Francesco Cilea, compositore e talento musicale precoce.

Nacque a Palmi (Reggio Calabria) il 23 luglio 1866 da Giuseppe, apprezzato civilista e dilettante di musica, e da Felicita Grillo. A soli sette anni fu inviato a Napoli per compiervi la sua educazione ed entrò in un convitto privato dove avrebbe dovuto essere poi avviato agli studi di diritto. Fu tuttavia attratto dalla musica e non tardò a rivelare una innata musicalità oltre che straordinarie doti di improvvisazione tanto che, dopo essere stato presentato per un giudizio a Francesco Florimo, allora bibliotecario del conservatorio di S. Pietro a Maiella, fu da questo esortato a dedicarsi interamente alla musica. Superata l’iniziale opposizione dei genitori che avrebbero preferito tenerlo lontano da una carriera giudicata troppo lontana dalle tradizioni della famiglia, nel novembre 1878 entrò come convittore a pagamento nel conservatorio napoletano avendo quali maestri Beniamino Cesi e Paolo Serrao. Condiscepolo di Umberto Giordano, si distinse immediatamente tra gli allievi più dotati e diligenti e nel termine di pochi anni, grazie ai progressi compiuti, si guadagnò la stima degli insegnanti tanto da essere nominato “maestrino” della classe di contrappunto, incarico che gli consentì di mettere in luce quelle qualità organizzative e didattiche che lo avrebbero in seguito condotto alla direzione del conservatorio napoletano. Diplomatosi nel 1889, presentando per il saggio finale un’opera in tre atti su libretto di E. Golisciani dal titolo Gina, diede chiara prova del suo talento drammatico rivelando certi tratti stilistici ricorrenti nella parabola evolutiva della sua produzione teatrale. Il lavoro, da lui stesso diretto e concertato il 9 febbraio 1889 nel teatrino del conservatorio, fu accolto favorevolmente dal pubblico e riportò un lusinghiero successo da parte della critica rappresentata per l’occasione da Roberto Bracco che in un suo articolo sul Corriere di Napoli del 13-14 febbraio preconizzò per il giovane compositore un brillante avvenire. Conseguito il diploma nel conservatorio in cui, attraverso un decennale e severo tirocinio, aveva maturato la sua personalità musicale, vi fu immediatamente chiamato con l’incarico di professore straordinario. L’impegno assunto presso la gloriosa istituzione, ove rimase fino al 1892, non gli impedì di dedicarsi alla composizione e di dare libero sfogo alla sua vocazione teatrale. Volle cimentarsi in una nuova opera e l’occasione si offrì allorché, presentato all’editore Edoardo Sonzogno da Paolo Serrao, gli venne affidato un libretto da musicare, La Tilda, di Angelo Zanardini. La vicenda, ricca di situazioni drammatiche di ambientazione tipicamente verista poco si adattava alle aspirazioni romantico-decadenti del giovane compositore che tuttavia, preparandosi al lavoro e stimolato anche dalla fiducia in lui riposta dal celebre editore, lo portò a termine in breve tempo. L’opera, diretta da Rodolfo Ferrari, andò in scena il 7 aprile 1892 al teatro Pagliano di Firenze e in altre città fra le quali Palmi e al Teatro dell’Esposizione di Vienna riportando un ottimo successo di pubblico e critica. Tuttavia, nonostante il successo di pubblico e i riconoscimenti della critica, un profondo senso di auto critica e la consapevolezza di aver affrontato un genere di teatro musicale troppo lontano dalla propria sensibilità, indussero Cilea a ritirare lo spartito contro il parere dello stesso editore che tuttavia continuò a sostenerlo e a credere nelle sue possibilità creative. Lasciato l’insegnamento nel conservatorio napoletano per dedicarsi completamente alla composizione trovò nell’Arlesiana di A. Daudet il soggetto che andava cercando. Affidata la stesura in versi a Leopoldo Aiwenco si accinse alla composizione dell’opera che, iniziata nel 1896 e portata a termine nel 1897, fu rappresentata al Lirico di Milano il 27 novembre dello stesso anno. Accolta con esito lusinghiero l’opera subì poi vari rimaneggiamenti  e Cilea fu costretto suo malgrado ad impegnarsi in una nuova stesura dell’opera che, rinnovata in tre atti, fu rappresentata con miglior fortuna, ma senza il previsto successo, ancora al Lirico di Milano il 22 ottobre 1898. In una nuova versione con varie aggiunte l’opera fu poi ripresentata con esito favorevole il 28 marzo 1912 al teatro S. Carlo di Napoli e approdò infine alla Scala di Milano ove l’11 aprile 1936 riportò un vero trionfo grazie anche alla partecipazione di interpreti di altissimo livello come M. Carosio, G. Pederzini, T. Schipa e M. Basiola. Frattanto nel 1896, quale vincitore della cattedra di armonia nell’istituto musicale di Firenze, Cilea aveva ripreso l’insegnamento senza tuttavia trascurare la composizione cui, dopo le amarezze seguite alle disavventure dell’Arlesiana, destinata ad essere per molto tempo incompresa, tornò a dedicarsi con rinnovato entusiasmo. L’occasione gli fu ancora una volta offerta dal Sonzogno che gli propose di musicare l’Adriana Lecouvreur un’opera in quattro atti su libretto di Arturo Colautti ambientata nel Settecento francese e basata su una pièce di Eugène Scribe. L’opera, diretta da C. Campanini, fu rappresentata con grande successo al Lirico di Milano il 6 novembre 1902 con una eccezionale compagnia di canto formata da E. Caruso, A. Pandolfini, G. De Luca, E. Ghibaudo, iniziando da quel momento il suo trionfale cammino nei maggiori teatri del mondo e rivelandosi indiscutibilmente come il suo lavoro teatrale più riuscito dopo una prima clamorosa affermazione internazionale sulle scene del teatro dell’Opera di Buenos Aires. L’opera tra il 1903 e il 1906 apparve tra l’altro al Covent Garden di Londra, al teatro Imperiale di Odessa, al teatro dell’Opera dì San Francisco, al teatro Sarah Bernhardt di Parigi, a Pietroburgo e poi nel 1935, in una edizione in lingua francese, fu presentata al Grand Théâtre di Bordeaux. L’ultima opera di Cilea, rappresentata al Teatro alla Scala di Milano la sera del 15 aprile 1907 sotto la direzione di Arturo Toscanini, è la tragedia in tre atti Gloria, ancora su libretto di Colautti, basata su una pièce di Victorien Sardou. Quest’opera mostra il notevole aggiornamento compositivo di Cilea rispetto ai suoi contemporanei ma fu proprio questo lato di per sé interessante e notevole a rendere l’opera difficile per il pubblico. Nonostante il suo grande valore e una buona serie di successi nel complesso il risultato totale poté definirsi un insuccesso. L’insuccesso di quest’opera fu tale da spingerlo ad abbandonare definitivamente il teatro d’opera. Il compositore calabrese continuò invece a comporre musica da camera, vocale e strumentale e musica sinfonica. Al 1913 risale un poema sinfonico in onore di Giuseppe Verdi su versi di Sem Benelli, eseguito al Teatro Carlo Felice di Genova. Cilea morì il 20 novembre 1950 a Varazze, comune ligure che gli offrì cittadinanza onoraria e nella quale trascorse gli ultimi anni della sua vita.

 

CURIOSITÀ

• Dopo l’insucesso della tragedia Gloria e il successivo ritiro dalle scene teatrali, non mancano però notizie di alcuni progetti operistici successivi di cui sopravvivono parti o abbozzi di libretto come Il ritorno dell’amore di Renato Simoni, Malena di Ettore Moschino e La Rosa di Pompei ancora di Moschino (datato Napoli, 20 maggio 1924). Alcune fonti accennano anche ad un’opera del 1909, completata e mai rappresentata, intitolata Il Matrimonio Selvaggio della quale non esiste tuttavia alcun riscontro e di cui lo stesso Cilea non fa cenno nei suoi quaderni di “Ricordi”.

• Alla memoria di Francesco Cilea sono stati intitolati il conservatorio ed il teatro di Reggio Calabria, mentre il suo paese natale, Palmi, gli ha eretto un Mausoleo oltre ad una via del centro storico cittadino.

 

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