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“Questi fantasmi”, Al Tau ancora Eduardo, firmato Marco Tullio Giordana

ARCAVACATA DI RENDE (CS) – Un grande appuntamento i prossimi 7 e 8 marzo con il teatro d’autore di scena al TAU dell’Unical, in esclusiva regionale in Calabria.  “QUESTI FANTASMI!” di Eduardo De Filippo per la regia di Marco Tullio Giordana, prodotto da “La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo”.
In scena GIANFELICE IMPARATO, CAROLINA ROSI, MASSIMO DE MATTEO, PAOLA FULCINITI, FEDERICA ALTAMURA, ANDREA CIOFFI, NICOLA DI PINTO VIOLA FORESTIERO, GIOVANNI ALLOCCA, GIANNI CANNAVACCIUOLO, CARMEN ANNIBALE
Una grande eredità teatrale intatta nel tempo: dopo l’applaudito Non ti pago, Gianfelice Imparato, insieme a Carolina Rosi e alla Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, affronta uno dei testi cardine di Eduardo, Questi fantasmi!
Marco Tullio Giordana firma la regia di una storia a tratti farsesca, che racconta la necessità di essere ciechi, di credere senza riserve a una realtà inverosimile, per tutelare se stessi e un ideale di famiglia minato al suo interno.

La trama

Pasquale Lojacono si trasferisce con la giovane moglie Maria in un appartamento all’ultimo piano di un palazzo seicentesco (in via Tribunali 176). Maria non sa che il marito ha ottenuto il fitto gratuito per cinque anni di quell’enorme casa (18 camere e 68 balconi) in cambio del compito di sfatare la leggenda sulla presenza di spiriti nella casa. Il portiere Raffaele spiega al nuovo inquilino cosa dovrà fare per ottemperare al suo impegno contrattuale: per dimostrare che non ci sono fantasmi dovrà mostrarsi ogni giorno, due volte al giorno, fuori tutti i 68 balconi, mostrando serenità e allegria. A tal scopo dovrà anche cantare ad alta voce (inizierà con Lucean le stelle, continuerà con Ah l’ammorre che fa fa)! Ascoltando però i racconti del portiere, della sorella di quest’ultimo e del “dirimpettaio” di casa, tal Professor Santanna, il nostro protagonista incomincia a credere all’esistenza degli spiriti; pertanto, quando s’imbatte in Alfredo, l’amante della moglie, lo scambia per un fantasma. La storia di Questi fantasmi!prosegue con Alfredo che fa pervenire sostanziosi aiuti economici alla famiglia Lojacono, aiuti che vengono interpretati da Pasquale come regali degli spiriti che l’avrebbero preso a ben volere! L’equivoco prosegue e il nostro protagonista è l’unico a non avvedersi di quello che sta realmente accadendo; dopo un’esilarante scena nella quale, per Pasquale, si consuma un litigio tra spiriti (in effetti i litiganti sono Alfredo, sua moglie, i suoi bambini e altri parenti), l’amante di Maria decide, apparentemente, di tornare in famiglia privando dei suoi regali il povero Pasquale. La storia di si avvia alla conclusione: con un marchingegno Pasquale riesce a reincontrare Alfredo, chiedendogli un ulteriore e sostanzioso aiuto economico, spiegando allo “spirito” che i soldi gli servono per riconquistare la moglie di cui è perdutamente innamorato. Alfredo, commosso per la triste confessione, gli lascia un pacco di banconote e scompare dalla loro vita.

Lea. Storia di una combattente per la verità

salutiCOSENZA (CS) – Tre giorni di applausi liberatori per una giustizia fatta . Questa la sintesi perfetta della manifestazione “Il coraggio oltre la narrazione – la storia di Lea, le storie di chi non si arrende”,che si è conclusa ieri presso il cinema Citrigno di Cosenza. Organizzata da Sabbiarossa Edizioni e Reggio Cinema e resa possibile dall’attore reggino Alessio Praticò, che ha fortemente voluto portare in Calabria il regista Giordana, la manifestazione ha toccato Cittanova, Reggio Calabria, Scilla, Vibo Valentia e Cosenza. Cinque realtà calabresi hanno avuto modo di ascoltare la storia di Lea Garofalo, testimone di giustizia uccisa dal compagno perché aveva osato ribellarsi al potere della ‘ndrangheta. «Lea Garofalo- dice il regista Marco Tullio Giordana- non è una vittima della ‘ndrangheta, ma una combattente per la verità. Una donna che ha dimostrato che non tutto è stato scritto. Che tutto si può cambiare, se si vuole». Non ha dubbi Marco Tullio Giordana, che ha restituito, con il film “Lea”, la storia di chi si ribella, di chi non accetta, di chi non vuole  seguire il corso degli eventi  come se fosse ineluttabile, che rifiuta l’idea del destino scritto da altri, il coraggio di una donna che ha immaginato per la figlia Denise un futuro diverso dal suo, e per questa ragione ha scelto di dare la propria vita per riscrivere il destino, per uscire e per non permettere alla figlia di aderire e conformarsi  ai dettami della cultura mafiosa che è pericolosa tanto quanto chi appartiene alla criminalità organizzata. Dopo i saluti del Prefetto di Cosenza Gianfranco Tomao, di Giuseppe Citrigno presidente di Anec Calabria, Enzo Russo di Reggio Cinema, Donatella Loprieno referente di Libera Cosenza, Marco Tullio Giordana e Alessio Praticò, la sala gremita dagli studenti provenienti da Cosenza e provincia, ha assistito alla proiezione di “Lea” «un film da vedere col cuore più che con gli occhi» per ricordare l’invito di Paola Bottero.

dibattitoA seguire l’intenso dibattito con gli studenti cui ha preso parte anche don Pino Demasi referente di Libera Piana, cresciuto a Cittanova luogo di faide e di cadaveri in bella mostra per strada, di donne vestite di nero che fino a poco tempo fa portavano il lutto in modo vergognoso. «”Lea” -dice don Pino – ricorda il lavoro fatto da Libera, la trasformazione della memoria in impegno, “Lea” è la storia che serve, sono i  giovani che non piangono ma trasformano la rabbia, è la “meglio gioventù” in grado di ribellarsi. Tante le domande poste, molte ruotavano intorno all’interrogativo sul ruolo dello Stato nel combattere la mafia , non sono mancati i rimandi all’omertà, «il problema culturale , quel comportamento secolare spesso garantito dalle donne, ma- come ha ribadito Donatella Loprieno- la fortezza si sgretola quando si dice “basta” e ci si ribella e allora la donna diviene il cuneo che rompe i cardini», le curiosità legate alla realizzazione del film e poi la toccante testimonianza di Andrea, giovane studente dell’ITIS di Cosenza che ha raccontato il suo passato di ragazzo che ha vissuto tra alti e bassi,  cinque anni  della propria vita sotto protezione. Oggi tanti ragazzi sono Peppino e Lea per dimostrare che vale la pena operare per il cambiamento. Cambiare per restare e restare per cambiare.

Rita Pellicori

Marco Tullio Giordana: “Il nostro destino ce lo dobbiamo scrivere noi, già troppi sono i condizionamenti, subire anche quello della criminalità è insopportabile”

foto Marco Tullio GiordanaCOSENZA (CS) – Umiltà e disponibilità sono le parole che meglio descrivono il pluripremiato regista Marco Tullio Giordana. Reduce di una tre giorni di incontri con gli studenti calabresi per presentare il suo ultimo film “Lea”, andato in onda in prima serata su Rai 1 lo scorso novembre, ci ha concesso un’intervista in cui ci parla del suo cinema e ci  racconta la manifestazione  “Il coraggio oltre la narrazione”.

D- Quando nasce la manifestazione “Oltre la narrazione” e perché?

R- Mi chiese Alessio Praticò, l’attore che ha interpretato un ruolo molto importante nel film “Lea”  se fossi disponibile a venire in Calabria ad incontrare le scuole. Dissi :« È una cosa che mi piacerebbe moltissimo, l’ho sempre fatto per tutti i miei film e a maggior ragione di venire in Calabria, materia di questo film. Incontrare i ragazzi, le scuole, vedere cosa succede a mettere i giovani calabresi, in un momento molto delicato della loro formazione, a contatto con una storia così conturbante».

D- Nel cast gli attori calabresi Linda Caridi e Alessio Praticò. Oltre che per la loro bravura, la scelta è stata dettata da motivi linguistici o dal voler conferire al film maggiore veridicità?

R- La prima regola è scegliere gli attori bravi perché nel caso gli attori bravi possono anche imparare le lingue. Io ho fatto tantissimi provini e tutti gli attori che ho scelto si sono rivelati i migliori per quel ruolo; poi per me è molto importante che la lingua che parla quell’attore sia la lingua del personaggio perché altrimenti c’è sempre quel qualcosa di vagamente fasullo. Un attore deve essere libero di parlare perché automaticamente gli viene fuori e quindi è più facile che questo succeda per chi è madrelingua, questo è un elemento però, il primo è sempre la bravura.

D- Cittanova, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Cosenza. Assente Crotone, città di Lea Garofalo, perché?

R- Non so perché, magari faremo un altro giro proprio da quelle parti. I posti, i luoghi sono cose che vanno organizzate. L’organizzazione di questa manifestazione è nata a Reggio Calabria e non si poteva chiedere di  coprire tutto il territorio, in più, dovrei anche lavorare nella mia vita e quindi è difficile trovare il tempo di seguire tutto questo.

D- Nel 2000 “I cento passi”, ora “Lea”. Storie che, seppur conclusesi drammaticamente, ci insegnano che è possibile abbattere le gabbie sociali

R- Mi è difficile rispondere concisamente. Io non faccio dei film perché voglio lanciare dei messaggi. Hitchcock diceva «Se vuoi mandare dei messaggi, vai alla posta, non usi il cinema», il cinema deve raccontare delle storie, dei personaggi che ti piacciono, che non ti piacciono, nei quali ti identifichi, nei quali non ti identifichi.È il racconto, è la sostituzione del nonno al camino che inizia a raccontare, è qualcosa che appartiene alla civiltà, al bisogno di raccontarsi. È la cosa che ci differenzia dagli animali, gli animali non si raccontano, non hanno un poeta. L’uomo è poeta perché ha bisogno di trovare una sintesi della propria vita, delle proprie esperienze. Perché c’è questo bisogno? Perché c’è bisogno della memoria, di tramandare, e il cinema- se uno ha scelto questa lingua- è qualcosa che lo può fare in maniera fortemente emotiva, fortemente coinvolgente . Io non so per quale ragione ho sempre amato le storie che oltre a raccontare le vicende di un personaggio, raccontano anche un contesto, un periodo storico, un tempo. Nel caso sia di Lea che di Peppino Impastato, mi sembrava che queste due figure ci potessero raccontare molto bene il loro tempo, il loro contesto: la Sicilia della fine  degli anni ’60 nel caso di Peppino Impastato, Lea questo tempo presente in cui il crimine non è più solo locale ma si trasferisce, cambia città, cambia contesti. In entrambi i casi sono due figure che si ribellano, che non accettano, che non vogliono seguire il corso degli eventi  come se fosse ineluttabile, che rifiutano l’idea del destino scritto da altri. Ecco questa mi sembra una cosa bella da raccontare perché il nostro destino ce lo dobbiamo scrivere noi, già troppi sono i condizionamenti, subire anche quello della criminalità è insopportabile.

D- Siamo abituati a vedere i suoi film al cinema. “Lea ” è stato prodotto per la tv, perché?

R- Per me non c’è nessuna differenza fra il cinema e la televisione. Io ho visto tanti bellissimi film in televisione e non cambiava nulla. i miei film possono andare indifferentemente nella grande sala, anzi è pure meglio vederli nella grande sala, o nel piccolo schermo. In questo caso ci tenevo che fosse un film per la televisione perché la televisione entra in tutte le case e poi in una sola sera tu li hai raggiunti tutti, cinque, sei milioni di telespettatori, in un cinema è un lavoro più lungo. Per me è molto importante che i telespettatori  di Rai 1- abituati ad un prodotto talvolta convenzionale , talvolta melenso nel rappresentare gli eroi- vedessero una storia secca, molto asciutta di questa donna straordinaria, esempio per tutte le donne non solo calabresi, nel mondo, di chi si ribella alla criminalità, che lo vedessero tutti i telespettatori italiani. La cosa straordinaria è stata che in Calabria , ha avuto le stesse percentuali del Festival di Sanremo , tant’è vero che io vorrei chiedere indietro il canone alla Rai. Che cosa significa questo? Significa che evidentemente c’è un bisogno in televisione di vedere  storie vere, di vedersi rappresentati, di vedersi allo specchio, non di vedere qualcosa di astratto, lontano che magari ha anche un intento didattico, che lo spettatore è molto più evoluto di quanto lo si pensa e, fra l’altro, nell’analisi dei dati di ascolto la cosa interessante era che lo avevano visto sia i genitori che i figli e che lo avevano visto insieme  e che quindi questo film in televisione è stata l’occasione di parlarsi fra generazioni, ecco perché è importantissimo lavorare con la televisione, io dico non per la televisione ma per la televisione  perché poi noi dobbiamo lavorare per lo spettatore.

Rita Pellicori

L’evento de “Il Coraggio oltre la narrazione” e la visione del film “Lea” per dire no alla mafia

COSENZA  – Si concluderà sabato 13 febbraio, al Cinema Citrigno di Cosenza, il tour del film “Lea” e del regista Marco Tullio Giordana.
L’ultima tappa dell’evento “Il coraggio oltre la narrazione” avrà inizio alle ore 10 con i saluti istituzionali di: Gianfranco Tomao, Prefetto di Cosenza, Giuseppe Citrigno, Presidente Anec Calabria ed Enzo Russo, Reggio Cinema.
In programma, la proiezione della pellicola “Lea” per gli studenti degli Istituti superiori della provincia di Cosenza. A seguire, sul palco del Citrigno, il dibattito con il regista Marco Tullio Giordana, l’attore Alessio Praticò, Donatella Loprieno, referente Libera Cs e don Pino Demasi, referente Libera Piana. A moderare l’incontro la giornalista Paola Bottero.

Tre matinée (a Cittanova, Reggio Calabria e Cosenza) e l’incontro pomeridiano al Castello Rufo di Scilla.  “Se vuoi costruire una barca, non radunare lea garofalouomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”. Così scriveva Antoine de Saint-Exupéry. La nostalgia che compare nell’opera postuma Cittadella è l’orizzonte cui tendono i tre giorni calabresi del grande regista Marco Tullio Giordana. Nel 2000 ha raccontato e fatto conoscere Peppino Impastato con “I cento passi”, oggi ricostruisce la storia di Lea Garofalo, protagonista di una delle vicende più terribili consumate da questa Calabria e incarnazione reale della scelta incondizionata verso la buona vita. Narrazioni cinematografiche che disegnano perfettamente, in un linguaggio accessibile e duro, il bisogno di riappropriarci delle storie dei protagonisti reali della lotta alle mafie. La loro memoria è necessaria per imparare la nostalgia di un orizzonte che si sembra di aver perso. Per andare oltre le parole, oltre le parate. Per ritrovare il mare vasto e infinito troppo spesso invisibile, come l’essenziale che, ha insegnato proprio Saint-Exupéry, si vede solo con il cuore. Per declinare, attraverso la storia e le scelte di Lea, la nostalgia per un orizzonte pulito, quello di chi ha scelto da che parte stare. Per ricostruire insieme, ciascuno per la propria parte, la barca capace di traghettare questa Calabria e i suoi giovani verso un nuovo modo di intendere e vivere legalità e giustizia.

Successo in tv per il film su Lea Garofalo

CATANZARO – Il film dal titolo “Lea”, diretto da Marco Tullio Giordana, è stato proposto ieri sera su Rai1, ottenendo 4 milioni e 170 mila spettatori, con uno share del 16.24%. In Calabria gli ascolti hanno raggiunto il 40%.

“Un risultato – ha detto il direttore di Rai fiction, Eleonora Andreatta – che ci emoziona. Spiccano, in

Ph. www.blitzquotidiano.it
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particolare, gli ascolti in Calabria, con il dato record del 40% di share. La Calabria ha abbracciato Lea Garofalo e i suoi ideali di libertà. Siamo orgogliosi di aver contribuito a ricordare una donna caduta per la sua emancipazione”.

Lea, semplicemente

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PETILIA POLICASTRO(KR)- Una storia triste, di quelle che lasciano l’amaro in bocca quella di Lea Garofalo. Ma chi è Lea?Lea è figlia della Calabria,di  quel pezzo di sud Italia malato,logorato da un tumore inguaribile di nome ‘ndrangheta.Cresciuta in una famiglia affiliata alla criminalità,Lea ha il destino segnato sin da subito.Il fratello Floriano è a capo di una cosca locale,il compagno Carlo Cosco gestisce un giro di spaccio e usura a Milano.Dall’amore tra i due nasce Denise,una bambina per la quale Lea sogna un futuro all’insegna della legalità. Dopo l’arresto del compagno,Lea decide di lasciarlo e di trasferirsi a Bergamo. Ma l’uomo non può accettare l’abbandono, sarebbe un fardello troppo pesante che segnerebbe la vita di chi potrebbe perdere tutto fuorché l’onore e inizia a minacciare Lea che stanca,  si rivolge alla forze dell’ordine alle quali confessa i loschi affari in cui è coinvolto l’ex compagno. Sottoposte al programma di protezione, Lea e Denise assumono una nuova identità e cambiano continuamente residenza fino al 2009 quando la donna, sfiduciata dal sistema giudiziario e logorata dalle pressioni dell’ex compagno, decide di uscire dal sistema di protezione. Rimasta senza soldi e priva di lavoro, in preda alla disperazione si rivolge all’ex per il mantenimento della figlia e lui ne approfitta nel più vile dei modi. Lea viene rapita, uccisa e il corpo sezionato viene dato alle fiamme. A questo punto entra in scena Denise, che permetterà di individuare e processare i responsabili dell’omicidio della madre costituendosi parte civile contro il padre.

www.gravinainmurgia.it
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È andata in prima serata su Rai 1 la sua storia raccontata da Marco Tullio Giordana.  “Lea” il titolo scelto,un titolo semplice, privo di fronzoli che racconta senza filtri e edulcorazioni la storia di una donna, una madre e una compagna temeraria che ha lottato contro la sua famiglia e contro il compagno, che in nome della giustizia non si è piegata ai dettami della mafia.Una storia di denuncia che rende omaggio ad una donna diventata modello civile di coraggio quella regalataci regalata da Marco Tullio Giordana, “eroe” del cinema di denuncia. Un  cast variegato, con una amalgama perfettamente riuscita che ha visto anche la presenza degli attori calabresi Linda Caridi e Alessio Praticò.Ciao Lea, la tua morte ci ha lasciato sbigottiti ma non è stata vana perché le persone muoiono, ma le loro idee camminano sulle gambe di chi resta.

Rita Pellicori

Alessio Praticò è Carlo Cosco in “Lea”

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COSENZA(CS) – L’attore reggino Alessio Praticò è nel cast  di “Lea”, l’ultimo film di Marco Tullio Giordana presentato in anteprima al Roma Fiction Fest, che andrà in onda in prima visione mercoledì 18 su Rai1. L’attore, che nel film interpreta il ruolo di Carlo Cosco, compagno di Lea Garofalo, ha concesso  un’intervista esclusiva alla nostra testata.

D- «Laurea in architettura e diploma presso la scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, mi illustri il ‘cambio di rotta’»

R-« La passione per la recitazione ha origine dalla scuola d’infanzia che mi diede,ci diede l’opportunità di recitare in piccoli spettacoli.Ricordo uno spettacolo a cui partecipai all’età di cinque anni, l’innamoramento parte da lì . Terminato il liceo ero indeciso sul percorso da intraprendere, ero molto indeciso anche perché questa passione era rimasta confinata in un cassetto ed era uscita fuori all’età di 18 anni grazie ad un laboratorio a Reggio Calabria a cui avevo partecipato. Ho deciso di proseguire gli studi scegliendo il corso di laurea in architettura, altra mia passione.Dopo la laurea, ho deciso di rendere la passione per la recitazione in un lavoro e dopo aver sostenuto una serie di provini, sono entrato a Genova.In realtà, come l’attore progetta il personaggio da interpretare, anche l’architetto progetta spazi da abitare dunque la distanza tra le due cose non è insormontabile. Credo che nel mestiere di attore sia necessario accumulare il maggior numero di esperienze possibili per poi regalarle ai personaggi da interpretare, quindi, alla luce di questo, sono lieto del percorso universitario che mi ha aiutato ad utilizzare l’idea progettuale nella “costruzione” dei personaggi».

D-«Nel film “Lea” veste i panni di Carlo Cosco,mi parli del personaggio»

R-«Non c’è molto da dire, la storia di Lea Garofalo è nota.È importante sottolineare che l’attore non deve mai giudicare il personaggio che va ad interpretare, deve solo interpretarlo al meglio, ed è quello che ho fatto io. Ho avuto la fortuna di lavorare con un grande regista, Marco Tullio Giordana, ed insieme abbiamo voluto raccontare questo personaggio cercando di evidenziare le debolezze e l’umanità nonostante si tratti di un personaggio negativo, cercando di portare avanti un personaggio che non sia il solito stereotipo dell’uomo di mafia. Tenevo a realizzare qualcosa che potesse fare emergere un pizzico di umanità. Nell’aver dovuto interpretare questo ruolo, ho cercato di portare avanti quella che era la verità di Carlo Cosco che tutti conosciamo»

D-«Un calabrese che veste i panni di un altro calabrese,questo può esser considerato un vantaggio o uno svantaggio

R-«Sono originario di Reggio Calabria, da tempo vivo fuori, però, sono molto legato alle mie origini. Da calabrese è stato più semplice capire, percepire i modi di fare di noi calabresi. Per quanto riguarda il lavoro sul linguaggio, essendo di Reggio, ho una cadenza simile a quella siciliana, ho dovuto lavorare per avvicinarmi il più possibile alla cadenza della provincia crotonese, anche se abbiamo cercato di realizzare una cadenza calabrese comprensibile a tutti.»

D-« Passiamo al retroscena, con quali attori è entrato maggiormente in sintonia

R-«Con tutti, ho avuto la fortuna di lavorare con gente “umana”, sul set eravamo una grande famiglia. Era un piacere lavorare con loro.C’era un grande fervore, un atteggiamento di simpatia nonostante stessimo girando un film con una storia importante. Diciamo che l’empatia che si è creata tra di noi, l’abbiamo regalata ai personaggi per raccontare al meglio questa storia, è stata un po’ una sorta di missione per raccontare questa triste storia».

D-«Ha lavorato al fianco di Marco Tullio Giordana, mi racconti la sua esperienza»

R-«Lavorare con Marco Tullio Giordane è stato un onore e soprattutto un vero piacere.È un regista che lascia ampio spazio alla creatività degli attori e cerca di assecondare questa creatività.È una persona molto professionale e molto sensibile, comprende i  disagi che si possono riscontrare sul set, e poi, non ha mai perso l’occasione per dispensare consigli e svelarci quelli che sono i trucchi del mestiere, e non è scontato che lo facesse»

Rita Pellicori