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“L’Imbarcadero”, perestrojka emotiva firmata da due autori cosentini

Guadare un corso d’acqua per ottenere udienza dal proprio passato, alla struggente ricerca di una risposta che emendi le colpe e che le esacerbi al tempo stesso. E’ questo il punto di partenza de “L’imbarcadero”, cortometraggio a firma di Marco Caputo e Davide Imbrogno. Un viaggio che ha come sfondo una Sila immota e magnifica, sublimata dall’occhio affamato di bellezza della regia. Hugo Race, volto del protagonista, si muove smarrito in una terra che sembra osservarlo, gestando placida le risposte di cui l’Australiano è in cerca. L’oggetto di tale affanno è un Padre che si trova “dall’altra parte”, in un non-luogo in cui i punti si ricongiungono diacronicamente e che l’uomo raggiungerà con l’ausilio dell’imbarcadero, chiara incarnazione del traghettatore Caronte. Il genitore fantasma, arroccato su una sponda che è fisica ma soprattutto emotiva, non nutrirà il figlio di giustificazioni leziose ,ma lo colpirà in pieno volto con una schietta apologia della fuga. Urlerà l’innegabile, salvifica necessità di voltare le spalle allo stillicidio di una vita che lo avrebbe annientato, sottolineando l’urgenza di non sacrificare la propria individualità. E, nell’acme di un dolore che culminando si quieta, la storia si conclude: il protagonista passa dall’essere cacciatore di risposte a semplice viaggiatore, aspettando un autobus per il mare che, gli assicura la presenza femminile di Anna Maria Malipiero, “Arriverà”. Un cortometraggio dalla regia luminosa, delicata, capace di restituire vividamente i protagonisti e il mondo in cui si muovono, ma appesantito da una sceneggiatura troppo insistentemente aforistica, troppo smaccatamente in cerca di una profondità che spesso non riesce a restituire, infiacchendo il messaggio. Buona l’interpretazione di Sperandeo, ma decisamente memorabile quella di Giovanni Turco, che seppure in una manciata di minuti dipinge con struggente intensità l’allegorica denuncia ad un’umanità marcescente. L’interpretazione del protagonista Hugo Race, forse gravata dal limite linguistico, risulta legnosa. Migliore il lavoro dell’attore e musicista australiano sulla colonna sonora, da lui firmata. Il film è stato presentato ieri sera al cinema Garden, preceduto da alcune performance di artisti locali. L’opera è stata coraggiosamente prodotta dall’imprenditore ed albergatore san giovannese Giuseppe Biafora, intervenuto a fine proiezione per sottolineare l’importanza di scommettere sull’arte ed il territorio.

 

Salvatore Perri