergh), anime solitarie in cerca di umanità.