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Incidenti sul lavoro, un uomo perde la vita in un capannone industriale

MANGONE (CS) – Stava lavorando insieme ad altri colleghi in un capannone nella zona industriale di Piano Lago, frazione del comune di Mangone, quando si è accasciato al suolo forse colto da un malore. Un operaio di 71 anni di origini tedesche che da tempo viveva a Rogliano, paese della valle del Savuto, ha perso la vita questa mattina. Secondo quanto si è appreso sarebbe subito stato chiamato il 118 che però ha solo potuto constatare il decesso dell’uomo. Sul posto sono intervenuti i carabinieri che hanno avviato una serie di accertamenti che dovranno chiarire l’esatta dinamica dei fatti.

Incidenti sul lavoro, precipita da 5 metri. Morto un operaio

CIRO’ MARINA (KR) – Un operaio edile, Antonio Leto Russo, di 43 anni, è morto a Cirò Marina, in un incidente sul lavoro. L’uomo, per cause in corso di accertamento, ha perso l’equilibrio ed è precipitato da un altezza di circa cinque metri. Sul posto sono intervenuti gli operatori sanitari del 118 che hanno tentato invano di rianimare l’uomo. Sulle cause dell’ incidente hanno aperto un’inchiesta i carabinieri della compagnia di Cirò Marina e gli uomini dello Spisal, il servizio di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro dell’Azienda sanitaria provinciale di Crotone.

Deceduto l’operaio rimasto ferito sul lavoro dieci giorni fa

VIBO VALENTIA – Antonio Gaglioti, operaio 49enne rimasto ferito in un incidente sul lavoro dieci giorniAmbulanza - morte sul lavoro fa, non ce l’ha fatta ed è deceduto quest’oggi all’ospedale di Catanzaro. Lo scorso 3 dicembre, l’operaio era caduto a terra da un’impalcatura di alcuni metri d’altezza in uno stabilimento per la lavorazione del tonno a Maierato. Sin da subito, le sue condizioni erano apparse molto gravi e Gaglioti era stato trasportato d’urgenza al nosocomio, entrando in stato di coma. Nelle scorse ore, l’aggravarsi delle condizioni cliniche ha preceduto il decesso.

 

Drammatici dati sulle morti bianche

Mauro Rossato, Presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering dichiara, nella presentazione dell’ultima indagine sulle morti bianche in Italia relativa a tutto il 2014 elaborata sulla base di dati Inail: “Più di 1000 vittime del lavoro in un anno – 1.009 per la precisione (dati INAIL) –  sono un bilancio davvero drammatico per il nostro Paese. Questi sono i dati che abbiamo elaborato e con i quali ci confrontiamo quotidianamente da tempo. Un impegno che portiamo avanti dal 2009 nella speranza che i numeri dell’emergenza nel nostro Paese diventino uno strumento in più per indirizzare le politiche nazionali e regionali ad adottare provvedimenti maggiormente efficienti per la sicurezza dei lavoratori”.

Una mappatura dettagliata dove sono 263 gli infortuni mortali rilevati in itinere e 746 quelli verificatisi in occasione di lavoro con una flessione rispetto al 2013 (erano 775) del 3,7 per cento.
La Lombardia sempre in cima alla graduatoria regionale per numero di incidenti mortali (86 lavoratori deceduti), seguita dall’Emilia Romagna (72), dalla Puglia (68), dal Piemonte (66), dalla Sicilia(65), dalla Campania (58) e da Veneto e Lazio (56).  Un dramma che coinvolge tutta la Penisola e dove a morire sono anche le donne: 46 le lavoratrici che hanno perso la vita nel 2014. Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro, invece, sono stati 100.

Osservando, poi, l’incidenza della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa è ancora la Basilicata a far rilevare il dato peggiore con un indice pari a 94,4 contro una media di 33,2. Un rischio di mortalità triplo rispetto al resto del Paese e assai vicino a quello rilevato in Molise (90,5).
Analizzando i dati della classifica provinciale si scopre che il più elevato numero di vittime viene registrato a Roma (34): al secondo posto Torino (26), al terzo Bari (23). Seguono: Napoli (18), Salerno (17), Cuneo (16), Brescia e Milano (14), Lecce, Bolzano Palermo (13).

Il settore delle costruzioni quello maggiormente coinvolto dagli incidenti mortali (14,2 per cento dei casi e 106 vittime), seguito dalle attività manifatturiere (12,6 per cento e 94 infortuni mortali) e dai trasporti e magazzinaggi (9,9 per cento e 74 decessi).

Mentre l’incidenza più alta della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa a livello provinciale viene registrata ad Isernia (218,4) seguita da Enna (140,9).
Quasi un terzo delle vittime aveva un’età compresa tra i 45 e i 54 anni (243 lavoratori), il 25,5 per cento dai 55 ai 64 anni (190 lavoratori).
“Analizzando le modalità con cui si perviene all’infortunio mortale, è possibile rilevare spesso una grave carenza di cultura della sicurezza. Non è mai sufficiente ripetere che questo aspetto impatta non solo sulla sensibilità del lavoratore in merito ai rischi, ma anche e soprattutto sull’errata scelta delle modalità esecutive del lavoro (procedure) e, più in generale,  – spiega l’Ingegner Rossato – sulla non corretta progettazione del lavoro (per esempio, in merito alla scelta delle attrezzature adeguate, di idonei apprestamenti e di dispositivi di protezione), trascurando completamente la preventiva predisposizione di idonee misure necessarie a salvaguardare la sicurezza di chi opera”.

Per questo l’Osservatorio invita gli amministratori del Paese e tutti gli operatori della prevenzione degli infortuni sul lavoro ad investire sulla continua formazione dei lavoratori, a tutti i livelli aziendali senza trascurare lo studio delle modalità con le quali si giunge all’infortunio per aiutare i tecnici impegnati nella valutazione dei rischi e nella riduzione degli infortuni.

Tutti i dati sono disponibili sul sito www. vegaengineering.com

Nuovo programma strategico europeo, elaborato in base ai tragici dati statistici sulle morti bianche

CATANZARO – Il nuovo programma strategico europeo 2014-2020 per rendere l’Europa un luogo di lavoro più sicuro, più sano e più produttivo si compone di sei priorità: – prevedere i cambiamenti e i rischi nuovi ed emergenti attraverso attività di previsione; – raccogliere e divulgare le informazioni; – sviluppare strumenti per una buona gestione della SSL, come la valutazione interattiva dei rischi online (OiRA); – sensibilizzare attraverso le campagne Ambienti di lavoro sani e sicuri; – mettere in rete le conoscenze, soprattutto attraverso lo sviluppo dell’enciclopedia online OSHwiki; – creare reti e comunicazioni aziendali”.

Esso è stato concepito in base ai dati elaborati dall’ Eu-Osha, l’agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, che definiscono con drammaticità l’allarme sicurezza sul lavoro nel Vecchio Continente: ogni anno nell’Unione Europea muoiono 4000 persone sul posto di lavoro e ben oltre tre milioni rimangono vittime di un grave incidente. Il 25 % dei lavoratori dichiara che il proprio lavoro ha effetti negativi sulla propria salute. E intanto – oltre all’umana sofferenza delle vittime e delle loro famiglie – i costi per i lavoratori e per le aziende degli Stati Membri vengono stimati in circa il 3 % del Pil dell’Ue.

I dati sono tragici per l’Italia: secondo i più recenti dell’Eurostat – aggiornati a dicembre 2012 – tra il 2008 e il 2010 è stato rilevato il maggior numero di vittime, (718 nell’ultimo anno considerato, contro le 567 della Germania, le 550 della Francia, le 338 della Spagna e le 172 della Gran Bretagna). Situazione leggermente migliore per gli infortuni con Germania e Spagna, che precedono il nostro Paese, in valori assoluti.

Questa è la sintesi per quel che riguarda le statistiche ufficiali e che non comprendono le vittime spesso celate nel mercato del lavoro sommerso. Un’economia non trascurabile dal momento che vale ben 43,7 miliardi di euro. A tanto ammonta secondo le più recenti stime della Cgia di Mestre la sottrazione al Fisco perpetrata dai 3 milioni di lavoratori in nero presenti nel nostro Paese. Un esercito di maestranze che produce un Pil irregolare di 102,5 miliardi e pari al 6,5 per cento del Pil nazionale.

Si tratta di cifre elevatissime che oltre al danno economico raccontano l’impossibilità di garantire tutela e sicurezza ai lavoratori.

Ecco perché il programma dell’agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro rappresenta un’opportunità preziosa che l’Italia deve saper cogliere. Un invito alla sensibilizzazione che deve però essere inevitabilmente filtrato e rafforzato dalla voce e dagli appelli della nostra classe politica.

Intervento per morti bianche e crisi edilizia

Sono stati 45 i decessi registrati nei cantieri italiani nel primo semestre 2013, contro i 61 dei primi sei mesi del 2012 con una flessione del 27 per cento. Un decremento apparentemente virtuoso nel settore edile che induce a pensare ad un traguardo raggiunto sul fronte della sicurezza aziendale. Ma, negli aspetti positivi dell’inversione di tendenza della mortalità – in uno dei settori più pericolosi per i lavoratori – non si può non tener conto della profonda crisi che negli ultimi quattro anni ha colpito le Costruzioni. E che potrebbe aver contribuito al calo degli incidenti sul lavoro. Sono 11.200 le imprese edili fallite , e il 28-30% delle aziende non sono in condizioni di reggere un altro anno per mancanza di liquidità. Dati preoccupanti e drammatici per uno dei settori più strategici per l’economia del Paese. 

Ma la vera protagonista delle scene che precedono le disgrazie è la mancata predisposizione di sistemi di accesso e vincolo per effettuare i lavori in quota negli edifici e nelle strutture in genere. E’ quindi fondamentale investire sulle attività di prevenzione, tra cui la formazione dei lavoratori, ma non va trascurata l’importanza delle attività di controllo da parte di enti preposti in un settore in cui tra l’altro c’è anche un ulteriore problema, ovvero la diffusa irregolarità dei lavoratori. E purtroppo il binomio tra irregolarità e infortuni è sempre più presente nella cronaca contemporanea. Prestazioni d’opera retribuite pochissimo e senza alcuna attenzione per la tutela del lavoratore. Risultato: si sale sopra ai tetti non solo senza elmetti ma anche senza parapetti, né imbragature. Si sfida il pericolo, ma soprattutto la propria vita. E a pagare non sono solo le vittime e le loro famiglie, bensì anche gli imprenditori. Perché sebbene se ne parli poco, dietro ogni morte bianca c’è un risarcimento che non è ‘sempre e solo’ dovuto dagli enti previdenziali. Talora si trascinano cause per morti nei luoghi di lavoro che durano anni e che mettono in ginocchio i datori di lavoro per gli indennizzi dovuti. Perché dietro ad ogni morte bianca c’è il danno materiale, quello biologico, insieme a quello morale e patrimoniale.La giustizia d’altra parte è lenta e spesso disattende le speranze delle vittime sul fronte del risarcimento. Per questo sarebbe necessario un fronte dei controlli compatto ed efficiente. Introdurre sanzioni adeguate alla gravità dei comportamenti da cui scaturisce la tragedia.

Ancora troppi morti nel mondo del lavoro, la Calabria fra i più alti indici di mortalità

Dovrebbe essere uno dei mesi votato alle vacanze, ma così non sembra nella lettura delle morti sul lavoro. Perché anche a luglio, stando ai dati dell’Osservatorio Sicurezza Vega Engineering, la situazione è drammatica. Sono 45 infatti le vittime rilevate da Nord a Sud del Paese per un totale di 284 decessi registrati nei primi sette mesi del 2013. Con l’agricoltura sempre più, purtroppo, in primo piano e dove si conta oltre il 47 per cento delle vittime. Il 17 per cento nelle Costruzioni, il 7,7 per cento nel commercio ed attività artigianali.
La Lombardia al vertice dell’emergenza con il maggior numero di morti (37), seguita dall’Emilia Romagna (32), dalla Sicilia (22), dal Piemonte (20) e da Veneto e Liguria (18). Intanto l’indice di rischio di mortalità più alto rispetto alla popolazione lavorativa viene rilevato in Abruzzo (31,5 contro una media nazionale di 12,4), seconda la Liguria (28,5 ) e terza la Calabria (24,7).Tra le cause principali di morte emergono quelle dovute al ribaltamento di un veicolo/mezzo in movimento (28,5 per cento dei casi), alla caduta dall’alto (21,5 per cento) e allo schiacciamento dovuto alla caduta di oggetti pesanti (19 per cento dei casi). “Rispetto al 2010, invece – precisa il Presidente dell’Osservatorio Vega Engineering – il numero di vittime è addirittura aumentato. Nei primi sette mesi di tre anni fa, infatti, i decessi erano 280. E questo è un dato allarmante considerando il calo occupazionale e la crisi”.Altro dato sconfortante poi giunge dal mondo del lavoro femminile. Perché sono già 14 le donne che hanno perso la vita al lavoro. In tutto il 2012 erano decedute 9 lavoratrici.
La fascia d’età più coinvolta nell’emergenza morti bianche nel primo semestre 2013 continua ad essere quella degli ultrasessantacinquenni. Sempre gli ‘over 65’ quella a maggior rischio di mortalità considerando la popolazione lavorativa. Preme diffondere la cultura della sicurezza tramite una diffusa sensibilizzazione.

 

 

28 aprile giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro

“I dati delle morti sul lavoro degli ultimi tre anni in Italia sono tragici. Serve una maggiore sensibilizzazione dei datori di lavoro sul fronte della prevenzione e delle formazione”.

Intervento di Mauro Rossato, Presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering

Il 28 Aprile è diventato da anni un giorno importante che unisce i lavoratori di tutto il pianeta. Dagli Stati Uniti all’Africa, dall’Europa all’Asia. Perché tutti celebreranno la Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro. E per chi opera attivamente su questo fronte, si tratta di un’ulteriore preziosa occasione per riflettere e per far riflettere.

Cominciando con i dati delle morti sul lavoro che sono i più precisi punti di riferimento per la narrazione di un’emergenza che, nel nostro Paese, sembra essere ancora distante dall’essere risolta.

Negli ultimi tre anni – dal 2010 al 2012 – sono state 1588 le vittime del lavoro; in un dramma che va da Nord a Sud del Paese. Per la precisione sono state 509 le vittime del lavoro nel 2012, 553 nel 2011 e 526 nel 2010.

Nell’ultimo anno il decremento è stato pari all’8 per cento. Ma si tratta di una flessione apparente che deve necessariamente fare i conti con la diminuzione dell’occupazione e con l’incremento della cassa integrazione.

Intanto i settori maggiormente colpiti e le cause che conducono al decesso i lavoratori sono sempre tragicamente le stesse: agricoltura e costruzioni in primo piano. Caduta dall’alto e ribaltamento di un veicolo o mezzo in movimento le situazioni più rischiose.

In tre anni nel settore agricolo hanno perso la vita 580 lavoratori pari al 36,5 per cento del totale (179 nel 2012, 219 nel 2011, 182 nel 2010).

Mentre in edilizia la diminuzione costante dei casi di morte – dai 148 del 2010 ai 122 del 2011 ai 120 del 2012 – non può che far pensare alla crisi del settore: meno cantieri aperti, quindi anche meno vittime.

Risultato: in tre anni il 24,6 per cento delle morti sul lavoro è stato registrato proprio in edilizia. E la medesima considerazione può essere fatta nell’andamento del numero di decessi per caduta dall’alto rilevati soprattutto nelle costruzioni. Erano 146 nel 2010, sono passati a 135 nel 2011 per arrivare a 125 nel 2012. Nel triennio è deceduto per caduta dall’alto il 25,6 per cento dei lavoratori. I dati rimangono inquietanti nonostante le riduzioni in termini numerici e sconfortano ancor più perché nelle nostre elaborazioni, in base alle informazioni disponibili, il lavoratore non aveva indossato dispositivi di protezione individuale adeguati.

Il trattore invece è il mezzo killer per eccellenza quando si parla di morte dovuta al ribaltamento di un veicolo in movimento. In molti casi si tratta di macchine agricole piuttosto datate e non a norma. La percentuale di morti sul lavoro per il ribaltamento di un mezzo o veicolo in movimento tra il 2010 e il 2012 è stata del 20 per cento.

Nella narrazione geografica dell’emergenza, poi, si scopre una piaga senza confini. Perché se l’area in cui l’incidenza della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa nell’arco del triennio è stata più elevata nel Sud del Paese (indice pari a 26,9 contro una media nazionale di 23,1), il risultato peggiore nella graduatoria regionale del ‘rischio’ spetta all’Abruzzo (48,4), seguito dal Trentino Alto Adige (48,1) e dalla Valle D’Aosta (46,9).

Gli indici di incidenza dovrebbero indirizzare le politiche nazionali e regionali ad adottare ulteriori provvedimenti soprattutto nelle zone che presentano valori elevati. Numericamente il maggior numero di vittime dal 2010 al 2012 viene registrato in Lombardia (215 morti bianche), seguita dall’Emilia Romagna (144) e dal Veneto (142). Mentre sul fronte provinciale la maglia nera per numero di decessi spetta a Brescia con 54 incidenti mortali, seguita da Roma (46), Bolzano (44), Torino (35) e Milano (33).

Le province con l’indice di mortalità più alto rispetto alla popolazione lavorativa sono: Benevento, che fornisce il dato più sconfortante (81,4); Belluno (75,7); Nuoro (69,7); Chieti (69,5) e Bolzano (61).


La poca esperienza e la precarietà, che costringe i giovani lavoratori a cambiare spesso occupazione senza venire adeguatamente formati e informati sui rischi connessi, sono elementi che contribuiscono a produrre condizioni gravose per la salute e per la sicurezza di ragazzi e ragazze.Mentre è il popolo dai capelli grigi ad avere la peggio; perché l’indice di incidenza più elevato in rapporto agli occupati, vale a dire la fascia d’età più coinvolta dal dramma è quella degli ultrasessantacinquenni (indice pari a 284,7 – ovvero 2,9 casi di infortunio mortale ogni diecimila occupati). In termini numerici invece è la fascia che va dai 45 ai 54 anni quella più colpita con 375 vittime in tre anni. Tragico anche il bilancio delle morti tra i giovani: 69 i decessi rilevati nel triennio tra i 15 e 24 anni.

Una spiegazione alla morte che potrebbe essere adattata anche alle vittime straniere del lavoro e pari all’11,9 del totale dei decessi sul lavoro tra il 2010 e il 2012. Romeni, albanesi e marocchini i lavoratori più colpiti.

Sono infine 44 le donne che hanno perso la vita nel nostro Paese nel periodo di tempo considerato dall’Osservatorio Vega Engineering, pari al 2,8 per cento del totale.

Questo lo sconfortante riepilogo di un triennio che ha visto quasi 1600 vite spezzate sul lavoro. L’unico auspicio è che il prossimo Governo adotti, sin da subito, azioni concrete e diverse dai suoi predecessori come quella di prevedere la detassazione degli utili sui costi sostenuti dalle aziende in materia di sicurezza come dovrebbe fare ogni paese civile in cui si muore troppo per lavoro. Tali incentivi costituirebbero sì un costo per lo Stato, ma comunque si tratterebbe di un investimento minore rispetto ai costi che la collettività sostiene a causa delle morti bianche.