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‘Ndrangheta, sequestrati beni per 22 milioni ad imprenditore del cosentino

COSENZA – Dalle prime ore dell’alba è in corso un’operazione della Polizia di Stato, unitamente ai militari della Guardia di Finanza di Cosenza, finalizzata all’applicazione della confisca prevista dal Codice Antimafia, concernente beni, assetti societari e rapporti finanziari, per il valore di circa 22 milioni di euro. I beni sono riconducibili ad un imprenditore Giuseppe Borrelli, 52 anni, operante nell’area dell’alto ionio cosentino, nel cassanese e nella sibaritide ma anche con interessi nella città di Roma e zone limitrofe.

Il sequestro ha riguardato la totalità delle partecipazioni di 11 società, con sedi rispettivamente in Altomonte, Roma, Cassano allo Ionio San Lorenzo del Vallo, attive in plurimi settori merceologici, e in particolare, raccolta, stoccaggio, trasformazione e smaltimento di rifiuti, edilizia specializzata, torrefazione, trasformazione e commercializzazione, all’ingrosso e al dettaglio, di caffè e prodotti affini, supermercati, compravendita immobiliare, servizi pubblicitari e marketing, compravendita e noleggio di autovetture e veicoli in generale e da corsa, produzione di birra artigianale con somministrazione e ristorazione, costruzioni di edifici residenziali e non, trasporto di merci su strada, “assunzione di appalti pubblici e privati per la progettazione e costruzione di opere”, fabbricazione e messa in opera di prodotti bitumosi.

Sono stati sottoposti a sequestro anche 58 veicoli industriali e non, compresi veicoli di grossa cilindrata, nella disponibilità del compendio aziendale nonché una villa di circa 400 mq, con annesso opificio, intestati all’imprenditore e 90 rapporti finanziari.

Si tratta di un provvedimento di natura cautelare, adottato ex art. 20 d.lgs. 159/2011, dal Tribunale di Catanzaro nell’ambito del procedimento di prevenzione avviato con la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e di quella patrimoniale della confisca, sulla base delle complesse indagini di natura economico-patrimoniale e finalizzate a verificare la provenienza dell’ingente patrimonio riferibile al destinatario del provvedimento e la sproporzione rispetto ai redditi dichiarati e alla attività lavorativa.

Le investigazioni riguardano le vicende patrimoniali e imprenditoriali, direttamente e/o indirettamente riconducibili al proposto, già in passato colpito da provvedimenti interdittivi antimafia, irrogati dal Prefetto di Cosenza nel 2016. Il procedimento di prevenzione, volto alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale, è ancora in corso.

‘Ndrangheta stragista, in aula emergono gli intrecci tra clan ed eversione nera

REGGIO CALABRIA – E’ proseguito dinnanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria – presidente Bruno Muscolo – l’esame, da parte del  Procuratore aggiunto della Dda Giuseppe Lombardo, del vice-questore in servizio alla Dia, Michelangelo Di Stefano, in ordine al duplice omicidio dei carabinieri Vincenzo Fava e Antonino Garofalo, assassinati in servizio il 18 gennaio del 1994 mentre erano di pattuglia nei pressi dello svincolo autostradale di Scilla (RC). Un duplice omicidio che è costata la condanna all’ergastolo in primo grado al boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano e al capo ‘ndrangheta di Melicucco, nella piana di Gioia Tauro, Rocco Santo Filippone, quali presunti mandanti, nel quadro di un più vasto progetto di destabilizzazione delle istituzioni statali ad opera dei servizi di sicurezza deviati, di logge massoniche spurie, di ‘ndrangheta e Cosa nostra.

Di Stefano, nel corso delle precedenti cinque udienze aveva parlato anche del progetto di fondazione del movimento Lega meridionale per l’Unità nazionale, ben visto da Cossiga, Andreotti, dalla P2 e dall’ex segretario dello Ior ai tempi di mons. Marcinkus, mons. Donato De Bonis. Sul tema aveva ampiamente reso testimonianza in primo grado il testimone di giustizia Antonio D’Andrea che si era avvicinato su sollecitazione di mons. De Bonis al progetto, per poi allontanarsene, rifiutandouna grossa somma di danaro per continuare a seguirne gli sviluppi politici. Michelangelo Di Stefano, sollecitato dalla domande del Pubblico ministero, ha ripercorso le attività e i contatti con ‘ndrangheta e Cosa nostra di noti elementi dell’estremismo di destra, come Pierluigi Concutelli e Stefano Delle Chiaie, individuati a Nizza, in Costa Azzurra, nel dicembre del 1975, pochi mesi prima dell’omicidio del magistrato romano Vittorio Occorsio, assassinato da Concutelli nel luglio del 1976.

L’investigatore ha inoltre ricordato che proprio a Nizza fu battezzato il figlio di Giuseppe Graviano, con una cerimonia celebrata all’interno dell’Hotel Meridien, sulla Promenade des Anglais. Nella stessa città , secondo l’accusa, gravitava il pregiudicato reggino Vittorio Antonio Canale, personaggio che avrebbe incontrato più volte nel carcere di Parma il boss di Platì, Domenico Papalia, in violazione del regolamento penitenziario.
 

Nel corso dell’udienza è stata ribadita la figura centrale di Antonino ‘Nino’ Gangemi, di Gioia Tauro, detto ‘u signurinu’ per l’eleganza nel vestire, di cui ha parlato ampiamente il collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio. Gangemi, ‘consigliere’ ascoltatissimo del defunto capostipite “Mommo” Piromalli, era uomo di riferimento di Cosa nostra nella Piana di Gioia Tauro. Alla sua morte, la sorella di Pippo Calò si recò a Gioia Tauro per chiedere al fratello Domenico di proseguire nel ruolo già svolto dal congiunto.

Il processo riprenderà il prossimo 30 marzo con il controesame delle difese

Sequestri tra la Capitale e la Calabria al clan Piromalli. Bloccati beni da 3mln

ROMA – Beni per un valore di tre milioni di euro sono stati sottoposti a sequestro dalla Polizia per la successiva confisca. Il sequestro ha colpito due persone ritenute vicine alla ‘Ndrangheta e in particolare legate alla famiglia Piromalli di Gioia Tauro. Si tratta di C. A., di 61 anni, esponente della cosca calabrese Mammoliti di Castellace di Oppido Mamertina, già coinvolto in episodi di bancarotta fraudolenta e di F. G., usuraio di 70 anni, personaggio legato in passato a figure che gravitavano intorno a Cosa Nostra, Camorra e Banda della Magliana.

Gli agenti hanno proceduto al sequestro delle delle partecipazioni di una società di capitali con sede a Roma, attiva nel settore immobiliare, ad un complesso immobiliare nella Capitale, ad una struttura destinata ad un albergo-ristorante nella zona di Rocca di Papa e immobili a Gioia Tauro. Le indagini patrimoniali avviate dagli specialisti della Divisione Anticrimine sono state focalizzate sulla ricostruzione della “carriera criminale” e sull’analisi delle posizioni economico-patrimoniali degli interessati insieme a quelle dei rispettivi nuclei familiari.

‘Ndrangheta, favorirono la latitanza del boss Pelle: 8 arresti

REGGIO CALABRIA – Otto persone sono state arrestate a seguito di complesse indagini coordinate dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – di Reggio Calabria, dalla Squadra Mobile. Agli indagati vengono contestati, allo stato del procedimento in fase di indagini preliminari, i reati di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale, aggravati dalla circostanza mafiosa. In particolare avrebbero favorito e coperto la latitanza di Giuseppe Pelle, conosciuto come “Gambazza”, originario di San Luca e catturato il 6 aprile 2018 a Condofuri.
Le persone arrestate sono:

– Barbaro Marianna, moglie di Pelle Giuseppe;
– Pelle Antonio, figlio di Pelle Giuseppe;
– Pelle Francesco, figlio di Pelle Giuseppe;
– Pelle Elisa, figlia di Pelle Giuseppe;
– Barbaro Giuseppe, genero di Pelle Giuseppe;
– Pelle Antonio, nipote di Pelle Giuseppe;
– Morabito Giuseppe;
– Romeo Girolamo;

Il provvedimento cautelare restrittivo scaturisce dalle risultanze investigative connesse alla ricerca di Giuseppe Pelle, ritenuto esponente di spicco dell’omonima cosca di ‘ndrangheta di San Luca (già capeggiata dal defunto padre Antonio), che da aprile 2016 si era sottratto all’esecuzione di un ordine di carcerazione emesso dalla Procura Generale reggina. Doveva scontare una pena residua di anni 2, mesi 5 e giorni 20 di reclusione per associazione mafiosa scaturita dall’operazione “Reale”.

Mentre era latitante Pelle fu destinatario di un decreto di fermo di indiziato di delitto, poi tramutato in ordinanza di custodia cautelare in carcere, per il reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, nonché per turbata libertà degli incanti ed illecita concorrenza, anch’essi aggravati dal metodo mafioso (operazione “Mandamento Ionico”). In relazione a tali ultime vicende Giuseppe Pelle, è stato condannato, in primo grado, a 18 anni e 6 mesi di reclusione. Nel medesimo procedimento risulta coinvolto anche il figlio Pelle Antonio di 34 anni, anche lui condannato in primo grado alla pena di anni 14 e mesi 8 per il reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.

La rete per coprire Pelle

Protetto da una rete di fiancheggiatori prevalentemente a carattere familiare, Pelle venne catturato, dopo due anni di latitanza, in un appartamento di Contrada Pistaria a Condofuri (Rc), in un immobile di proprietà della mamma di Girolamo Romeo. Proprio grazie all’efficiente rete di protezione Pelle, durante il periodo di latitanza aveva potuto incontrare frequentemente la moglie Marianna Barbaro. Prima della su cattura a Condofuri, per come emerso dalle indagini, aveva trascorso la sua latitanza spostandosi tra San Luca e Platì in un immobile non lontano da quello della figlia Elisa Pelle, con la quale era, secondo gli investigatori, certamente in contatto.

Proprio in occasione di uno di questi spostamenti, a settembre 2016, Pelle era riuscito a sfuggire alla cattura grazie ad un articolato servizio di staffetta organizzato dal genero Giuseppe Barbaro e dal nipote Antonio Pelle mentre il latitante si trovava a bordo dell’auto con il figlio Antonio.

 

Le condotte per ‘eludere’ le indagini 

Dopo la mancata cattura, i parenti ed i fiancheggiatori di Pelle adottarono condotte ancora più accorte per eludere le indagini, senza che ciò impedisse a Marianna Barbara, di incontrarlo periodicamente proprio con l’aiuto dei figli e del genero Giuseppe Barbaro. In pratica la donna veniva trasportata in orario notturno, effettuando diverse soste durante il percorso tra le località di Natile, Careri e Bovalino e cambiando, durante il percorso, l’auto a bordo della quale viaggiava. Grazie ad un articolato sistema di monitoraggio messo in atto dal gruppo investigativo addetto alle ricerche del latitante si riuscì tuttavia ad individuare la località ove lo stesso poteva aver trovato rifugio, ossia l’abitato di Condofuri, ove le attenzioni investigative si concentrarono su Girolamo Romeo e sul cognato Giuseppe Morabito, residente in Contrada Pistaria di Condofuri, dove attraverso telecamere appositamente posizionate, agli inizi di aprile, si accertò l’effettiva presenza di Pelle.

 

Dallo stesso monitoraggio emerse che il latitante, all’alba di ogni giorno, precauzionalmente abbandonava il covo, passando la giornata all’aperto in contrada “Mazzabarone” di Condofuri dove Giuseppe Morabito e Girolamo Romeo gestivano una azienda agricola ed un allevamento di bestiame, facendo poi rientro in contrada Pistaria solo in tarda serata, per cenare e trascorrere poche ore di sonno. Anche il trasferimento dal covo alla campagna era sistematicamente preceduto da una preliminare bonifica del percorso, che Giuseppe Morabito effettuava a bordo di una Ford Fiesta, per poi trasportare il latitante a bordo del fuoristrada Defender. Acquisiti questi preziosi elementi, il 6 aprile 2018, la Polizia di Stato faceva irruzione nell’appartamento di contrada Pistaria, ponendo fine alla latitanza di Pelle.

‘Ndrangheta, ‘spedizioni punitive’ e pestaggi a Rossano. Arrestati in 4

CORIGLIANO ROSSANO (CS) – I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Cosenza e del Reparto Territoriale di Corigliano-Rossano hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di quattro persone ritenute gravemente indiziate, a vario titolo, di lesioni aggravate, violenza privata e danneggiamento seguito da incendio, con l’aggravante di aver commesso i fatti con metodo mafioso, in ragione dell’eclatanza dell’azione, per aver agito in pieno giorno, a viso scoperto ed in centro città, avvalendosi quindi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà della popolazione che da quella derivano, oltre che per incrementare il prestigio criminale sul territorio, in contrapposizione con soggetti gravitanti nel contesto della criminalità organizzata locale. 

Il provvedimento costituisce, di fatto, il seguito di quello già eseguito il 27 luglio 2021, che aveva determinato l’arresto di due persone ritenute gravemente indiziate dei violenti pestaggi in danno di soggetti riconducibili al sodalizio di ‘ndrangheta Acri-Morfò, nel corso del quale erano stati danneggiati i veicoli in uso alle vittime mediante l’utilizzo di bastoni e mazze da baseball e, in un caso, addirittura appiccando le fiamme che avevano distrutto completamente un ciclomotore. La ricostruzione della dinamica di quelle azioni delittuose, compiute il precedente 13 luglio, era risultata corroborata da una serie di elementi acquisiti nel corso dell’attività investigativa condotta nell’immediatezza dei fatti, tra cui il sequestro a carico degli indagati di tre mazze da baseball, un bastone ed una tanica di benzina, certamente riconducibili alla spedizione punitiva attuata. Proprio quei fatti si inquadravano in una serie di avvenimenti accaduti in stretta successione nel territorio di Rossano, che attestavano l’esistenza di reciproche attività intimidatorie e ritorsive poste in essere da  esponenti della citata cosca da un lato e dai due soggetti all’epoca arrestati dall’altro, di cui uno di spiccato calibro delinquenziale in quanto già condannato per associazione mafiosa. 

Le successive attività investigative condotte, oggetto dell’odierno provvedimento cautelare, hanno consentito di individuare elementi a carico di  ulteriori due soggetti che avevano attivamente partecipato ai violenti pestaggi del 13 luglio 2021, nonché di ricostruire la dinamica di un terzo pestaggio, risalente al 12 luglio 2021, contestato agli stessi quattro indagati ed anch’esso caratterizzato da inaudita violenza in quanto compiuto addirittura alla presenza della moglie e della figlia minore della vittima.     

Due degli odierni arrestati, Solferino Andrea Pio e De Martino Ivan, ventenni, sono stati condotti presso il carcere mentre altri due, Solferino Gaetano di anni 42 e Solferino Gaetano di anni 23, sono stati raggiunti dal provvedimento trovandosi già detenuti in carcere in virtù della precedente misura cautelare emessa nei loro confronti. 

‘Ndrangheta: maxi sequestro al papà di Iaquinta, ex calciatore campione del mondo

BOLOGNA – Un patrimonio di oltre 10 milioni di euro composto da due società edili, 71 immobili ubicati nelle province di Reggio Emilia, Brescia e Crotone, due auto e numerosi rapporti bancari. E’ il valore dei beni sequestrati dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bologna, su proposta della Dia, a Giuseppe Iaquinta, padre dell’ex calciatore Vincenzo, campione del mondo nel 2006. Iaquinta, imprenditore, è ritenuto appartenente alla ‘ndrangheta operante in Emilia-Romagna, ed era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nel gennaio 2015 nell’ambito dell’operazione ‘Aemilia‘, poi condannato nel 2018 dal Tribunale di Reggio Emilia a 19 anni di reclusione. Pena successivamente rideterminata, in sede di appello, a 13 anni per i reati di associazione mafiosa e detenzione illegale di armi e munizioni.

Anche l’ex giocatore è stato coinvolto nello stesso processo, per reati di armi: per lui la condanna, confermata in appello, è stata a due anni con la sospensione condizionale. Il ruolo di Giuseppe Iaquinta, secondo quanto accertato nel corso delle indagini svolte sotto la direzione della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, corroborate dalle testimonianze di diversi collaboratori di giustizia, era quello di “volto pubblico” dell’associazione mafiosa, in grado, quale imprenditore di successo, di fungere da chiave di accesso per i sodali negli ambienti della imprenditoria e delle istituzioni. Gli accertamenti della Dia hanno evidenziato, come riconosciuto dal Tribunale di Bologna, una netta sproporzione tra i redditi dichiarati e il patrimonio accumulato. 

‘Ndrangheta, maxi sequestro da 15 milioni ad un pregiudicato

MILANO – La Direzione Investigativa Antimafia, su disposizione del Tribunale di Reggio Calabria, ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni nei confronti di un soggetto residente nel comasco. La misura cautelare scaturisce da approfondite indagini patrimoniali delegate al Centro Operativo DIA di Milano dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nei confronti dell’intero nucleo familiare del soggetto. Quest’ultimo è stato ritenuto socialmente pericoloso sulla base di un curriculum criminale ultratrentennale iniziato nel 1988 durante il quale oltre a riportare numerose condanne per reati predatori (associazione per delinquere, ricettazione, rapine e furti anche di auto di lusso) è risultato gravemente indiziato di appartenere a una cosca mafiosa di matrice ‘ndranghetista.

Il destinatario della misura infatti era già stato indagato nell’ambito di un’operazione antimafia che nel luglio 2016 aveva portato all’arresto di 40 soggetti affiliati e contigui alla ‘ndrangheta. In tale contesto lo stesso venne ritenuto partecipe nel favorire l’attività imprenditoriale del sodalizio criminale quale socio occulto in alcune aziende al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione. Altri sospetti sono scaturiti dalle numerose segnalazioni di operazioni finanziarie sospette che hanno messo in luce i collegamenti fra tre società di giochi e scommesse riconducibili all’indagato e alla criminalità organizzata.

I beni sequestrati oggi sono stati acquistati, costituiti, capitalizzati ed alimentati in costanza di sperequazione rispetto ai redditi dichiarati. Sulla base del compendio probatorio sono altresì emersi indizi sufficienti per ritenere quei beni il frutto o il reimpiego delle attività illecite del prevenuto.Per il soggetto è scattata anche la misura provvisoria dei divieti previsti dal codice antimafia con cui in sintesi viene inibito di ottenere tra l’altro licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio.

‘Ndrangheta, sequestrati beni per 2 milioni al clan Pesce

ROMA – La Direzione investigativa antimafia, coordinata dal procuratore distrettuale di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, ha eseguito un provvedimento di confisca di beni per un valore di circa due milioni di euro emesso da quel Tribunale – Sezione misure di prevenzione, nei confronti di un esponente di spicco della cosca Pesce, egemone nel comune di Rosarno. Si tratta di un uomo attualmente detenuto che ha riportato 2 condanne con provvedimenti emessi dalla Corte di Appello reggina, passati in giudicato rispettivamente nel 1994 per il reato di associazione a delinquere semplice e nel 1996 per quello di associazione a delinquere mafiosa. Inoltre, è stato già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per tre anni con decreto della stessa Corte, diventato definitivo nel 1993.

Nel 2014 è stato coinvolto in un’indagine condotta dal centro operativo Dia di Reggio Calabria insieme ai carabinieri del Ros di Reggio Calabria e coordinata dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria – Dda, che aveva portato alla scoperta di un sistema di usura le cui vittime erano imprenditori calabresi e lombardi in difficoltà. Per tali vicende, con sentenza del febbraio 2018, emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria e passata in giudicato nell’aprile 2019, il pregiudicato è stato condannato a 4 anni di reclusione per il reato di trasferimento fraudolento di valori con l’aggravante di aver agevolato la ‘ndrangheta

Per la formalizzazione del provvedimento odierno, la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ha tenuto conto della pericolosità sociale “qualificata” in quanto “soggetto partecipe alle cosche di ‘ndrangheta operanti del mandamento tirrenico reggino nonché consapevole di agevolarle…”. E’ stata altresì accertata, come riconosciuto dal Tribunale di Reggio Calabria fatte salve le successive valutazioni in un eventuale successivo grado di giudizio, la sussistenza in capo al prevenuto di una conclamata disponibilità di due aziende intestate a soggetti prestanome al fine di agevolare gli interessi illeciti della ‘ndrangheta nonché una evidente sproporzione tra i redditi dichiarati dello stesso e dal suo nucleo familiare, rispetto agli investimenti effettuati nel tempo.

Confiscati beni da 2 milioni di euro

Il patrimonio sottoposto a confisca consiste in 2 società operanti nel settore costruzioni di edifici e smaltimento rifiuti solidi non pericolosi, 8 immobili, tra cui un capannone con uffici aziendali di rilevanti dimensioni e diversi terreni agricoli, 10 beni mobili registrati di cospicuo valore aziendale, tra cui diverse macchine operatrici semoventi, un rimorchio, un semirimorchio, diversi autocarri, una autovettura e rapporti finanziari aziendali. Il valore complessivo dei beni sottoposti a confisca è stimato in due milioni di euro.
Con lo stesso provvedimento, fatte salve le successive valutazioni in un eventuale successivo grado di giudizio, la Sezione misure prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto per l’uomo la misura di anni 5 della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno.

‘Mala pigna’, l’ex senatore Pittelli si difende “sono una persona perbene”

REGGIO CALABRIA – L’avvocato Giancarlo Pittelli, arrestato per concorso esterno con la ‘ndrangheta martedì nell’ambito dell’inchiesta “Malapigna” ha risposto alle domande dei pm per 4 ore. Assistito dai suoi avvocati l’ex senatore di Forza Italia detenuto nel carcere di San Pietro, a Reggio Calabria, ha sostenuto l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Vincenza Bellini che ha emesso nei suoi confronti l’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e dei sostituti della Dda Gianluca Gelso, Paola D’Ambrosio e Giorgio Panucci.

L’indagine, condotta dai carabinieri forestali, ha fatto luce su un traffico di rifiuti gestito dalla cosca Piromalli di Gioia Tauro. Secondo i pm Pittelli era “uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento avendo instaurato con la ‘ndrangheta uno stabile rapporto ‘sinallagmatico’”.

L’indagine e il rapporto con Delfino

Nel corso dell’interrogatorio, Giancarlo Pittelli si è difeso sostenendo che il suo rapporto con Rocco Delfino, il principale indagato, era di tipo esclusivamente professionale. Ha contestato, inoltre, le dichiarazioni rese nei suoi confronti dal collaboratore Cosimo Viriglio e dal giudice Marco Petrini che lo aveva accusato di voler sistemare un processo a Catanzaro. Si tratta di fatti che, secondo Pittelli, sono stati già oggetto di indagine da parte della Procura di Salerno che ha archiviato la sua posizione dopo la ritrattazione di Petrini. 

L’ex senatore, secondo quanto si è appreso, ha riferito anche in merito all’accusa di aver svolto il ruolo di “postino” per conto dei boss di Gioia Tauro. Secondo gli inquirenti, inoltre, “facendosi portavoce delle esigenze della cosca”, Pittelli avrebbe sottoposto all’attenzione di Rocco Delfino, ritenuto “soggetto di estrema fiducia” della famiglia mafiosa, “una missiva proveniente da Antonio Piromalli finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli, indagato quale mandante, in concorso con altri capi di cosche di ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, dell’omicidio del giudice Scopelliti”, il sostituto procuratore generale della Cassazione ucciso il 9 agosto del 1991 in un agguato a Campo Calabro, nel reggino.

“Sono una persona perbene”

“Io – ha detto Pittelli nel lungo interrogatorio – sono una persona perbene. Ormai tutta la melma me la state scagliando addosso. Delfino si era proposto di sostenere alcune spese ma io ho rifiutato perché se ne sarebbe occupata la moglie. L’intercettazione è chiara”. La difesa dell’ex parlamentare ha anticipato, infine, che produrrà la missiva di Piromalli che Pittelli ha mostrato a Delfino. Una lettera che, secondo gli avvocati, “non può contenere niente di illecito perché, essendo Piromalli al 41 bis, aveva il timbro di censura. Il contenuto riguardava semplicemente la strategia processuale. Non c’era un messaggio né sull’omicidio Scopelliti né di altro genere”.

‘Ndrangheta, uccisero il fratello di un pentito. 4 arresti tra Calabria e Marche

REGGIO CALABRIA – I carabinieri del Ros hanno arrestato quattro persone ritenute appartenenti alla ‘Ndrangheta. I 4 soggetti sono accusati dei reati di associazione di tipo mafioso, omicidio e detenzione illegale di armi. Reati, questi ultimi, aggravati dall’aver commesso il fatto al fine di agevolare la ‘ndrangheta. L’operazione scattata all’alba è stata eseguita con il supporto, in fase esecutiva, dei comandi provinciali di Ancona, Reggio Calabria, Catanzaro, Brescia, Napoli, Torino, Pesaro, Vibo Valentia e del Gruppo intervento speciale (Gis).

I quattro sono ritenuti al servizio della cosca Crea di Rizziconi e le indagini hanno fatto luce sull’omicidio di Marcello Bruzzese, fratello del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese, ucciso per una “vendetta trasversale” della cosca di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, il giorno di Natale del 2018.

Gli uomini del clan hanno agito conoscendo la località protetta dove risiedevano i familiari del pentito Bruzzese. I sicari incappucciati hanno atteso Marcello Bruzzese fuori dalla sua abitazione, nel centro storico di Pesaro, in via Bovio, sparandogli contro un intero caricatore con una pistola automatica calibro 9.