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La nudità… la nostra identità!

Cosenza – La Mujer Invisible, ultimo spettacolo del progetto Isole in Rete, è stato messo in scena, ieri pomeriggio, al Teatro dell’Acquario che, in questo mese, ha visto tra le sue quinte e il suo palco un susseguirsi di attori e ballerini con produzioni allettanti ed innovative. Con la compagnia Provisional Danza di Madrid si chiude così il cerchio e si pone fine alla complessa, tortuosa e spinosa ricerca dell’identità, della propria essenza, del proprio io. Uno spettacolo intenso fatto di corpi, parole e musiche; corpi che volteggiano, si muovono all’unisono e poi si scorporano, corpi che si inseguono, si sfiorano, si cercano mettendo in scena amori, affetti, relazioni fatte di presenze e spesso anche di molte assenze impreviste, dolorose e, a volte, necessarie.

Una compagnia che ha fatto della semplicità e del sentimento il proprio stile di ballo e di vita; quattro uomini e tre donne hanno calcato le “tavole” del teatro con l’intenzione di mettere da parte tecnica e virtuosismi e lasciare ampio spazio all’anima, al sentimento, al cuore di chi, con il solo ausilio del proprio corpo, riesce a comunicare la propria identità; un’identità piena, chiara e cristallina come l’acqua pura ed incontaminata che sgorga dalla sorgente.

I ballerini hanno deciso di mettersi a nudo e mostrare la propria pelle, il proprio corpo; un nudo non proprio metaforico perché il corpo di ballo ha deciso realmente di abbandonare, in diversi momenti della coreografia, le proprie gonne, le proprie maglie, i propri pantaloni e mettere in evidenza i propri corpi longilinei e vigorosi; un nudo mai volgare, mai osceno perché abbellito dai movimenti leggeri, docili e soavi del corpo. Si è detto no agli abiti diventati ormai involucri di pelle artificiale atti a contenere le proprie insicurezze, i propri difetti, il proprio illusorio moralismo, la propria falsa castità che in privato si trasforma in immorale oscenità; è arrivata l’ora di spogliarsi, di mostrare realmente sé stessi, di tornare nel giardino dell’Eden perché nudi siamo nati e nudi ritorneremo. Bisogna dunque mostrare la rosea pelle è questo il nostro involucro naturale, il nostro abito da sera, da giorno, il nostro abito preferito; è il nostro corpo, con le sue miriadi di peculiarità e di difetti, che definisce la nostra identità.

Termina così un viaggio fatto di spettacoli e compagnie diverse; quattro produzioni e quattro differenti modi di approcciarsi al pubblico, all’arte, alla tematica dell’identità; quattro viaggi dissimili ma mai banali o scontati, quattro diverse letture del nostro essere o, forse, del nostro non essere più.
“È così che si conclude” – afferma il direttore artistico del Teatro dell’Acquario Antonello Antonante – “un’esperienza molto forte per noi e spero e penso anche per gli spettatori. Vi do appuntamento al prossimo anno con un nuovo progetto che vedrà coinvolte 12 città europee. Vi ringrazio molto per la vostra presenza e per il vostro sostegno”

Annabella Muraca

Siamo figli di…

Cosenza – Continua il progetto Isole in rete e continua la faticosa scalata alla ricerca dell’identità; una ricerca insidiosa, tortuosa e costruttiva che, ieri pomeriggio, è passata attraverso i corpi dei ballerini della Sanpapiè -Milano che, con lo spettacolo “Io sono figlio”, hanno riempito di colori e “sapori” nuovi il palco del Teatro dell’Acquario.

Un viaggio onirico che si è mosso tra corpi, musiche e tematiche forti, difficili non solo da “digerire” ma anche da trattare perché chi interpreta corre il rischio di cadere nel grottesco; un rischio che i tre danzatori non hanno mai sfiorato; sono infatti riusciti a rendere proprie queste tematiche e a trattarle con quella delicatezza di cui la danza è portatrice. Un lavoro di autoanalisi che ha permesso ai ballerini di fondersi con le tematiche trattate e trasformarle in una parte di sé necessaria come i polmoni, come il cuore, come l’aria per la sopravvivenza del proprio corpo.

Tre ballerini alla ricerca disperata di ciò che li identifica come uomini; tante domande che arrovellano il corpo e la mente ma poche e sconsolanti risposte. Si danza, si vola, fin quando il sogno non viene interrotto da voci fuori campo di bambini che insistenti e petulanti chiedono “Chi sono?” “Dove sono?” “Di chi sono figlio?”. Di certo non siamo più figli dei nostri genitori, la società ci ha strappato dalle loro braccia e ci ha adottati rendendoci figli di tutti e di nessuno.
Le voci continuano perentorie ricordandoci che ormai siamo figli di una società che ci vuole omologati e sempre alla moda, con le scarpe nike sotto il pantalone adidas; veline mute che sfoggiano tante gambe e poco cervello, modelli e modelle dal fisico perfetto ma senza sorriso; siamo figli delle lotte a difesa dei diritti umani ma, nello stesso tempo, siamo figli dei soprusi, degli incidenti domestici, degli omicidi e dei casi irrisolti. Siamo ormai diventati volti che “passano” al telegiornale e riempiono le pagine di cronaca, volti senza più un’identità che è stata ormai violata, sfruttata, conformata al consumismo e alla superficialità di una società che ci vuole senza pensieri, senza istruzione, senza arte e né parte perché ciò ci rende appetibili “schiavi” di una politica che ha trasformato la cosa pubblica in cosa privata.

I ballerini continuano a muovere i propri corpi indossando il naso rosso per interpretare un pagliaccio che gioca con un palloncino, un pagliaccio spento dentro ormai incapace di trasmettere gioia; il suo volto è triste come quello di tanti altri uomini che vivono senza stipendio, senza pensione, senza lavoro, senza più lacrime da versare per un paese ormai in rovina. Siamo ormai diventati come quel palloncino rosso che viene bucato, calpestato, sgonfiato, usurpato ma che, nonostante tutto, riesce sempre a trovare la forza di lottare per difendere i propri diritti.
Ed ecco che ritornano le voci dei bambini, delle nuove generazioni che forse del futuro non potranno più parlare, voci che  fanno eco ai pensieri dell’intera umanità “Di chi siamo figli? Siamo figli del ’68, siamo figli del nazismo, siamo figli del qualunquismo, siamo figli dell’incertezza del futuro, siamo figli del trasformismo politico, siamo figli di puttana”.

Annabella Muraca

Una barca per un viaggio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso

Cosenza – Un uomo e una donna di bianco vestiti, immobili, eterei e minacciosi hanno atteso, sul palco del Teatro dell’Acquario, l’entrata dei numerosi spettatori e la loro sistemazione su quella “barca” invisibile che, da lì a poco, li avrebbe traghettati dall’Inferno al Purgatorio fino al Paradiso. Un viaggio lungo e tortuoso quello messo in scena, ieri pomeriggio, dalla compagnia di João Garcia Miguel; un viaggio, dal titolo “As Barcas” (The Boats), che per le tematiche e i gesti forti ha inchiodato lo spettatore alle sedute sbattendogli in faccia non solo i corpi nudi degli attori ma anche la cruda realtà e le acque, nere e putride, in cui oggi navighiamo.

Una rivisitazione in chiave moderna, innovativa e tecnologica dei testi del 1400 dell’autore portoghese Gil Vicente; parole che prendono corpo sul palco e corpi che diventano parola, si sostituiscono ad essa perché, come ripetuto più e più volte nel corso dello spettacolo, “non possiamo permettere che la parola prenda potere, dobbiamo passare ai fatti”.

Un viaggio che parte dal profondo e oscuro Inferno in compagnia di lussuriosi, accidiosi, ignavi, avari; dannati ormai senza possibilità di redenzione destinati a scontare pene in eterno; la metaforica barca si insinua velocemente nel Purgatorio dove la schiera di anime attende l’assoluzione e, infine, si giunge al tanto osannato Paradiso dove tutto splende tra canti, ave maria e processioni.

A parlare sono stati i corpi degli attori invasati, tramortiti, sensuali, vestiti e poi completamente nudi come a voler sottolineare che la vergogna, il pudore non appartengo per natura all’essere umano ma sono delle sensazioni indotte da una Chiesa che ci vuole costantemente ricordare la nostra propensione ad essere peccatori, la nostra tendenza a seguire le orme di Adamo ed Eva che, senza ritegno alcuno, hanno violato il precetto divino mangiando la mela.

Un viaggio austero e perverso, dunque, puntellato da momenti di stridente sarcasmo; una critica aspra e feroce alla nostra società, al nostro modo di vivere e al nostro diventare complici insospettabili di un mondo in cui vigono omertà, clientelismo, false ideologie politiche, finto senso della patria e apparente e ostentata devozione a Dio. Nessuno è uscito illeso dal “campo di battaglia”, nessuno è stato risparmiato; da Berlusconi alla Merkel, da Gesù che urla il suo amore per la Maddalena al politico che si insinua nel pubblico e, come in ogni campagna elettorale, presenta il suo programma distribuendo agli spettatori volantini bianchi; non una parola, non una frase perché oggi non c’è più politica ma solo volontà fittizie che non si trasformano mai in concretezza.

Una realtà cruda e nuda è stata messa in scena dalla compagnia di João Garcia Miguel, una realtà che si è insinuata nel corpo dello spettatore, lo ha attraversato, lo ha scosso, lo ha sconvolto e “stuprato”. Una perfomance memorabile che ha riscosso il consenso di tutti i presenti tra acclamazioni e calorosi applausi che non avevano nessuna intenzione di spegnersi. Uno spettacolo da digerire e metabolizzare mentre nella testa continuano a rimbombare come una cantilena le parole degli attori “non può esistere la sinistra senza la destra, il ricco senza il povero, la donna senza l’uomo, l’odio senza l’amore, non può esistere l’inferno senza il cielo”.

Annabella Muraca