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Gabriele Muccino ospite durante la Social Media Week, oggi in uscita il film

ROMA – Social Media Week e Gabriele Muccino. Un connubio inedito, al pari delle storie che il regista confeziona  con grande talento e introspezione, per il pubblico italiano. Da oggi, in tutte le sale, l’ultimo film “L’estate Addosso”: al centro un viaggio di maturandi, le loro angosce, i loro melodrammi, i primi amori estivi e quei mutamenti, repentini e assoluti, tipici di un’età che ritorna a farsi sentire solo nei ricordi, generalmente ricchi di nostalgia. Marco, il giovane protagonista interpretato da Brando Pacitto, al seguito di un risarcimento ottenuto dall’assicurazione, parte per una vacanza a S. Francisco e qui si ritrova, suo malgrado l’odiata compagna di classe, Maria, con la quale però tutto è destinato a mutare. Una storia in cui i protagonisti, come sottolinea Muccino, “si bastano” fino a non sentire più il bisogno di trascorrere del tempo su quei social tanto odiati, riscoprendo il valore della conversazione verbale, del confronto e della vicinanza fisica.

Un dialogo e una riflessione, quella legata al mondo web, evidenziati in occasione della Social Media Week romana, l’evento digital più famoso al mondo, durante il quale, lo scorso lunedì, presso la casa del cinema, è stato ospite lo stesso regista insieme ai suoi attori principali  (Pacitto e Matilda Lutz) per discutere del criptico rapporto che i ragazzi della generazione attuale hanno con il mondo rete e con i social network in particolare. In un’era in cui tutto diventa materiale cibernetico e qualsiasi sentimento tende a subire una deformazione, teneramente Pacitto e la Lutz dichiarano di usare i social in modo mai eccessivo e spontaneo, mantenendo più possibile la sfera del privato e della scelta personale.  L’ intervista incentrata sulle aspirazioni degli attori, sul difficile rapporto tra la vanità degli artisti e il loro bisogno di evasione e privacy e persino sulla capacità, amplificata dalla rete, di scoprire talenti, dura circa un’ora e analizza, chiacchiera dopo chiacchiera, il mondo del cinema e le sue trame alla luce delle inevitabili evoluzioni della società 2.0. Assente solo l’interazione con il pubblico, capace di aggiungere, forse, un tantino di brio e di curiosità in più a quello che si preannuncia un successo già conclamato.

Lia Giannini

 

 

 

 

Padri e Figlie: Muccino racconta la “paura di amare”

padri-e-figlie-primo-trailer-del-film-di-gabriele-muccino-con-russell-croweCi sono voluti sette anni perché il potere di toccare le corde dell’anima ritornasse nelle mani di un grande regista come Gabriele Muccino.

Il suo talento, nel realizzare pellicole che hanno il potere di smuovere le emozioni anche quando il tempo destinato alla visione del film è terminato, viene fuori dirompente nel suo ultimo lavoro “Padri e Figlie“, nei cinema dal 1 ottobre.

La Trama: Jake (Russell Crowe) è uno scrittore di successo. Dopo la perdita della moglie, in un incidente stradale, è costretto ad allontanarsi dall’adorata figlia, per una malattia del sistema nervoso dalla quale non guarirà mai. In un concatenarsi di flashback che si alternano a momenti di vita presente, nell’ambito di una narrazione che si muove, per tutta la durata, su un duplice piano emozionale,  Muccino racconta il dramma di una giovane venticinquenne (Kate), la cui perdita del padre ha sancito un trauma profondo: l’incapacità assoluta di amare e di legarsi a qualcuno per paura di essere lasciata da sola, che la spinge a legarsi, in un ossessivo susseguirsi di rapporti occasionali, a una miriade di uomini senza alcun sentimento.

Un’impronta, quella del regista italiano, che è impossibile non riconoscere. La tendenza a trasferire, all’interno della pellicola, quell’intensità emotiva che porta ciascuno spettatore a rivedersi nel protagonista e lo costringe ad incassare il colpo, consapevole che quello che sta osservando non è poi così lontano dalla propria realtà, è ciò che ne contraddistingue il talento.

Come nei precedenti, seppur in modo meno urlato e forse più sottile, anche qui Muccino rilancia il melodramma nel quale chiunque può rivedere la propria esperienza. Una vera e propria seduta di gruppo durante la quale ognuno, nella propria intimità, riesce a dare sfogo ai  ricordi, rivedendo parte della propria vita e della propria infanzia. Del resto è proprio su questo che il regista punta attraverso il suo film. Ricordare agli spettatori che “siamo tutti figli di qualcuno”, tutti costretti, prima o poi, a fare i conti con i nostri dolori, i nostri vuoti, i nostri mancati e/o perduti affetti.

Un film sui sentimenti, sulla paura di amare, adatto a chi non ha paura di piangere e di ricordare. Un film nel quale la disperazione urlata, tipicamente Mucciniana, e propria delle pellicole precedenti, lascia spazio ad una sofferenza più intima, più introspettiva, che porta sorriso e commozione di fronte alla tenerezza e alla dolcezza dei fotogrammi tra padre e figlia, più che allo stordimento tipico dei precedenti film, in un succedersi di corse a perdifiato e urla fuori dal petto. 

E se in parte “Padri e Figlie” si discosta dai precedenti, sotto altri aspetti li abbraccia completamente evidenziando una serie di elementi che si susseguono come leit motiv ricorrenti in ogni pellicola. Dal coraggio proprio dei protagonisti di non mollare mai arrivando a superare le ingiustizie della società, fino all’abitudine, quasi attesa, di lanciare messaggi “reali” al di fuori dalla finzione cinematografica. 

Lia Giannini