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[#NerdReview] The Sinking City, l’orrore di Lovecraft su schermo

The Sinking City è il nuovo titolo della Frogwares ispirato alle opere horror di H.P. Lovecraft.

Prima di The Sinking City, le trasposizioni dell’orrore lovecraftiano non hanno mai avuto molta fortuna. Se consideriamo i primi Alone In The Dark, Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth, Eternal Darkness: Sanity’s Requiem e gli altri nessuno era riuscito a incarnare appieno la natura orrorifica e al contempo emozionale e psicologica dell’autore di Providence.

The Sinking City si muove su di una strada differente dai suoi predecessori, cerca di spostare l’attenzione dai soliti mostri, ormai quasi mainstream, alle storie dietro e dentro di essi.

Frogware si pone questa meta ma riesce a raggiungerla?

LA STORIA, TRA RAZZISMO E ORRORE

Charles Reed è un investigatore privato che durante la Prima Guerra Mondiale ha prestato servizio in marina sulla Cyclops, nave affondata in modo misterioso. Da allora è affetto da oscure visioni e incubi. Arriva a Oakmont in Massachusetts sotto invito di Johannes van der Berg, un misterioso cittadino in completo giallo che promette una cura per la follia del protagonista. Dal suo arrivo, Charles si trova invischiato negli affari e nelle tradizioni di questa città misteriosa che non vede però di buon occhio i ficcanaso.

Oltre l’odio per lo straniero, un altro infausto cataclisma ha coinvolto la città: l’inondazione. Uno strano fenomeno che ha fatto innalzare il livello del mare al punto da rendere percorribili alcune strade solo attraverso un motoscafo. Faremo a questo punto conoscenza di diverse specie estrapolate dai racconti e romanzi di Lovecraft, come gli Innsmouther, una razza che ha subito il richiamo del mare e che è stata scacciata dal proprio paese per l’oscenità del culto di Dagon.

Come recita anche il cartello all’avvio del gioco, all’interno di The Sinking City è presente in maniera quasi opprimente il razzismo (per via del contesto storico del 1930 americano,  delle tradizioni conservatrici della città stessa e del mito per cui Lovecraft stesso lo fosse). Razzismo non per il colore della pelle – ci sono uomini e donne di diversa etnia – ma per tutto ciò che è esterno e straniero. Lo si può notare dalle animazioni delle persone per le strade, in cui i cittadini, a seconda del quartiere della città, si pongono in modo astioso con gli stranieri arrivati a causa del richiamo della follia, dai quartieri ricchi in cui vengono arrestati a quelli più poveri dove vengono rapinati, pestati o uccisi.

UN GIOCO FATTO DI SCELTE

La storia principale del gioco ci porterà a toccare ogni argomento trattato nei racconti di Lovecraft, dai grandi antichi agli abissali. È però nelle missioni secondarie che il gioco da il meglio di sé. Seppure le meccaniche siano molto simili tra loro (trovare indizi, scoprire la storia, consegnare al personaggio x, ripetere), le scene riescono a raccontare frammenti di vita dei cittadini o avventurieri della città in modo dettagliato ed emozionale tanto da sentire quella fitta al cuore nell’incontrare famiglie massacrate dalla fame, sacrificate dai culti o soggiogate da spiriti.

The Sinking city è un gioco fatto di scelte ma soprattutto di racconti e Frogwares si è impegnata in questo senso, implementando un grande quantitativo di testi di varia natura, dagli annunci pubblicitari alle cutscenes, dalle lettere ai testamenti. Tutto questo perché la maggior parte delle volte si arriva sul posto a eventi già avvenuti e senza la lettura del “racconto” ci si trova davanti scene del crimine o eventi senza senso.

IL GAMEPLAY

Parte dell’avventura risiede nell’investigazione ed è inframmezzata da combattimenti contro mostri, cultisti o esseri interdimensionali. Frogwares ha una decennale esperienza sulle spalle nelle detective story attraverso la serie “Sherlock Holmes” e la possibilità di utilizzare poteri come “l’occhio della mente” o “le visioni dal passato” hanno donato all’area investigativa uno sprint lovecraftiano. La problematica giace però nella monotonia del sistema. La meccanica investigativa è identica per tutta la durata del gioco e le scene action, a volte prevedibili, servono solo da piccola boccata d’aria dopo una lunga apnea di noia.

Le sezioni da sommozzatore sono una distrazione gradita ma di poca durata. Gli abissi intorno e sotto Oakmont sono popolati da esseri giganteschi e creature il cui solo sguardo provoca la pazzia, ma resta una sezione d’intermezzo atta a portare il personaggio solo da un punto all’altro.

La terza parte che compone il gameplay è quella dei combattimenti e della sanità mentale. All’inizio ho trovato molto difficoltoso riuscire a combattere le creature selvagge presenti in The Sinking City complice il basso numero di munizioni trovabili e creabili. Questa difficoltà si è protratta per circa 6 ore di gioco, fino a quando, una volta acquisiti abbastanza livelli, sono riuscito a disseminare di punti i 3 alberi delle abilità. Prese determinate scelte dall’albero del combattimento, uccidere i mostri diventa estremamente più semplice lasciando come unica preoccupazione la sanità mentale. Questa, anche se estendibile e ricaricante, cala in maniera esponenziale per ogni creatura aliena nelle vicinanze minando pesantemente la visibilità e aggiungendo “visioni antagoniste” che danno la caccia.

PREVEDIBILITÀ E SANITÀ MENTALE

Le IA non sono adeguate agli standard odierni, sono anzi piuttosto prevedibili e per nulla organizzate. I set di movimenti sono identici di volta in volta e l’unica cosa che cambia nei nemici sono le abilità. Infatti, in pieno stile Metroidvenia, i mostri cambiano di colore e diventano più forti man mano che andiamo avanti con la missione principale. Al contrario delle creature selvagge, gli esseri umani sono molto semplici da uccidere, basta un unico colpo ben piazzato per fare la differenza, ma molto spesso l’uccisione di umani apre la strada a un successivo pentimento attraverso righe di dialogo più aspre o video cutscene dal forte impatto emotivo.

Come dicevo, The Sinking City è un gioco di scelte. Al termine di un’indagine nelle missioni principali si  deve affrontare il palazzo mentale: un minigioco di collegamenti e deduzioni che porta a compiere una scelta (non definitiva) riguardo la vita o la morte di qualcuno. Molto spesso le vie percorribili sono 3, contraddistinte da una scelta per lo più etica e soggettiva: ad esempio la mia linea di pensiero era quella di favorire il meno possibile i culti optando per il male minore. A essere però sinceri, anche qui viene rispettato lo stile lovecraftiano: il male è ovunque e qualsiasi cosa si scelga ci si porta dietro il peso e i sensi di colpa.

Altra pecca di cui si macchia il gioco, a meno di perdere un’ora a trovare i punti di viaggio rapido fin da subito, è la grandezza della mappa. Oltre la barca che è necessario prendere per attraversare alcune strade o trovare alcune stanze, la città è troppo grande da percorrere a piedi e i punti di interesse, seppur vicini alle cabine telefoniche del viaggio rapido, fanno perdere alcuni minuti di corsa inutile. Sicuramente la corsa è allietata dalle scenografie particolari, ma dopo un po’ il continuo andirivieni annoia.

GRAFICA E SONORO

L’aspetto grafico è curato attraverso Unreal Engine 4. Troviamo infatti dei modelli umani di tutto rispetto. L’imperante pioggia crea una sensazione di umido appiccicaticcio anche da dietro lo schermo, donando molta verosimiglianza all’ambientazione. Frogwares però non è molto pratica del motore grafico, soprattutto per quanto riguarda i modelli che spesso si impantanano nelle porte o negli oggetti di scena e le animazioni delle comparse sono a volte fuori sincrono. Ulteriore pecca nell’aspetto grafico riguarda gli interni delle case, dei magazzini e delle strutture abbandonate. Tutte le case sono strutturalmente identiche per numero e posizione delle stanze. Cambiano solo alcuni inserti specifici nel mobilio per via delle missioni a esse associate.

Il comparto sonoro mi ha soddisfatto molto, alcune tracce musicali all’interno sono particolarmente orecchiabili e c’è perfino una canzone così tanto bella da far perdere la sanità mentale, una citazione al racconto La musica di Eric Zann. Il sottofondo sonoro cambia a seconda della situazione, passando su più livelli di gravità man mano che ci si avvicina a un luogo infestato o a una situazione di nervosismo.

IL PUNTO

Frogwares ha sviluppato questo titolo con uno scopo preciso: rendere omaggio a uno dei più grandi autori dell’orrore. In questo scopo riesce e le storie che racconta toccano il cuore e mettono in crisi sia dal punto di vista etico che personale. Tuttavia, le meccaniche sono noiose a lungo andare e senza una spinta personale si rischia di abbandonare la traversata. Può sembrare una stroncatura, ma in realtà quello che voglio dirvi è di approcciarvi a questo titolo partendo dal presupposto di trovarvi davanti un’avventura grafica in terza persona con inserti action.

Se poi amate lo scrittore di Portland troverete omaggi delicati e mai invasivi che vi faranno spesso sorridere.

Voto: 6.5

Daniele Ferullo

[#NerdGames] BloodStained: Ritual of the night, degno successore di Castlevania?

“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.

Così avrebbe esordito Zio Ben con Koji Igarashi, una volta saputo della decisione di avviare il kickstarter per BloodStained: Ritual of the night. Il potere di chi ha dato alla luce la pietra miliare dei Metroidvenia Castlevania: Symphony of the night è un’arma a doppio taglio: da una parte ha la fiducia dei fan del genere che lo seguono, dall’altra il peso di un franchise che non sta dando il suo massimo da diversi anni.

Quanto può essere ben riposta questa fiducia indomita?

Il mondo del crowdfunding, qualche anno fa, è stato invaso da giochi indie di tutti i tipi: Dead Cells, Hollow Knight, Psychonauts 2 e tantissimi altri. Tra questi c’era anche Bloodstained, presentato da Koji in persona come il successore del vero spirito di Castlevania. Niente spin-off strambo né clone, ma qualcosa di nuovo che potesse soddisfare una volta per tutte la voglia dei fan di innovazione e nostalgia.

BloodStained riesce in parte a soddisfare questo bisogno.

UNA BUONA STORIA O FAN-SERVICE?

La storia è ben costruita, raccontata bene e con i giusti tempi, seppure si senta moltissimo l’impronta di Igarashi nella scelta delle ambientazioni e dei mostri. Ha riciclato quasi tutti i biomi dei vecchi Castlevania donando un mash-up piuttosto citazionistico ai fan del franchise Konami.

Abbiamo una protagonista molto simile a Shanoa di Order of Ecclesia, con la capacità di apprendere l’abilità dei nostri nemici tramite dei cristalli; degli aiutanti che avranno base nel villaggio e ci faranno da shop come in Dawn of Sorrow; un personaggio con una storia parallela alla nostra e così via… Insomma, gli elementi di un Castlevania ci sono tutti e anche di più, ma si sente una nota stonata: si avverte quella sensazione di bootleg nei mostri (che hanno forme simili, mosse simili ma nomi diversi), nelle armi che hanno quella vocale o consonante diversa ma forma e animazione simile, a cui si aggiunge una tendenza estetica al fan-service sulla protagonista a cui potremmo cambiare colore di capelli e del vestito come fosse una bambola di porcellana.

warning: attenzione ai gattini e cagnolini demoniaci

GAMEPLAY, TRA VECCHI TRICK E NUOVE MECCANICHE

Andando oltre questo primo impatto che lascia un po’ straniti, il gioco si districa molto bene nel gameplay, mantenendo molti trick dei vecchi Castlevania e aggiungendo moltissime nuove meccaniche, come la possibilità di apprendere delle tecniche a combinazione di tasti per determinate armi, le ricette dall’alchimista e il prestito dei libri nella biblioteca gestita da un vampiro di nome Orlok Dracule – chiara citazione a Dracula nei primi Castlevania. Tutti questi elementi si uniscono a differenziare le statistiche del personaggio che quindi potremmo costruire come vogliamo, mentre oggetti speciali come i gettoni 8/16/24 bit ci daranno la possibilità di avere delle armi particolari provenienti da vecchi giochi.

I boss fight, come ogni Metroidvenia che si rispetti, sbloccheranno dei poteri necessari a proseguire nel gioco e sono piuttosto semplici da affrontare. I pattern sono prevedibili ma al contempo molto “punitivi”. Di per sé il gioco stesso è abbastanza punitivo. A meno di avere un equipaggiamento improntato alla difesa, i danni che si riceveranno sono sostenuti, mentre le pozioni sono abbastanza rare da trovare.

GRAFICA DA MIGLIORARE

Torniamo, però, a un’altra pecca: la grafica. Il 2.5D funziona, lo abbiamo ammirato anche nel titolo Castlevania: Lords of Shadow e molti titoli contemporanei ci stanno abituando a questo miglioramento. Il problema, tuttavia, sussiste in alcune transizioni, oggetti, scene che sono di fattura molto superficiale e toccano il fondo nella schermata di Game Over che sembra fatta con power point. Gli effetti visivi però sono resi bene, i ritratti dei dialoghi si adattano ai cambi d’equipaggiamento dell’eroina e le scenografie sono eccellenti.

UNA SOUNDTRACK GIÀ SENTITA

Al comparto sonoro troviamo una star del franchise Konami, Michiru Yamane, che nella sua carriera ha composto ed eseguito la colonna sonora di Symphony of the night, Aria of sorrow e Portrait of ruins. Anche qui, lo stile “Castlevania” regna sovrano, ma cambia di qualche nota facendo tornare quella sensazione imperante di copiato male.

IL PUNTO

Per quanto possa essere superficiale il lavoro grafico, sappiamo che in ogni caso tutti giocheremo e finiremo questo titolo. Poteva essere fatto meglio? Assolutamente. Oltre ai bug che mandano in crash il gioco, alcuni aspetti poco curati sono al limite dell’assurdo e spero vivamente verranno corretti nei tanti DLC gratuiti che saranno rilasciati nell’arco dell’anno. BloodStained però non è così male. Se si prende in considerazione il solo lato ludico, si lascia giocare bene ed è abbastanza duraturo da passarci il tempo a fine giornata.

Tuttavia,non è quel titolo che avremmo voluto anche avendone le potenzialità.

Voto: 6,5

Daniele “Ink” Ferullo

 

[#NerdGames] Una banana per amico: My Friend Pedro – Recensione

Quando per la prima volta giocai alla versione flash di My friend Pedro nel lontano 2014, sentivo che qualcosa di buono poteva uscirne. La grafica grezza un po’ grunge richiamava i platform sparatutto ultraviolenti di una volta come Madness combat e il gameplay strizzava l’occhio a The Matrix.

Ma come si è evoluto?

DeadToast Entertainment resta a capo del progetto, aiutato e distribuito da Devolver Digital (Hotline Miami), il cui supporto è evidente: pazzia, soundtrack, ultraviolenza e scelte fuori di testa. Perché questo gioco, parliamoci chiaro, è fuori di testa.

UNA BANANA CHE UCCIDE LENTAMENTE

Il no sense regna sovrano dall’inizio alla fine. Il protagonista è l’unico a vedere Pedro, una banana parlante che fluttua qui e lì dando suggerimenti su cosa fare, sulla situazione e la storia. La trama si sviluppa su di un piano orizzontale dove all’inizio ci si vuole solo vendicare di colui che ci ha catturato, per poi continuare con organizzazioni sempre più grandi (e strambe) che ci danno la caccia.

John Wick, is that you?

La storia matura così, tra sparatorie e uccisioni, ma ha dei picchi a mio parere piuttosto profondi. Se infatti all’inizio troviamo la solita trama da vengeance story, nel proseguire degli stage, la narrazione si muove anche in un senso verticale, dando delle pillole sociologiche, come ad esempio combattere gli “haters” di Pedro, persone che sanno solo giudicare e screditare e che, alla morte, vanno verso il paradiso. Non solo sparatorie, quindi, ma anche spessore politico e critica al contemporaneo. Proprio come i livelli nelle tubature in pieno stile Super Mario dove si annidano nemici di nuovo stampo: i giocatori nostalgici diventati troppo violenti per colpa dei videogiochi. Pedro, il nostro amico banana, ce ne parla come di una tribù che si è separata dalla società perché non voluta.

GAMEPLAY, TRA UCCISIONI E ROMPICAPO

Ma basta parlare di storia, parliamo del comparto tecnico di questo titolo.

Il gameplay ha meccaniche di difficile apprendimento, è difficile articolarsi sia con il GamePad (provato con pad XBoxOne) che con mouse e tastiera. Se da una parte abbiamo tutti i tasti a disposizione per manovrare il personaggio e una difficoltà a prendere bene la mira, dall’altro abbiamo troppi tasti da usare e poche dita per usarli. Insomma, ovunque ti giri prendi un rastrello nei denti.

Il sistema di gioco è quindi è un po’ difficoltoso ma, dopo qualche livello, si inizia a prenderci la mano rinunciando alla fantasia combattiva. Gli scontri sono molto veloci se non si utilizza lo slow motion, ma rallentare il tempo ti permette di essere più preciso e creare spettacolarità nelle uccisioni che donano Punti Stile: una valuta molto simile a quella di Devil May Cry che a fine livello ti assegna un voto da S a C a seconda delle uccisioni stesse. Piroettare per schivare proiettili, dividere le armi, utilizzare oggetti ambientali o fare delle entrate in scena drammatiche fanno accumulare punti che vengono poi moltiplicati per il numero di uccisioni fatte in breve tempo.

Questo sistema prende anche l’accezione tipica del rompicapo simile a quella di Hotline Miami dove uccidere i nemici con una strategia portava al punteggio massimo. Tuttavia non è così importante, il gioco non ricompensa per voto basso o uno alto ed è soltanto un modo per entrare nella leaderboard mondiale.

Oltre i punteggi, il gioco riesce a rinnovarsi stage dopo stage lungo i suoi 40 livelli aggiungendo gradualmente armi, oggetti scenici utilizzabili e perfino uno skateboard con cui fare combo al limite dell’assurdo. Ci sono anche dei livelli che subiscono un cambio repentino di gameplay come quello della moto o la picchiata che rinfresca l’attenzione del giocatore.

UN GRAFICA ANNI ’90 DA MIGLIORARE

L’aspetto estetico e grafico di My Friend Pedro lascia molto a desiderare. Stilisticamente sembra un gioco della metà degli anni ‘90 con personaggi pupazzosi e poligonali, si recupera di poco con le scenografie che però risultano ripetitive quasi allo stremo. Meglio non parlare delle animazioni poi. Seppure siano basate sulla fisica, il gioco spesso e volentieri si comporta come una parodia del ragdoll con movimenti scomposti dei personaggi. Ad essere sincero però, la velocità con cui si procede nei livelli non ti fa quasi accorgere di queste mancanze piuttosto evidenti appena ti fermi un attimo a guardare.

una picchiata con un tipo vestito da babbo natale che parla dell’internet

La soundtrack, eseguita per lo più da Navie D, ricalca moltissimo le sonorità di Hotline Miami con un elettropop anni ‘80 di altissima qualità. L’unica pecca è forse la mancanza di una canzone virale, una di quelle che continueresti ad ascoltare in loop una volta finito il gioco.

IL PUNTO

My Friend Pedro è un gioco che ti tiene incollato allo schermo per tutte le sue 3-4 ore di durata senza prendere una pausa. Dentro di sé ha però il rimpianto del “si poteva fare di più”. Il comparto grafico è davvero scadente e anche se media con la fantasia e il divertimento del gioco, l’occhio vuole sempre la sua parte anche in questi contesti. I controlli di gioco sono poi scomodi e inutilmente difficili. Mi tornano alla mente Shank, Deadbolt o Katana Zero e penso che questa volta mancasse poco per piazzarsi più in alto in graduatoria.

Voto: 7

Daniele “Ink” Ferullo

[#NerdReview] Call of Cthulhu: le prime impressioni sul gioco

Call of Cthulhu è stato finalmente rilasciato e qui di seguito ecco le prime impressioni.

Approcciandosi a Call of Cthulhu della Cyanide bisogna tenere ben presente un concetto fondamentale: si tratta di un’opera ispirata e motivata dal gioco di ruolo cartaceo omonimo, Il richiamo di Cthulhu della Chaosium, e non agli originali racconti di H. P. Lovecraft.

Come il precedente Call of Cthulhu: Dark Corners of Earth (2006), questo videogioco non intende trasporre sui nostri PC e sulle nostre console le atmosfere della narrativa dell’autore di Providence, bensì tutto ciò che da essa è stato derivato nella costruzione dei manuali dell’ormai celeberrimo GDR.

UN GIOCO LOVECRAFTIANO?

Questa nota, che potrebbe sembrare superflua, è in realtà basilare. Infatti sarebbe sbagliato valutare Call of Cthulhu immaginandolo quale tentativo di riproporre genuinamente le situazioni dei racconti di Lovecraft, poiché sin dall’inizio si configura come qualcosa di molto più pulp e legato alle atmosfere investigative e avventurose care ai giocatori di ruolo. I “puristi” non dovranno quindi farsi trarre in inganno: questo è un videogioco che vuole trattare atmosfere vagamente lovecraftiane, senza rinunciare a scazzottate, mostri tentacolari e sparatorie tra moli fumosi.

LA TRAMA

Appurato ciò, e con la mente sgombra da ogni pregiudizio, si può procedere a immergersi nelle ambientazioni del gioco e a seguire le peripezie di Pierce, un investigatore privato ingaggiato per indagare sulla morte dell’artista Sarah Hawkins e della sua famiglia, avvenuta sulla misteriosa isola di Darkwater. Da questo presupposto si calerà velocemente tra morbose relazioni familiari, oscuri culti nascosti e disperate manifestazioni di follia, in un crescendo che trascinerà il nostro investigatore da fradicie vie cittadine a grotte nascoste e manicomi malsani.

La storia scorre abbastanza velocemente, in circa sei o sette ore di gioco si dipana interamente conducendoci allo svelamento del mistero finale. Purtroppo però i vari colpi di scena si rivelano sin da subito abbastanza prevedibili, proprio a causa delle premesse stesse del gioco: è fin troppo facile immaginare che dietro la scomparsa della Hawkins si celino congreghe minacciose e poteri soprannaturali, così come è del tutto legittimo attendersi che il protagonista vada incontro a un processo di degradazione mentale sempre più repentino.

BUONE IDEE O CLICHÉ?

Call of Cthulhu, presentandosi come interpretazione videoludica del gioco di ruolo, mette subito in campo le carte senza neanche la pretesa di scoprirle pian piano: il gusto dell’esperienza dovrebbe risiedere proprio nel fatto che andiamo incontro a ciò che ci aspettiamo, gustando ciò che gli sviluppatori hanno messo a puntino per noi. Purtroppo però, a parte alcune buone idee*, i cliché si susseguono l’uno dopo l’altro, cedendo il passo non ad un’aspettativa appagata, ma piuttosto ad un senso di noia e di vuota riproposizione dei soliti scenari soprannaturali.

La trama in sé, poi, si fonda su due filoni principali, uno dei quali** si rivela in buona sostanza inutile, quasi fosse un filler per allungare una narrazione altrimenti troppo breve. È un peccato, perché il dipanarsi del disegno della trama è gestito abbastanza bene, concedendo al giocatore poche informazioni alla volta, perlopiù tramite allusioni durante i dialoghi o tramite descrizioni di oggetti rinvenuti nei vari scenari del gioco.

Questa narrazione così cauta è in qualche modo scombussolata dalle sezioni più oniriche: si avverte nettamente l’attrito tra l’andamento investigativo della vicenda principale e l’irruzione di vari sconvolgimenti*** che fanno cadere del tutto la sospensione dell’incredulità su cui titoli quali Call of Cthulhu si poggiano. Si può forse ritenere che lo stravolgimento delle posizioni dei personaggi possa essere lovecraftiano, ma squassare continuamente i punti fermi di una storia (senza peraltro riuscire a risolverli neanche nei vari finali alternativi) rischia di suscitare più confusione che orrore cosmico.

 UNA COMPONENTE DA GDR

A tale proposito, l’immersione nell’avventura è attenuata anche dalla componente da GDR inserita dagli sviluppatori. Tralasciando la presenza di alcune caratteristiche del personaggio che si rivelano inutili o quasi nel corso dell’avventura (“Forza”, ad esempio, può essere usata pochissime volte), in generale la sensazione di personalizzazione di Pierce è davvero ridotta, anche a causa dell’impatto relativo (o nullo) che si ha sulla trama del gioco: ci vengono proposte molte varianti nei dialoghi, ma le varianti conducono quasi sempre agli stessi sviluppi e la sensazione lasciata nel giocatore è quella di essere un semplice spettatore cui viene chiesto di dare un contributo minimo, per essere poi ricondotto su binari prestabiliti.

In effetti l’intero gameplay si regge su questo assunto restrittivo. L’investigazione consiste perlopiù nel raggiungere i vari indizi, chiaramente evidenziati dall’interfaccia, e sentire cosa ha da dire Pierce su di essi. Gli enigmi presenti sarebbero anche piacevoli, ma sono facili e davvero troppo pochi per un’avventura che si presenta così legata al mistero e allo sforzo d’indagine. Le sezioni stealth, che così palesemente si rifanno ad Amnesia: The Dark Descent, non riescono a riproporre lo stesso senso di brivido di quel gioco e si rivelano in taluni casi frustranti****.

In questo clima, in cui l’attività di gioco vero e proprio è affrontata in modo superficiale, gli sviluppatori hanno voluto inserire delle sezioni finali più vicine a dinamiche da FPS che stonano totalmente e che per di più sono realizzate in modo grossolano (la pistola di Pierce è uno degli oggetti più lovecraftiani del gioco: non si capisce quante munizioni abbia, perché lui la tenga in modo così legnoso, che razza di rinculo abbia ecc.). Addirittura la meccanica della sanità mentale – che dovrebbe essere cara ai giocatori della controparte cartacea del gioco – risulta appena abbozzata, e la sua influenza sul gioco è minima a causa della limitatezza delle situazioni nelle quali è presente (davvero poche, e sempre risolvibili con un “pilotato” allontanarsi da certe zone o stranezze); anche qui siamo distanti da Amnesia, nel quale l’incombere della follia e del panico è una preoccupazione costante del giocatore.

LA GRAFICA

In effetti può sembrare che il gioco soffra di una realizzazione affrettata e approssimata, forse a causa di tagli di budget o di deadline accorciate. La grafica, che pure ha dei punti di forza come la bella gestione delle luci, è ad un livello certo inferiore alle media per questo tipo di titoli e non brilla neanche nel design. Indice di ciò è il continuo passaggio da cutscene con la grafica di gioco ad altre realizzate in CGI, con delle transizioni fastidiosissime da vedere e che contribuiscono anch’esse a distruggere l’immersività del titolo (poiché anticipano, seppure indirettamente, la fine o l’inizio di una sezione di gioco, comprese quelle stealth).

CONCLUSIONI

In definitiva Call of Cthulhu è un titolo realizzato per gli appassionati dell’omonimo GDR (ripetiamo: probabilmente ad un purista dei racconti di Lovecraft NON piacerebbe), e se lo si gioca da appassionati si può sorvolare sopra le evidenti pecche del titolo. Giungere alla fine dell’esperienza non sarà difficile né gravoso, e lascerà sicuramente la voglia di iniziare una nuova avventura sul GDR cartaceo o magari anche di riprendere qualche storia dell’autore di Providence. Difficile, invece, che possa venire voglia di rigiocare di nuovo lo stesso Call of Cthulhu: ciò che ha da offrire è troppo evidente e semplice, e nonostante il suo addentrarsi in cunicoli, templi dimenticati e cantine occulte, si può presentare solo come un dipinto piatto e già visto. Può affascinare per poco tempo, magari lasciare qualche ricordo piacevole, ma niente più di questo e forse alla Cyanide non avevano la pretesa di fare di più.

Resta però il senso di delusione per un gioco che poteva, con un po’ più di cura e di attenzione formale, rivelarsi un gioiellino; segno che purtroppo non basta la passione per produrre un’opera in grado di catturare e di lasciare il segno.

 

Francesco Corigliano

SPOILER ALERT:

*la storia della nave Scylla e della sua caccia “miracolosa”

**quello legato alla misteriosa creatura nel dipinto

***persone che ritornano in vita e che non ricordano cosa gli è successo, personaggi che si credevano morti da tempo e che in realtà non lo erano, decisioni quantomeno avventate da parte di personaggi secondari ecc.

****specialmente quella col suddetto mostro del quadro

 

 

 

 

 

Speciale Milan Games Week, le ultime novità dal mondo videoludico

Nel precedente weekend si è tenuta la consueta MILAN GAMES WEEK, kermesse prevalentemente dedicata ai titoli videoludici di prossima uscita.

Noi di NERD30 non potevamo di certo lasciarci sfuggire la possibilità di provare nuovi giochi, ma soprattutto il nuovo hardware Vr. Ecco quindi il nostro personalissimo resoconto di quanto siamo riusciti a provare nel poco tempo concessoci dalle case di sviluppo alla Milan Games Week.

Varcata la soglia della fiera, siamo stati accolti dal solito clamore tipico degli eventi E-Sport: caster alle prese con il commentary, folle in visibilio e pro-player che si contendevano gloria e premi. Abbandonata a fatica l’area esports lo stand di Wakanda VR ha immediatamente catturato la nostra attenzione.

UN PADIGLIONE NEL PADIGLIONE

Wakanda VR altro non è che un format sviluppato dalla VRZONE S.r.l., proprio come recita l’omonio sito, che propone periferiche VR ben più immersive di quanto siamo stati abituati a vedere in questi anni. I loro titoli spaziano dalla simulazione di volo alla riproduzione di un Escape Room per 4 giocatori, per un totale di 6 esperienze differenti.

Il primo titolo del sestetto ad esser provato è stato il simulatore di volo ICAROS. Dopo le consuete operazioni di calibrazione del VR, gli operatori ci hanno fatto adagiare su di una bizzarra piattaforma semovente. La posizione ricorda quella adottata negli ultraleggeri e tutti i movimenti della macchina vengono attuati dalla muscolatura del giocatore, senza alcun tipo di aiuto meccanico. Dopo qualche secondo passato a familiarizzare con gli spostamenti sui vari assi spaziali abbiamo iniziato la simulazione vera e propria: un circuito a checkpoint da attraversare nel minor tempo possibile. Il feeling dato dalla macchina può stranire a un primo impatto, ma dopo qualche checkpoint perso si riesce tranquillamente a prender confidenza con i comandi e dirigere l’aliante digitale esattamente dove si vuole.

Sfortunatamente, la brevità della simulazione non ci ha fatto assaporare le potenzialità dell’apparecchio per come avremmo desiderato ma si è rivelata sufficiente per promuovere l’esperienza in toto.

Dopo aver ripreso contatto con il suolo, ci siamo diretti verso le postazioni di Laser Maze Tunnel e del Simulatore 3DoF. Tuttavia, entrambe le esperienze si sono rivelate ben al di sotto delle aspettative settate da ICAROS. Il sedile motorizzato sviluppato da KYNEPROX ed adottato nei simulatori 3DoS risulta essere una versione sotto ingenti dosi di steroidi di un comune simulatore da sala giochi: preciso, reattivo, ma comunque una tecnologia conosciuta. Qualcosa di analogo si trova nelle sensazioni lasciateci dal Laser Maze: un applicativo divertente, soprattutto se giocato in multiplayer, ma che non stuzzica la fantasia dei giocatori più navigati.

NERD30 E LA (NON TANTO) GELIDA MADRE RUSSIA

Lasciata la causa della sperimentazione VR, ci siamo spostati verso il padiglione di Koch Media, ansiosi di provare l’ultima fatica di Artyom: Metro Exodus. Dopo un’interminabile coda siamo finalmente riusciti a prender in mano il pad dell’Xbox One X che hostava la demo e immergerci nel mondo immaginato da Dmitry Glukhovsky. La prova inizia con un breve e intuitivo filmato che preannuncia al giocatore ciò che vedrà nei prossimi venti minuti di gameplay e riassume i comandi del titolo. Bastarda e doppietta alla mano impersoniamo nuovamente i panni del nostro russo preferito.

A seguito di una cutscene introduttiva finalmente riusciamo a muovere i primi passi in un’ambientazione decisamente meno claustrofobica delle precedenti: sole e verde accompagnano il ranger di Sparta. Il titolo si conferma un fps solido, con meccaniche stealth ben rodate e uno shooting su console capace di convincere noi redattori, ultimi baluardi di una ferrea tradizione a base di sparatutto con mouse e tastiera. Unica pecca di quanto mostrato sembra esser l’IA dei nemici, piuttosto banale e facile da aggirare; tuttavia non ci è dato sapere se il livello di reattività dei nemici possa andare via via crescendo o sia settabile tramite opzioni. Però, malgrado un comportamento semplificato degli NPC, Metro Exodus non è un titolo da prendere sottogamba. Le orde di predoni, infatti, soverchieranno facilmente gli Artyom più spavaldi e l’assenza di caricatori rende tutto più ostico per chi cerca un approccio combattivo.

Dopo aver dato fondo a tutte le munizioni dei nostri caricatori e aver provato diversi approcci per risolvere la  missione assegnataci lasciamo soddisfatti il padiglione di Koch Media con tanto di dogtag omaggio al collo.

IN DEFINITIVA LA MILAN GAMES WEEK SI CONFERMA UNO DEGLI APPUNTAMENTI IMMANCABILI PER OGNI APPASSIONATO DEL GENERE.

NOI DI NER30 VI CONSIGLIAMO CALDAMENTE DI PREVENTIVARE UNA VISITA NELLE PROSSIME EDIZIONI VISTA LA FORTE PRESENZA DI OFFERTE PER IL PARCO CONSOLE E L’INCREDIBILE QUANTITà DI MATERIALE TESTABILE.

 

Daniele “Icelo” Pezzolla

 

 

 

 

 

[#NerdInterview] Intervista con Carlo Cuomo (Iudav)

Durante l’evento Lucania is Comics, unica fiera dedicata al fumetto in Basilicata e ormai giunta al terzo anno di attività, abbiamo intervistato Carlo Cuomo, autore del piano di studi Iudav, il primo corso di studi dedicato ai videogiochi e all’animazione.

Ci ha parlato dell’offerta formativa Iudav e dei suoi progetti in campo videoludico. Buona Visione!

 

Intervista a cura di Miriam \^^my^^/ Caruso
Riprese e Montaggio a cura di Daniel MrInk Ferullo

Speciale E3, Tutti i titoli annunciati durante la conferenza Sony

Tra armoniosi arpeggi di banjo e titoli esclusivi si è aperta la conferenza Sony a questo E3.

Come era lecito pensare, la conferenza Sony si è incentrata sulle esclusive della piattaforma, lasciando alle terze parti il compito di divulgare i titoli non proprietari che approderanno su Playstation.

https://youtu.be/tw6r9N4hDmE

Capisaldi indiscussi sono stati The Last of Us 2, Ghost of Tsushima, Marvel’s Spider-Man e il criptico Death Stranding.  I primi due si sono rivelati in un lungo gameplay, mostrando meccaniche e ambientazioni in cui ritroveremo i titoli una volta terminati. L’imminente titolo dell’arrampicamuri, invece, dedica il suo spazio on stage alla presentazione dei Sinistri Sei, villains indiscussi del titolo, e alle meccaniche di combattimento. L’ultimo caposaldo si mostra nella classica veste a cui Hideo Kojima ci ha abituato: pochissime spiegazioni e tante sequenze interpretabili su più livelli. Ancora una volta ritroviamo il protagonista dalle sembianze di Norman Reedus, interagire con questo singolare mondo di gioco. Mondo che per la prima volta ci lascia intravedere i possibili antagonisti del titolo, visibili solo grazie all’intervento dell’infante “incapsulato”, creatura che gli operatori visti nei precedenti trailer e trattano con immenso riguardo. L’ultima fatica di Hideo non solo si mostra in qualche scorcio di gameplay, ma presenta anche un personaggio femminile, fino ad ora rimasto nell’ombra.

Altro momento di forza della conferenza è stata la presenza di uno spazio dedicato a Kingdome Hearts 3, il titolo di Square Enix che approderà sulle console il prossimo gennaio. Quanto mostrato su Sora e compagni differisce dai precedenti trailer presentati durante l’evento, dando grande spazio al mondo di Pirati dei caraibi, che vede Jack Sparrow indiscusso sovrano.

A chiudere lo showcase di Sony troviamo Control, un nuovo titolo sviluppato da Remedy (casa famosa per i primi capitoli di Max Payne e per l’immortale Alan Wake), Nioh 2, seguito dell’omonimo titolo di Team Ninja e Deracine, una nuova avventura per Playstation Vr firmata From Software.

In conclusione, malgrado una conferenza non proprio all’altezza delle concorrenti sul piano dell’intrattenimento, Sony dimostra di avere ancora diverse frecce al suo arco.

Non resta che attendere Il Tokyo Game Show e Il Playstation Experience per avere ulteriori dettagli su quanto visto fino ad ora!

 

Daniele “Icelo” Pezzolla

 

[#Games] Videogiochi onirici, un viaggio attraverso il reame dei sogni

E’ ormai assodato, il binomio gamers e cicli di sonno regolari è una delle più rare utopie che al giorno d’oggi qualcuno possa sperare di trovare.

Una volta acquisito il titolo di “videogiocatore appassionato”, non importa che il soggetto in questione sia uno studente, un giovane impiegato o un più maturo lavoratore: i videogiochi troveranno sempre il loro spazio durante l’arco d’una giornata. Spesso però i molteplici impegni delle sopracitate categorie spostano le sessioni di gioco in orari sempre meno convenzionali, fino ad arrivare, in alcuni casi, ad avere le lunghe e tranquille ore notturne dedicate interamente a console e pc.

E’ probabile che sia stata proprio questa postilla su i videogiocatori ad aver ispirato i creatori dei titoli presenti in questo articolo: il forte desiderio di regalare uno scorcio di mondo onirico a chi ormai ci ha volutamente rinunciato.   

Catherine

catherine

 

Il primo titolo di questa raccolta onirica è la controversa opera di Atlus: Catherine. Ambientato a metà tra il sonno e la veglia, Catherine racconta la storia di Vincent Brooks, un ingegnere annoiato dalla monotonia della sua vita. La routine delle sue giornate viene stravolta quando, dopo pochi minuti dall’inizo del titolo, egli conosce e si invaghisce di Catherine. La sera stessa il sonno di Vincent è tormentato da terribili incubi, che ridisegnano le fattezze del protagonista come un ibrido tra un uomo ed un ariete. Ogni sogno del protagonista, un totale di nove giornate, porta il giocatore a dover risolvere svariati puzzle per garantire al protagonista la sopravvivenza ed a dover compiere scelte che modificheranno l’andamento della storia. Il titolo è disponibile per PS3 e Xbox360

Mario & Luigi: Dream Team

mario e luigi

Abituati a vedere l’idraulico più famoso del mondo in un contesto tipicamente platform, molti giocatori all’inizio di questa lunga saga, disponibile per le portatili di casa Nintendo, hanno arricciato il naso credendo che una declinazione di Mario in un rpg potesse rovinarne l’aura mistica che da sempre lo contraddistingue. Al contrario delle aspettative Mario & Luigi Dream Team ha ottenuto un’ottima valutazione complessiva.
Il titolo è ambientato subito dopo gli eventi raccontati “Viaggio al centro di Bowser” e vede i fratelli Mario alle prese con il canonico rapimento della principessa Peach da parte di Bowser ed il suo nuovo alleato: Inkubak il sovrano dei pipistrelli. Aiutato da suo fratello Luigi e la di lui controparte onirica, Mario riuscirà a salvare le Isole Guanciale e a godersi le sue meritate e sonnacchiose vacanze.

Dreams – PS4

dreams

Poco si sa di questa nuova esclusiva Sony presentata durante l’ultima Playstation Experience, tuttavia il materiale mostrato ha annoverato a pieni voti Dreams in questo articolo. Sviluppato dal team di Media Molecule, gli autori di Little Big Planet, il titolo propone all’utente di impersonare un piccolo e dolce Imp”, un esserino capace di creare, manipolare ed interagire con il mondo che lo circonda ed i suoi abitanti. Tuttavia l’interazione con il mondo circostante non è l’unica caratteristica che contraddistingue l’esile protagonista, l’Imp può entrare nei sogni dei personaggi incontrati sulla sua strada sfruttando le abilità dell’ospite, per collezionare oggetti recuperabili solo nel mondo onirico. Come accadeva in LBP il titolo offre una fornita fucina di livelli e contenuti, condivisibili da console a console, ed un comparto cooperativo che permette a due giocatori di manipolare la realtà a piacimento.
Il titolo sarà reso disponibile per l’ammiraglia di casa Sony durante il 2017.

Alice Madness Returns

alice madness returns

Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Alice nel paese delle meraviglie. Difficilmente, infanti a parte, qualcuno leggendo queste righe avrà alzato la mano. L’opera letteraria di Lewis Carroll, oltre a lungometraggi più o meno riusciti e film d’animazione, ha ispirato anche due titoli per Pc e console, entrambi ambientati dopo gli avvenimenti raccontati in “Attraverso lo Specchio”: American McGee’s Alice ed il suo seguito Alice Madness Returns. Entrambi raccontano le disavventure di una piccola Alice Liddel, spezzata dalla perdita dei genitori, in chiave gotica e cinica. In ambedue i titoli Alice si rifugia nell’onirico paese delle meraviglie, terra un tempo spensierata che ora appare corrotta e malsana. Al termine di ogni capitolo Alice riesce a ricordare un particolare in più della tragica notte che le portò via i genitori fino a comprendere e superare lo shock. Il titolo è sviluppato dallo studio cinese Spicy Horse nel 2011 ed è disponibile per console e pc.

Fran Bow

fran bow

Dopo aver letto di Alice Madness Returns, passare a Fran-Bow, un titolo horror indie sviluppato dai ragazzi di Killmonday Games nel 2015, può provocare una sorta di déjà-vu: una piccola orfana internata in un ospedale psichiatrico in effetti è una tematica già sentita. Tuttavia la ricerca di Mr.Midnight, il gatto nero della protagonista, differisce dalla cerca spirituale di Alice. Le visioni della giovane Fran sono sogni vividi, causati dalle discutibili cure del Dr. Marcelm, medico della ragazza. Man mano che il gioco avanza si fa sempre più sottile la differenza tra le allucinazioni causate dai farmaci e ciò che è reale, fino ad arrivare, nelle fasi finali del titolo, a vagare per un mondo che altro non è che un’insana mescolanza di entrambi gli universi. Malgrado i controversi temi trattati ed il setting estremamente alienante, il gioco vanta tra le tante critiche positive quella di Adam Smith scrittore per Rock, Paper, Shotgun, che descrive il titolo come intelligente e carico di un meraviglioso senso di speranza.

Con Franbow chiudiamo questa piccola rassegna di titoli videoludici, che fa del sogno la propria tematica principale.

Con la speranza che vi sia piaciuta, vi esortiamo a scriverci nei commenti se avete giocato alcune delle proposte scelte dalla redazione o se avete qualche altra perla che vi va di condividere.

 

Daniele Icelo Pezzolla

[#Games] Chiaccherata con la bestia, Creature Mitologiche nei Videogames

L’ordine naturale delle cose ci insegna che ogni creatura è il naturale predatore di un altro essere.

Entità create con il solo scopo di infliggere dolore e sofferenza ad altri. Ma, come spesso accade in altri frangenti, la scala evolutiva non è la più equa delle madri, rivelandosi decisamente più generosa con alcune sue creazioni a discapito di tutte le altre. Quando tali episodi d’ingiustizia prendono forma poco può fare l’uomo, se non inchinarsi a simili capolavori.

E dove, se non nella mitologia, possiamo trovare i migliori tra questi eccessi? Abbandonate qualsiasi cosa che ritenete possa esservi utile, durante questo viaggio nient’altro che i vostri occhi potranno servirvi.

Pronti a sfogliare le raccapriccianti pagine del mito videoludico con Nerd30?

“Il mondo stesso condivide il mio strazio, i suoi miserabili regni tremano davanti alla mia rabbia. Ma alla fine tutta Azeroth si spezzerà e brucerà sotto l’ombra delle mie ali” – Deathwing, World of Warcraft Cataclysm

L’ultima volta che ci siamo incontrati mi chiesi se vi avrei rivisto, ma ad un primo sguardo nulla tradisce un contagio riconducibile al nostro ultimo viaggio. Evitiamo il consueto teatrino per la scelta della divisa più adatta questa volta: una giacca da domatore poco potrebbe risolvere contro i miei squisiti ospiti. Con la preghiera di mantenere la calma dinanzi a loro, preparatevi ad oltrepassare il sottile velo che ci separa dal fantastico

Nome: Ogre Alpha

– Creatura di riferimento: Ogre  

– Serie d’origine: Dragon Age

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Flagelli di tutto il Thedas, gli Ogre Alpha sono temuti da tutti i fan di Dragon Age per la loro proverbiale resistenza unita ad una garguantesca forza fisica. Essi rappresentano l’elite tra i ranghi di fanteria dei prole oscura, capaci di mandare k.o. tutta la frontline del giocatore se non tenuti opportunamente a bada. Nati da Broodmother Qunari, compaiono per la prima volta nella serie durante la prima boss fight di Dragon Age: Origins sviluppato da Bioware nel 2009.

Nome: Mytha, la regina distruttiva

– Creatura di riferimento: Naga, mitologia induista

– Serie d’origine: Dark Souls

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Stando alla scarna lore, reperibile in tutta Drangleic, Mytha era una delle pretendenti al cuore di Vendrick. Tuttavia qualcosa corruppe il suo animo e con esso mutò il suo aspetto. Sovrana indiscussa della Valle del Raccolto, la rinata Regina Distruttiva torreggia sull’ignaro giocatore in un’area circondata da una letale pozza di veleno. La presenza di quest’ultimo elemento rende la boss fight tra le più frustranti se non si riesce ad arginare la presenza della venefica sostanza. Mytha compare per la prima volta in Dark Souls 2 sviluppato da From Software nel 2014.

Nome: Alecto

– Creatura di riferimento: Kraken, mitologia norrena

– Serie d’origine: God Of War

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God of War: Ascension rappresenta il primo titolo in ordine cronologico della fortunata serie God Of War. Il titolo, sviluppato da SCE Santa Monica Studio nel 2013, vede come principali antagoniste dell’ormai famosissimo Kratos le tre furie: Tisifone, Megera e Alecto. Proprio quest’ultima, durante lo scontro finale con il semidio, assumerà le sembianze di un gigantesco mostro marino. Tuttavia, malgrado la nuova forma dell’erinni, lo spartano riesce ad avere la meglio conficcando ciò che rimane della nave, terreno che fino a quel momento l’aveva sostenuto, nelle fauci spalancate di Alecto.     

Nome: Samael

-Creatura di riferimento: Demone, mitologia cristiana

-Serie d’origine: Darksiders

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Samael: uno dei pochi alleati del Cavaliere Guerra, protagonista del primo titolo della serie e nemico di Morte, protagonista del seguito di Darksiders, incarna alla perfezione il concetto di demone cristiano. Il prigioniero stringe un patto con il Cavaliere caduto garantendogli l’accesso presso il Trono Oscuro in cambio di quattro cuori. Una volta conclusa la cerca, il demone rivelerà a Guerra che i quattro organi non erano necessari per quanto richiesto, ma manterrà la sua parte dell’accordo garantendo al bellicoso Nephilim l’accesso al passaggio.  

Nome: Deathwing

-Creatura di riferimento: Drago, mitologia multiculturale

-Serie d’origine: World Of Warcraft

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Poteva mancare in un’apologia al mito un passo su i draghi? Ovviamente no… e chi meglio di Deathwing poteva coprire il ruolo di emissario dei draghi in una notte horror? Conosciuto in origine come Neltharion il guardiano della terra, Deathwing il distruttore  era uno dei 5 Dragoni e capo dei draghi neri. Secoli prima degli avvenimenti di Cataclysm, espansione di WoW in cui Deathwing fa la sua prima apparizione, Neltharion venne in contatto con i Titani di Azeroth, che potenziarono notevolmente le capacità del drago. Tuttavia a causa dell’influsso di ancestrali e potenti manifestazioni del Vuoto, note come Grandi Antichi, il guardiano della terra impazzì rivoltandosi contro i rimanenti dragoni.    

Dopo aver fatto conoscenza con Alamorte possiamo concludere anche questa discesa nell’immaginario collettivo e, prima che l’Ogre inizi a stuzzicare le mie vesti chiedendomi se siete la prossima pietanza della sua cena, vi suggerirei di lasciare queste stanze, magari evitando di correre, risulterebbe sgarbato.

Daniele Pezzolla