Il ciclista Pino Faraca sulla “parete dei campioni” di Cosenza

COSENZA – Quel ragazzo ritratto da Giacomo e Francesco è uno dei simboli della città di Cosenza. I due gli hanno dedicato 76 m² di colori sul muro dello spiazzo che precede l’inizio del ponte Pietro Mancini. Un murales «per ricordare l’uomo, l’artista e l’atleta che è stato mio padre», racconta Francesco, figlio del compianto ciclista Cosentino Pino Faraca scomparso nel 2016, «un esempio per tutti i Cosentini che è legato anche al periodo. Tutti noi abbiamo avuto la nostra giovinezza negli anni ‘80-’90 legando la nostra vita anche alla figura di questi campioni della città di Cosenza. Non può morire nella nostra mente e nel nostro cuore un campione come Pino Faraca. Oggi lo vogliamo ricordare con questo murales su questa parete dei campioni della storia di Cosenza, accanto ad un altro dei nostri campioni; non sono solo campioni dello sport, ma campioni nella vita, campioni di correttezza e umanità», dice il primo cittadino Mario Occhiuto. Un’idea partorita due anni fa, «pochi giorni dopo la scomparsa di mio fratello. Un nostro concittadino, attraverso una pagina Facebook, ha espresso il desiderio di veder realizzato un murales in ricordo di Pino sulla “parete dei campioni” accanto a quello dedicato a Gigi Marulla. Quando ho visto che molta gente appoggiava la richiesta ho capito che, oltre alla famiglia, era l’intera città a volerlo ricordare. Da qui, essendo stato il suo primo allievo, ed essendo rimasto piacevolmente imprigionato in quel meraviglioso mondo che lui mi aveva regalato durante la mia adolescenza, ho capito che dovevo essere io a calarmi in questa fantastica avventura», mi racconta Giacomo. Un lungo lavoro fatto di prove: «Ho realizzato bozze e disegni partendo da un semplicissimo foglio A4, passando poi a cartelloni 70X100 fino ad arrivare ad un disegno di 76 m². Avevo le idee dei due personaggi che hanno contraddistinto la sua persona: il ciclista e il pittore. Di tutti e due ho conosciuto ogni piccolo segreto. Successivamente ho lavorato alla pulitura del muro impiegando quasi una settimana affinché il muro risultasse liscio e idoneo alla realizzazione del murales; infine la realizzazione del dipinto è durata circa 10 giorni, qui la piacevole sorpresa: mio nipote Francesco ha voluto dare il suo contributo aiutandomi nelle rifiniture del disegno, ed è stata una bellissima esperienza. Molti scambi di idee tra di noi mi hanno portato indietro nel tempo a quando io, allievo di Pino, mi confrontato con lui. Nei momenti di pausa pensavo e ripensavo, poi ho aperto la mente e ho fatto un tuffo nel passato. Come Pino mi ha insegnato ho dipinto le mie emozioni. Il dipinto prende vita e ci regala il ciclista che è stato, che è tuttora e sarà sempre. La sua firma sul quadro a voler esaudire il mio desiderio di vederlo ancora dipingere. Il messaggio è chiaro: una città senza passato non ha identità e di conseguenza non può avere futuro. Ripartiamo da qui, dall’esempio di Pino Faraca, il grande ciclista-pittore testimone di una Cosenza città europea dello sport».Chi, se non Francesco, può raccontare il murales, quei tratti che parlano, raccontano una storia di passione e di lavoro, «l’immagine di mio padre ricostruita nell’arco degli anni della su vita. Il pittore che dipinge il ciclista. Racchiude tutto quello che è riuscito a realizzare: le vittorie, la maglia bianca, ma anche la sua arte e i suoi quadri». Quel ragazzo ha vissuto appieno una passione bruciante, sempre accompagnato da papà Francesco, suo allenatore e primo fan. La squadra “Fausto Coppi”, fondata da papà Francesco e Vincenzo Le Donne, di cui Pino rappresentava la punta di diamante, la maglia bianca riservata al miglior ciclista esordiente al Giro d’Italia, il brutto incidente che lo ha costretto ad abbandonare l’attività agonistica; poi la passione per l’arte e la galleria nel centro storico in cui dipingeva le sue amate bici. La bicicletta l’aveva tatuata nel cuore e nell’anima: viveva nei suoi dipinti, ne aveva fatto una passione inesauribile e un lavoro attraverso l’attività commerciale che ora viene portata avanti dalla moglie e dai figli Andrea e Francesco; un lavoro che ha lasciato spazio agli insegnamenti ora vivi nei ricordi che il figlio Francesco mi racconta con la voce rotta dall’emozione: «ricordo quando mi chiedeva di andare in negozio per riparare le biciclette, ora quando le riparo penso a lui, alla passione che metteva, e questa cosa accompagna anche me». Toccanti i ricordi del fratello Giacomo: «di mio fratello come sportivo ricordo l’attesa sulle montagne con mio padre Francesco durante le sue corse. Il suono delle sirene delle moto che man mano si avvicinavano, poi d’incanto la sua figura sulla bici sempre in fuga solitario. Nessuno sforzo apparente sul suo viso e il suo stile inimitabile. Il mio cuore impazziva di gioia. Come fratello ricordo che mi teneva sulle sue ginocchia insegnandomi a disegnare, i suoi consigli non li ho mai dimenticati. E poi i suoi baci. Ogni volta che ci incontravamo veniva a baciarmi, se mi incontrava tre volte al giorno, mi baciava tre volte al giorno. Un esempio». Un uomo di testa e di cuore. Passione e sacrificio. Con le ali ai piedi ha macinato chilometri lasciando alle sue spalle la polvere. Per arrivare sempre più su, fino a toccare le stelle.

 

 

 

 

 

 

 

Rita Pellicori

Ph. Lorena Castellano

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