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Case rifugio, Monica Zinno: «Regolamento da Medioevo in Calabria»

COSENZA – «Il regolamento regionale sulle strutture socio assistenziali e in particolare sulle case rifugio ci riporta al Medioevo. C’è un rischio concreto e pericoloso. Oggi una donna vittima di violenza che decide di denunciare i soprusi subiti, rischia di vedersi portare via il proprio figlio».

Sono parole espresse da Monica Zinno, presidente dell’Associazione Infanzia adolescenza G. Rodari.

Il testo della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne all’articolo 26 sottolinea: “Le Parti adottano le misure legislative e di ogni altro tipo necessarie per garantire che siano debitamente presi in considerazione, nell’ambito dei servizi di protezione e di supporto alle vittime, i diritti e i bisogni dei bambini testimoni di ogni forma di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione. Le misure adottate conformemente al presente articolo comprendono le consulenze psico-sociali adattate all’età dei bambini testimoni di ogni forma di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione e tengono debitamente conto dell’interesse superiore del minore”.

«Tutelando e proteggendo l’interesse dei bambini e delle bambine, si cerca – continua Monica Zinno – di collocare i minori assieme alla madre in una casa protetta. L’ideale sarebbe allontanare l’autore delle violenze e non i bambini: non capiranno mai perché oltre ad aver assistito a scene pazzesche debbano anche perdere i loro punti di riferimento, la loro casa, i loro giochi, subendo un ulteriore trauma. Il rapporto madre-figlio non può essere alterato ancora una volta. Non ho mai visto un giudice scegliere questa strada. E non ci sarebbe alcuna ragione. Nemmeno in caso di violenza diretta sui figli dove il bambino viene allontanato solo se la madre è connivente, oppure non lo ha protetto, configurandosi anche l’elemento del dolo. Se si tratta di violenza sulla madre, la protezione scatta per madre e figli. Se non ci sono i mezzi, possono essere inseriti in comunità. Ma insieme. Non devono essere separati. Pur apprezzando infatti il supporto economico destinato alle strutture socio assistenziali, non si può prescindere il rapporto madre-figlio nella tutela dell’interesse del minore. E le donne che denunciano e rischiano di vedersi portare via i figli che faranno? Denunceranno lo stesso? Sono interrogativi che richiedono risposte istituzionali».