RENDE (CS) – Di seguito il comunicato diffuso dal Consigliere Portavoce M5S al Comune di Rende, Domenico Miceli, sul prossimo “Carnevale Rendese”:
“Che fine ha fatto la maschera de “u paparasciannu”? Sua maestà Carnilevaru ubriaco è stato spazzato via dalla tradizione rendese sotto i colpi di una modernità – anche politica – che non ha più tenuto conto della cultura e delle usanze locali. La riflessione sul carnevale si rende oggi più che mai necessaria. Anche quest’anno la città di Rende si appresta a vivere una festa svuotata di significato e tutta votata alla glorificazione dell’avanspettacolo fine a sé stesso. Ciò accade mentre l’area urbana si trova immersa in una discussione asettica sulla sua possibile unificazione ostacolata a suon di campanilismi e richiami incessanti ad una forma di “rendesità” (e “cosentinità”) pura. In questo assurdo contesto ideologico, i dj set, come la sfilata delle auto storiche, nulla hanno a che vedere con la parte più intima di una ricorrenza che è sempre stata un momento di rivincita popolare sui poteri di turno. Una rivalsa che prendeva forma nell’arte e da essa si elevava per ristabilire – in un lasso di tempo limitato – un ordine ideale che niente aveva a che fare con la dura e impassibile realtà sociale. Oggi questo concetto si è ribaltato e non è più il popolo a sbeffeggiare il potere, ma è lo stesso potere che continua a sbeffeggiare il popolo annebbiando la sua memoria con paillettes e lustrini.
Affermiamo subito che con l’abbandono del centro storico di Rende si è dato il via all’incessante declino di un’appartenenza territoriale ben determinata. Il ché, però, non ha ancora del tutto eliminato la memoria e la voglia di fare di tanti uomini e donne rimasti legati ad una tradizione culturale specifica e per molti versi unica nel suo genere. Questa tradizione è quella del Carnevale rendese, quella che nasce, vive e muore tra i vicoli del borgo antico. Che fa della partecipazione popolare il suo punto di forza e la sua colorata permanenza nella memoria.
Le maschere povere fatte con i “zinzuli” per oltre un secolo hanno capovolto la quotidianità, conferendo a quei giorni una dimensione onirica che riempiva strade e piazze di scherzi e figure tra le più disparate.
Un posto particolare in questo contesto festoso era occupato dal teatro, con le sue commedie dell’arte che ammaliavano il popolo prendendo in giro i padroni del paese. Tra i vari titoli che siamo riusciti a rintracciare, quello de “U matrimonio svrigugnatu” è sicuramente il più antico e famoso, e dimostra che la tradizione del carnevale, a Rende, è qualcosa di più profondo della semplice festa. Il testo anonimo risale infatti al 1846 e la sua messa in scena accompagna almeno cinque generazioni di rendesi. Solo a partire dagli anni ’70 del secolo scorso altri autori hanno riportato alla luce quel tipo di teatro per raccontare quello che accadeva in città, e fino agli anni ’90 le varie compagnie hanno sempre giocato fra loro nella realizzazione di spettacoli popolari e di provocazione politico-culturale.
Sarà stato per questo che a un certo punto il potere ha deciso di decretare la fine di questa tradizione? O si sarà trattato piuttosto di mutate condizioni sociali, e forse anche di prosciugate energie poetiche, a mettere la parola fine a queste rappresentazioni?
Rispondere a questa domanda è difficile. Ma in città sono ancora presenti e attivi quei nostalgici che son pronti a rimettere tutto in piedi per far rivivere i fasti di un passato recente ma quanto mai remoto e nonostante la loro voglia di fare sono stati messi da parte in favore di luci stroboscopiche e strombazzate per le strade della città nuova”.