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Si è spenta Giusy Verbaro, nota poetessa catanzarese

Giusy VerbaroSi è spenta ieri, 27 agosto, probabilmente a causa di un infarto, Giusy Verbaro, nota poetessa catanzarese. In passato aveva  ricevuto il premio alla cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel 1985 per la poesia e nel 2002 per la saggistica. Lavorava come insegnante, ormai da anni, a Cosenza, ma è deceduta nella sua casa di Soverato. Nota per la sua intensa attività culturale dagli anni settanta ad oggi, in merito alla sua scomparsa sono pervenuti diversi  messaggi.

Nicola Ventura:

La cara amica Giusi Verbaro ci ha, improvvisamente lasciato. Con costernazione apprendo della grave perdita della poetessa ed intellettuale catanzarese conosciuta ovunque in Italia. Giusi è stata una donna dinamica, direi anche travolgente, per le numerose attività svolte. Catanzaro perde una persona di qualità, che è stata sempre, amandola, legata alla città. Sarà certamente e adeguatamente onorata dalle istituzioni cittadine e per prima dal Comune. Giusi è stata donna anche impegnata nel sociale e nel mondo dei progressisti. Ora sarà  giusto raccogliere le sue opere e offrirle per sempre  alla conoscenza della città e della Calabria.
La saluto, con tutto il dispiacere del momento, riportando un verso estrapolato da una sua poesia compresa nella raccolta L’isola:
“ Le esistenze che abbiamo condiviso
e le voci che chiamano, ora tenere
ora alterate in moniti sommessi, è questo
che ci chiedono: che ogni cosa
ritorni alla sua foce
e tra la morte e il sonno
la parola sia viaggio, sia ritorno.

Wanda Ferro:

Ho appreso con profondo dolore della improvvisa scomparsa della poetessa Giusy Verbaro, una donna che con la sua opera ed il suo impegno è stata una grande protagonista della vita culturale calabrese e non solo. Conosciuta in tutta Italia per la qualità della sua opera poetica e critica, promotrice di numerosi premi di poesia e vincitrice di molte rassegne prestigiose tra cui il premio Camaiore, Giusy Verbaro è sempre stata legatissima a Catanzaro, città alla quale ha dedicato grande parte del suo impegno culturale. La sua scomparsa rappresenta una perdita gravissima per la cultura italiana. Rivolgo ai suoi cari la mia più affettuosa vicinanza”.

L.Giannini

Renato Dulbecco, Nobel per la medicina 1975

Biologo italiano, nasce a Catanzaro nel 1914. Laureatosi in medicina, a soli 22 anni, presso l’Università di Torino, nel 1936 parte per il servizio militare in qualità di ufficiale medico fino al 1938. Nel 1939 é richiamato e inviato prima sul fronte francese e quindi in Russia, dove rischia di morire nel 1942. Rimandato in Italia, nel 1943 si unisce alle unità partigiane della Resistenza, sempre come medico. Successivamente, inizia l’attività di ricerca – lavorando presso l’istituto di anatomia gestito dall’istologo Giuseppe Levi e venendo in contatto con la neurobiologa Rita Levi Montalcini; contemporaneamente si iscrive alla facoltà di Fisica, che frequenta dal 1945 al 1947. Nel 1947 emigra negli USA: qui frequenta l’università di Bloomington, Indiana, e collabora con il medico Salvatore Edoardo Luria; in quel periodo studia le trasformazioni indotte dalle radiazioni nel DNA dei fagi. Le sue ricerche attirano l’attenzione di Max Ludwig Delbruck, che nel 1949 lo porta al California Institute of Technology. Nell’istituto californiano, Dulbecco scopre ed isola il virus mutante della poliomielite: questa sua scoperta sarà utile a Sabin per la preparazione del vaccino. Nel 1958 sposta l’attenzione sui virus tumorali, e comprende il meccanismo di interazione tra i DNA della cellula ospite e del virus, meccanismo per cui la cellula incorpora il DNA virale rendendo la modificazione tumorale ereditaria. Il suo lavoro chiarisce numerosi aspetti delle interazioni dei virus, in particolare dell’SV40. Nel 1962, Dulbecco si sposta al Salk Institute di La Jolla, California: qui lavora con il biologo molecolare statunitense David Baltimore. Nel 1972 si trasferisce all’Imperial Cancer Research Fund Laboratories di Londra, per approfondire gli studi sulle forme di cancro dell’uomo indotte da virus. Ritorna, poi, negli USA e, successivamente, in Italia. Nel 1975 – per le sue ricerche sulle interazioni tra virus e cellule animali e sul ruolo dei virus oncogeni – gli viene conferito il premio Nobel per la fisiologia o la medicina, che condivide con Baltimore e con il virologo Howard M. Temin. Oltre al premio Nobel, Dulbecco è stato insignito della laurea honoris causa in Scienze dall’Università Yale, era membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana e membro straniero della Royal Society inglese. Dal 1986 è impegnato al Progetto Genoma Umano; tale progetto mira a raggiungere la conoscenza completa dei nostri geni e dei geni animali mediante la comprensione del messaggio contenuto nella molecola di DNA. Nel 1993 rientra in Italia: da allora lavora presso l’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR di Milano, guida la Commissione Oncologica Nazionale e ricopre l’incarico di presidente emerito del Salk Institute. Nel 1999 presenta il quarantanovesimo Festival di Sanremo insieme a Fabio Fazio e Laetitia Casta. Nel dicembre 2000 viene cooptato nel Consiglio di Beneficenza della Fondazione Cariplo insieme al collega premio Nobel Carlo Rubbia. Muore nel 2012 a La Jolla, località nei pressi di San Diego dove risiedeva da anni, colpito da un infarto due giorni prima del suo 98esimo compleanno.

 

 

Domenico Vigliarolo: l’orologio a sole e l’immeritato oblio.

Semisconosciuto al grande pubblico, fu cosmografo e cartografo della casa reale di Siviglia nel XVII sec. Fu un nobile calabrese, nato nel 1540 a Stilo, la città che proprio in quegli anni dava i natali al grande filosofo domenicano Tommaso Campanella. Vigliarolo, appassionato studioso di geografia, ebbe la singolare fortuna di vincere un concorso bandito dal trono di Spagna, sotto il cui governo era assoggettata la Calabria, per l’invenzione e la costruzione di uno strumento che consentisse di misurare  la longitudine in mare, l’orologio a sole. Da allora il nostro studioso si trasferì a Madrid dove divenne il cartografo della corte del Re. Forte di questo suo ruolo, Vigliarolo, che intanto aveva mutato il suo nome in Villaroel, occuperà il resto della sua vita disegnando delle mappe nautiche del mondo allora conosciuto di impressionante precisione. Alla Corte di Madrid, Vigliarolo occupò l’ufficio di Primo pilota maggiore, che prima era stato di Amerigo Vespucci. Le fonti riportano come prime opere realizzate, nel 1577, un Atlante membranaceo del Mediterraneo, delle coste Atlantiche e una Carta nautica a colori su pergamena. La parte biografica di maggior interesse è quella relativa al periodo spagnolo (1582-1596), durante il quale egli rivestì l’importante incarico di Cosmografo della Casa de Contrataciòn (l’istituzione delegata al controllo della via delle Americhe).

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Salvatore Antonio Guaragna, America, Calabria e That’s Amore.

Passato alla storia come Harry Warren, signore del musical americano, nasce a Brooklyn nel 1893 da Antonio e Rachele, una coppia di immigrati calabresi di Cassano allo Ionio, approdata alla fine del secolo in America.  Il piccolo Salvatore frequentò con profitto la scuola, evidenziando un precocissimo talento per gli strumenti musicali e deliziando i suoi compagni e i suoi insegnanti con la batteria, la fisarmonica e il pianoforte. Questo, tuttavia, non bastò a far proseguire la sua strada in modo agevole: era emigrato, era italiano, voleva fare il musicista. La sorella maggiore, intuendone il potenziale artistico, lo incoraggiò sulla strada della musica e, perché il fratello mimetizzasse la sua origine italiana al fine di vedersi aperta più facilmente la porta del successo, gli suggerì di cambiare il nome, adattandolo in quello, più familiare agli anglosassoni, di Harry Warren. Imparò a studiare la musica, frequentando il coro nella chiesa del suo quartiere italiano, e a sedici anni decise di terminare il suo impegno scolastico per aggregarsi a un circo con l’incarico di tamburino. Nel 1915 si avvicinò al cinema, ottenendo un ingaggio dalla Vitagraph Movie Studio di New York. Suonò per la diva del cinema muto Corinna Griffith, ritagliandosi fin dal primo momento un suo proprio spazio nell’ambito della musica melodica, e cominciando a far intravedere quella sensibilità, che lo avrebbe fatto affermare come uno dei grandi innovatori della musica popolare americana alla stregua dei grandi Jerome Kern, George Gershwin e Cole Porter. Nel dicembre 1917, mentre era ancora in servizio nella Marina Militare a Montark Point, New York, sposò Josephine V. Wensler da cui, a metà del 1919, ebbe il figlio Harry Jr., poi deceduto il 1940 a soli diciannove anni. Nel 1922 arrivò il suo primo vero successo di giovane autore: il suo pezzo Rosa del Rio Grande, eseguita da Edgar Lesile, divenne una vera e propria hit e lanciò Warren tra i protagonisti della musica dell’epoca. I suoi brani incontrarono subito il favore del grande pubblico, e due sue composizioni guadagnarono il primo posto nella hit parade nel 1923: Home in Pasadena e So This is Venice divennero pezzi culto dell’epoca. Il successo si confermò tre anni dopo con dieci brani pubblicati nel solo 1925, di cui ben cinque scalarono la vetta della classifica. L’anno successivo altre due canzoni scalarono l’hit parade americana e il 1928 il brano Nagasaki gli assicurò un vero e proprio trionfo mondiale. Dal 1929 al 1932 tenne l’incarico di amministratore della Società Americana dei Compositori, Autori e Pubblicitari (ASCAP). Nel 1931 si dedica anche ai musical di Brodway. Tra il 1932, anno in cui scrisse, vincendo l’Academy Award, la colonna sonora del film 42nd Street, da cui derivò un musical di successo, e il 1939 egli scrisse 149 musiche per film, tra cui September in the Rain con Gene Kelly, interpretate poi dai più grandi cantanti non solo dell’epoca, e comparve interpretando se stesso nel film citato e in Go into your Dance. Il 1935 si assicura il primo Oscar con Lullaby of Brodway del film Gold Diggers of 1935 con Dick Powell.Il 1940 alla Twentieth Century Fox Studios cominciò a collaborare con Glen Miller, Shirley Temple, Carmen Miranda, Harry James, scrivendo, in tre anni settanta brani musicali di grande successo e interpretati dagli artisti più famosi. Per Miller scrisse Chattanooga choo choo, divenuta subito celebre in tutto il mondo e premiata con il primo disco d’oro della musica leggera per aver venduto più di un milione di copie. Nel 1943, con You Never Know si aggiudicò un altro disco d’oro e il secondo premio Oscar. Scrisse, negli anni successivi, ancora musica per film, vincendo il terzo Oscar con la canzone On The Atchion, Topek And The Santa Fe cantata nel film Harvey Girls (1946), di cui era protagonista Judy Garland, e lavorando con Ginger Rogers, Fred Astaire, Bing Crosby, Jerry Lewis, Gene Kelly, Esther Williams, Dean Martin e con altri grandi del musical fino all’età di ottantasei anni ( Manhattan Melody, 1980), anche se ormai il suo stile musicale non incontrava più il favore delle giovani generazioni affascinate dal rock. Muore a Los Angeles il 22 settembre 1981.

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Leontius Pilatus, erudito calabrese. Allievo di Bàrlaam, collaboratore di Petrarca, maestro di Boccaccio.

Nato a Seminara (RC) intorno al 1300, Leonzio Pilato, è stato uno dei più eminenti eruditi calabresi. Pieno di ardore e di ammirazione per la cultura greca, era solito definirsi “Tessalo come il grande Achille”.

Fu discepolo del grande monaco Bàrlaam di Calabria da cui apprese la cultura greca e la passione per i viaggi, passione che lo indusse ad essere ospite in diversi corti importanti come Napoli, Firenze, Siena e Venezia. Nel 1358 Leonzio, per motivi di studio, si recò a Padova dove fu presentato a Petrarca, che cercava un traduttore delle opere di Omero. Il monaco calabrese cominciò dunque a tradurre i primi cinque libri dell’Iliade, ma interruppe il lavoro per rendere omaggio al suo maestro, morto di peste ad Avignone. Successivamente, Petrarca ospitò Leonzio a Firenze nel 1360 consentendogli di ottenere la prima cattedra di greco in Italia. Qui Pilato, su richiesta di Boccaccio, il suo allievo prediletto, tradusse in latino l’Iliade e l’Odissea, rendendo così accessibili agli umanisti italiani le opere di Omero.

Recatosi a Costantinopoli, probabilmente nell’estate del 1363, con l’intento tra l’altro di raccogliere manoscritti greci, morì per naufragio nel viaggio di ritorno nell’estate del 1365/66.

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Costantino Mortati, uno dei padri fondatori della Costituente.

Nato a Corigliano Calabro il 27 dicembre 1891, proveniva dalla comunità arbërëshë di Civita in Calabria.

Studiò prima a San Demetrio Corone, dove conseguì il diploma di maturità classica, e poi a Catania. Nel 1914 si laureò in Giurisprudenza a Roma. Nel 1917 si laureò, sempre a Roma, in Filosofia. Allievo di Sergio Panunzio, dal 1936 insegnò Diritto costituzionale all’Università di Messina. Successivamente fu professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Macerata, di cui fu anche rettore. In seguito tenne l’insegnamento di Diritto pubblico presso il Regio Istituto navale di Napoli. Proprio a Napoli nel 1940 fu professore presso la Federico II, anno durante il quale scrisse il suo saggio sulla costituzione materiale. Nel 1946 fu eletto deputato per la Democrazia Cristiana all’Assemblea costituente e fece parte della “Commissione dei 75”. Dal 1948 al 1960 fu ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”. Fu anche segretario della Corte dei Conti. Nel 1960 fu nominato giudice della Corte costituzionale, dove rimase fino al 1972. Nell’ultimo periodo fu anche vice presidente.

Nel 1977 fu colpito da una grave forma di paralisi. Morì a Roma nel 1985.

LE OPERE

Molto importanti i suoi studi sulla costituzione materiale del 1940. Tali studi, trascurati per lunghi anni, sono stati rivisitati alla fine del XX secolo e riscuotono oggi notevole consenso. La sua visione della Costituzione è in qualche modo intermedia tra la posizione di Hans Kelsen e quella di Carl Schmitt. Al riguardo si può sostenere che il punto di riferimento è l’individuazione dell’elemento primigenio dell’esperienza giuridica, che egli individua nell’ordinamento più che nelle norme, rovesciando la posizione di Kelsen e differenziandosi dal pensiero schmittiano, che poneva viceversa l’accento sulla decisione. All’interno della sua idea di costituzione materiale è assegnato un ruolo fondamentale al partito politico. Va a ricordato il suo importante manuale, le “Istituzioni di diritto pubblico”, più volte ampliato e ristampato, nonché “le forme di governo”, considerato tutt’oggi una delle più complete introduzioni allo studio del diritto costituzionale comparato.

CURIOSITÀ

• Costantino Mortati è considerato unanimemente uno dei più importanti costituzionalisti del nostro Novecento. Il suo studio “La Costituzione in senso materiale” (1940) rappresenta ancora oggi un punto di riferimento obbligato, non solo per il cultore del diritto pubblico ma anche per il giurista tout court.

• Fra i suoi scritti più importanti si citano: L’ordinamento del Governo nel nuovo diritto pubblico italiano (Roma 1931); La volontà e la causa nell’atto amministrativo e nella legge (Roma 1935); La costituzione in senso materiale (Milano 1940); La Costituente (Roma 1946); Istituzioni di diritto pubblico (Padova 1960, 5ª ed.), oltre ai corsi universitari e scritti minori.

• Il 29 aprile 1961 fu nominato Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.

• È annoverato fra i più autorevoli giuristi italiani del XX secolo. Tra i suoi allievi sono da ricordare Giuseppe Ferrari, Leopoldo Elia,Mario Galizia, Sergio Fois e Temistocle Martines.

• Fu il primo a riflettere sull’esistenza di una Costituzione materiale e una Costituzione formale.

 

Raf Vallone, attore, calciatore e giornalista italiano. Figura carismatica e poliedrica.

Raffaele Vallone nasce a Tropea il 17 febbraio del 1916. È stata una figura che ha sperimentato campi molto diversi tra loro come il cinema, lo sport, il giornalismo, il teatro. Da bambino si trasferì con i genitori a Torino, dove frequentò il Liceo classico Cavour e si laureò in lettere e in giurisprudenza con docenti come Luigi Einaudi e Leone Ginzburg. Alterna gli studi universitari al calcio. Cresciuto nel settore giovanile del Torino, esordisce in Serie A nella stagione 1934-1935, e nello stesso anno vince la Coppa Italia. In totale accumula 25 presenze nella massima serie, sempre giocando nei granata. Perde la finale di Coppa Italia nel 1938 contro la Juventus. Nel 1941 abbandona l’attività calcistica per dedicarsi al giornalismo. Come giornalista fu redattore capo delle pagine culturali dell’Unità, ma mai s’iscrisse al PCI, come raccontò in un’intervista, per le sue posizioni di critica allo stalinismo; inoltre, fu anche critico cinematografico per La Stampa, ma è conosciuto soprattutto per il suo lavoro di attore cinematografico. Nel 1942 esordisce al cinema con piccole parti, la sua prima apparizione è nel film Noi Vivi dove interpreta un marinaio. Debutta a teatro nel 1946 al Teatro Gobetti di Torino con Woyzeckdi Georg Büchner , per la regia di Vincenzo Ciaffi. La sua fortuna teatrale fu legata al dramma di Arthur Miller Uno sguardo dal ponte, portato in scena a Parigi nel 1958 e in Italia nel 1967, nonché sullo schermo nel 1962 da Sidney Lumet, e  su Rai2 nel 1973 per la regia di Claudio Fino. Con con Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis con Silvana Mangano e con Il cammino della speranza (1950) di Pietro Germi, il suo volto si impone come uno dei più rappresentativi dell’epoca neorealista. Raffaele allora deciderà di dedicarsi esclusivamente al cinema. Si sposa, in quegli anni, con l’attrice Elena Varzi conosciuta sul set de Il cammino della speranza dalla quale ebbe la figlia Eleonora e i gemelli  Saverio e Arabella. Negli anni cinquanta interpreta numerosi film, tra cui Il Cristo proibito di Curzio Malaparte, Anna e La spiaggia, entrambi di Alberto Lattuada, e Roma ore 11 di Giuseppe De Santis. Interpreta Garibaldi in Camicie rosse, film del 1952 di Goffredo Alessandrini, e, in Francia Teresa Raquin film con Simone Signoret diretto da Marcel Carné nel 1953, mentre nello stesso anno torna a calcare i campi da gioco, nella finzione de Gli eroi della domenica di Mario Camerini. Dal Mulino del Po, 1963, a Vino Santo, 2000, la sua presenza approda anche in televisione. Muore a Roma il 31 ottobre 2002.

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Vincenzo Padula, presbitero, letterato, giornalista e patriota italiano.

Nacque ad Acri il 25 marzo 1819, in una famiglia della buona borghesia, dal medico Carlo Maria Padula e Mariangela Caterina.Venne avviato al sacerdozio studiando dapprima a Bisignano successivamente in quello di San Marco Argentano. Ordinato nel 1843, fu nominato insegnante nello stesso seminario di San Marco Argentano. La sua più vera vocazione era tuttavia la letteratura. Nel 1845 pertanto, lasciò il seminario per dedicarsi al giornalismo partecipando, assieme a un gruppo di giovani amici calabresi antiborbonici radunati attorno a Domenico Mauro, al vivace dibattito che precedette la rivoluzione del 1848. In questo clima maturò la sua prima opera, la novella in versi Il monastero di Sambucina dedicata allo stesso Domenico Mauro. Collaborò a Il Calabrese, un periodico in cui, oltre a Domenico Mauro, scrivevano numerosi letterati, estremisti in politica e romantici in letteratura, fra i quali debbono essere ricordati Francesco Saverio Salfi, Giuseppe Campagna, Pietro Giannone di Bisignano e Biagio Gioacchino Miraglia. Nel 1845 venne pubblicato Il Valentino, un poema di gusto byroniano ormai perduto. In entrambi i poemetti sono molto evidenti gli influssi della moda letteraria del tempo, soprattutto di Nicolò Tommaseo e Tommaso Grossi. Come tanti altri religiosi, Padula aderì alla rivolta antiborbonica del 1848, anche se non pare abbia preso parte direttamente ad atti violenti. Durante gli scontri che si verificarono ad Acri tra la fazione borbonica e quella liberale, perse la vita il fratello Giacomo. Perseguitato dalla reazione borbonica, seguita alla sconfitta dei moti del ’48, gli fu tolto l’incarico di insegnamento al seminario e visse di stenti. Apri una scuola privata, ma gli fu tolto il permesso; fece allora l’istitutore presso famiglie liberaleggianti calabresi, prima presso i Ferrari a Petilia Policastro, poi a Crotone. Nel frattempo traduceva l’Apocalisse e studiava Gioberti e Rosmini. Nel 1854 si stabilì a Napoli, dove sperava fra l’altro di rendere la sua cultura più moderna e meno provinciale e di concorrere a qualche cattedra universitaria. Le speranze andarono in parte deluse; pubblicò tuttavia la traduzione dell’Apocalisse e altri versi sacri, e si legò ai pochi intellettuali rimasti in libertà con i quali si dedicò spesso alla compilazione di periodici soppressi quasi sempre dalla censura. Fondò fra l’altro, assieme a Carlo De Cesare, Federico Quercia e Pasquale Trisolino, il periodico Secolo XIX. Dopo l’Unità d’Italia fondò dapprima un giornale di centro-sinistra, Il popolo d’Italia, e successivamente il periodico bisettimanale Il Bruzio , vicino alle posizioni politiche moderate di Francesco De Sanctis e Luigi Settembrini. In quest’ultimo giornale, scritto quasi interamente da lui, apparvero i saggi meridionalistici raccolti successivamente in Dello stato delle persone in Calabria e il dramma Antonello capobrigante calabrese. Il 28 luglio 1865 anche il Bruzio cessò le sue pubblicazioni. Nel 1867 fu chiamato dal ministro dell’Istruzione Cesare Correnti a Firenze, allora capitale del Regno d’Italia, come segretario particolare. Con la speranza di intraprendere la carriera universitaria, nel 1871 Padula scrisse in pochi mesi Protogea, un’opera in cui pretendeva di rintracciare le origini semitiche della toponomastica calabrese nel mondo preistorico. Migliori prove della sua cultura dimostrò in alcune pagine latine su Properzio. Nel novembre del 1878 ottenne finalmente dall’Università degli studi di Parma la cattedra di Letteratura italiana dove rimase solo due anni. Tornò a Napoli nel 1881, ma a causa delle cattive condizioni di salute, si ritirò nel suo paese natale, dove la morte lo colse nel gennaio 1893.

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Raffaele Piria e lo studio delle sostanze complesse. Le ricerche sulla salicina, l’asparagina e la populina.

Nasce a Scilla, Reggio di Calabria, nell’agosto 1813. Studiò medicina all’università di Napoli. Appassionandosi alle ricerche chimiche, a ventitré anni andò a Parigi dove conobbe J.-B. Boussingault, J.-B. Dumas e altri celebri chimici dell’epoca. Fu accolto dal Dumas nel suo laboratorio e iniziò con lui alcune ricerche. Ben presto iniziò a lavorare di sua iniziativa e nel 1837 avviò i suoi lavori sulla salicina, già scoperta da Leroux e utilizzata in farmacia, sulla composizione della quale poco si sapeva. Fu docente di chimica all’università di Pisa, dove ebbe fra i suoi allievi C. Bertagnini e S. Cannizzaro, e in seguito fu docente a Torino. Nei suoi studi Piria intuì che molte fra le sostanze più complesse della chimica organica dovevano risultare dalla condensazione di molecole più semplici per eliminazione di acqua e che era meglio affrontare lo studio delle sostanze complesse da questo punto di vista. Egli osò anche affrontare con tali criteri lo studio delle molecole proteiche, ricerca sproporzionata alle cognizioni dell’epoca, riuscendo però a identificare la tirosina fra i prodotti di demolizione delle proteine. Notevoli sono anche le ricerche sull’asparagina e sull’acido aspartico che egli poté trasformare per azione dell’acido nitroso in acido malico dando così un metodo generale per passare dagli amminoacidi agli ossiacidi. Dedicò molte energie alla creazione di una scuola chimica italiana ed ebbe numerosi allievi e collaboratori, tra cui gli stessi Bertagnini e Cannizzaro. Notevoli furono le sue ricerche in chimica organica riguardanti la preparazione di nuovi composti a partire da sostanze di origine vegetale quali la salicina, l’asparagina, la populina. In particolare, per idrolisi della salicina, ottenne l’aldeide salicilica e da essa preparò l’acido salicilico. Durante i suoi lavori sull’asparagina scoprì che l’acido nitroso era in grado di trasformare il gruppo ammidico o il gruppo amminico primario in un gruppo ossidrilico con svolgimento d’azoto e ciò fu utilizzato in seguito per la determinazione quantitativa dell’azoto amminico. Mise a punto un metodo per la preparazione delle aldeidi dagli acidi per riduzione dei loro sali di calcio con formiato di calcio e ottenne in tal modo l’aldeide benzoica, la cinnamica e l’anisica. Morì a Torino nel luglio del 1865.

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Luigi Lilio, medico ed astronomo di Cirò, colui che diede vita alla riforma del nostro calendario, emanata da Papa Gregorio XIII nel 1582.

È l’oggetto più comune di tutti: il Calendario. Non c’è abitazione in cui manchi. Strumento di alta precisione per la vita di tutti i giorni. Il merito di questo va ad Aloysius Lilius, nome latino, nato a Psycròn , oggi Cirò, nel 1510.

Le radici del Calendario di Aloysius Lilius non sono nella Scienza né nel progresso tecnologico ma nella concezione mistica del Tempo. Ecco perché Gregorio XIII promulgò il Calendario di Aloysius Lilius con la Bolla “Inter gravissimas pastoralis officii nostri curas” firmata a Mondragone il 24 febbraio 1582. Dall’alba della civiltà l’uomo ha sempre voluto capire il significato del Tempo. Nel corso di millenni e millenni ha inventato tanti possibili modi per legare lo scorrere del tempo ai ritmi della sua attività ed è per questo che ha inventato i Calendari. Ogni popolo e civiltà ha avuto il suo.

Nella Roma pagana il Calendario era strumento di potere, privilegio di pochi. Fu Giulio Cesare a porre termine nell’anno romano 708 (46 a.C), ultimus annus confusionis, al Calendario con 445 giorni per passare ai 365 cui ogni quattro anni si sarebbe dovuto intercalare un giorno complementare, l’anno bisestile. Con la riforma di Giulio Cesare (che stabilì così la regola del calendario giuliano) l’anno restò diviso in 12 mesi, della durata, alternativamente, di 31 e 30 giorni, con la sola eccezione di febbraio, che era destinato ad avere 29 giorni oppure 30 (negli anni bisestili). Inoltre gennaio e febbraio diventarono i primi mesi dell’anno, anziché gli ultimi, com’era stato dai tempi di Numa Pompilio fino ad allora. E il calendario da lunisolare divenne in questo modo solare, simile dunque a quello degli Egizi. Dopo la morte di Cesare, tuttavia, la riforma del Calendario giuliano fu sconvolta. Poi accade qualcosa: nasce un uomo nato da una vergine che dopo essere assassinato risorge la prima domenica dopo il plenilunio che segue l’equinozio di primavera. Dalla babele di Calendari, dunque, emerge un nuovo modo di guardare al Tempo. E alla metà del primo millennio un abate venuto dal Caucaso, abilissimo astronomo e matematico, Dionysius Exiguus (Dionigi il Piccolo), attribuisce al tempo una dimensione mistica, come testimonia quanto lui dice a proposito della data di Pasqua: “essa va calcolata come illuminazione dello Spirito Santo”. Da questa concezione mistica del tempo nasce, grazie ad Aloysius Lilius, il calendario a noi familiare che nel terzo millennio ha varcato tutte le frontiere, imponendosi per la sua straordinaria precisione (sette centesimi di secondo al giorno) nel sincronizzare le date del calendario con l’effettivo occorrere di equinozi, solstizi e stagioni. Esso esiste in quanto studiosi di fede Cattolica hanno dedicato le loro energie intellettuali al fine di sincronizzare la data del Calendario con l’equinozio di primavera. Non perché tale equinozio li interessasse come fenomeno astrofisico ma in quanto a tale equinozio era ed è legata la data della Resurrezione di Cristo. Questo anno ce lo ha calcolato un certo abate che aveva del Tempo una concezione mistica.

L’ateismo nega l’esistenza della sfera trascendentale ed è quindi costretto a sostenere che tutto avviene per coincidenza di eventi. Una certezza però viene dalla Scienza: la nostra esistenza materiale ha le sue basi nella Logica del Creato che non lascia spazio al caos, e dove c’è una logica deve esserci per forza un autore. È bene riflettere allora su quell’abate che, nel legare l’origine del Calendario alla esistenza di Gesù e alla data della sua Resurrezione, sentì che il Tempo doveva essere radicato in fatti legati ai Misteri della Fede. Misteri che trovarono, mille anni dopo, in Aloysius Lilius, medico di professione ma appassionato cultore di matematica e astronomia, il cattolico devoto che seppe risolvere quel problema, su cui si era focalizzata l’attenzione della cultura cattolica, per dare certezza alla data della resurrezione di Cristo. Quando venne promulgata la bolla pontificia per il nuovo calendario non esistevano gli orologi atomici né la scienza. Nel terzo millennio, come nei millenni a venire, il Calendario Gregoriano di Aloysius Lilius sarà la guida quotidiana per tutti i popoli della Terra. Guida nata nel cuore della spiritualità cristiana. Anche la Scienza sarà, con il suo rigore e la sua logica, strumento indispensabile di progresso per tutti i popoli della Terra. Strumento nato, grazie a Galileo Galilei, per atto di Fede nel Creatore di tutte le cose visibili e invisibili. A Dionigi il Piccolo dobbiamo la concezione mistica del Tempo, ad Aloysius Lilius l’avere saputo risolvere i problemi che hanno dato vita al calendario più preciso mai concepito; a Galileo Galilei dobbiamo l’atto di fede nel creato da cui nasce la Scienza che ha portato alla misura del Tempo con precisione al livello di millesimi di miliardesimi di secondo, grazie agli orologi atomici. Dionigi Exiguus, Aloysius Lilius e Galileo Galilei: Fede, Ragione e Scienza legate indissolubilmente.

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