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“Sistema Rende”, il pm Bruni chiede il processo per Sandro Principe

CATANZARO – Dopo tre udienze il pm della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni, ha concluso la sua requisitoria nell’udienza preliminare a carico dei dieci indagati nell’inchiesta “Sistema Rende”. Bruni ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex assessore regionale Sandro Principe, dell’ex sindaco di Rende Umberto Bernaudo e degli ex assessori comunali Pietro Ruffolo e Giuseppe Gagliardi. Bruni ha chiesto inoltre la condanna dei sei indagati processati con rito abbreviato. Nella sua requisitoria il pm ha parlato di «costante utilizzazione del clan Lanzino-Ruà in varie campagne elettorali». Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa, voto di scambio e corruzione.

Nel processo col rito abbreviato il pm Bruni ha chiesto la condanna a sei anni di reclusione per Michele Di Puppo e Adolfo D’Ambrosio, presunti affiliati alla cosca Lanzino-Ruà; 4 anni per Francesco Patitucci e Umberto di Puppo, anche loro presunti del gruppo criminale, ed un anno e 4 mesi per l’ex consigliere regionale Rosario Mirabelli e per il suo collaboratore Marco Paolo Lento. L’udienza preliminare davanti al gup, Pietro Carè, proseguirà il 23 giugno, mentre il processo con rito abbreviato è fissato per il 22 settembre.

 

Franco Bruno incontra Principe: «Rende non è Gomorra»

«Rispetto il lavoro dei magistrati, ma Rende come Gomorra appare inverosimile». Sono parole del parlamentare calabrese del gruppo misto Franco Bruno. Il deputato ha usufruito di un permesso per incontrare Sandro Principe, agli arresti domiciliari dallo scorso mese di marzo con l’accusa di corruzione elettorale aggravata e concorso esterno in associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetista. La misura cautelare scaturisce dalle indagini condotte dalla Direzione Distrettuale di  Catanzaro. Secondo l’accusa vi sarebbe stato un “intreccio” politico/mafioso che consentì a Principe il rinnovo delle cariche istituzionali coperte nel consiglio comunale di Rende dal 1999 al 2011, nel consiglio provinciale di Cosenza del 2009 e nel consiglio regionale della Calabria del 2010. Tali cariche, secondo gli inquirenti, sono state favorite dal voto di scambio concesso dalle cosche locali Lanzino-Ruà di Cosenza. «Grazie alla disponibilità del magistrato incaricato ho avuto modo di incontrare Sandro Principe. È stato un incontro toccante. L’uomo è amareggiato. Addolorato per quanto gli accade. Fisicamente provato. Ma non piegato. Io non ho mai avuto una stretta frequentazione politica con Sandro Principe. Non provengo dalla sua stessa storia ma per un pezzo di strada abbiamo fatto parte della stessa coalizione e dello stesso partito. Poi io da quel partito sono andato via. Salvo alcune eccezioni non avvertivo di far parte di una comunità che esprimesse molta solidarietà al suo interno. Invece, conosco meglio Principe da cittadino dell’area urbana, da residente di Rende. Per questo sono incredulo – ha detto Franco Bruno – Come tutti aspetto il corso della giustizia. Aspetto il processo. Ma che Rende da modello positivo del Mezzogiorno sia diventata una delle Gomorre del sud non mi convince. Che Principe, così come gli altri amministratori coinvolti, siano degli “associati” della potentissima mafia calabrese mi risulta difficile solamente pensarlo. Vorrebbe dire – ha affermato il parlamentare calabrese – che in questi anni in cui sono stato alleato con lui, suo segretario di partito, uno di quelli che insieme a Loiero, Minniti e ai vertici nazionali lo hanno inserito nell’allora listino regionale, anche come simbolo degli amministratori locali costretti a subire quotidianamente violenze e intimidazioni in terra di Calabria, non ho capito niente. Non mi sono mai accorto di niente. Come tanti altri che adesso restano silenti. Così come di niente si sono accorti persino nella direzione nazionale del Pd. A me pare assai più probabile che ci fosse ben poco di cui accorgersi su questo versante. La giustizia – ha concluso Bruno – farà il suo corso. Ma credo e temo che questa volta le autorità preposte siano incappate in un errore. Ne sono dispiaciuto. Si tratta di inquirenti importanti, capaci, che svolgono un lavoro delicato e che hanno mostrato nel tempo le loro qualità. Per questo posso provare a dissentire sapendo di non intaccare affatto la loro autorevolezza e indipendenza. Ma se le notizie che apprendo della stampa sono veritiere, e ammesso che si tratti di fatti accaduti per come riportati, l’ipotesi che in una comunità come quella rendese che ha costruito nel tempo un gioiellino amministrativo e territoriale, che ha registrato negli anni investimenti costanti per svariate centinaia di milioni di euro, il rapporto con la ‘ndrangheta si sia concretizzato nella concessione della gestione di un bar mi sembra alquanto inverosimile. Così come poco verosimile mi sembra che la ‘ndrangheta, la più potente organizzazione criminale mondiale, quella che ha sostituito nei traffici illeciti cosa nostra, che tratta alla pari con i cartelli messicani e i narcos colombiani, con la mafia russa e l’alta finanza, quella che gestisce il riciclaggio e si infiltra nei grandi appalti, la ‘ndrangheta che ci raccontano De Raho e Gratteri si adoperi con tanto zelo solo per stabilire a Rende un rapporto pressoché costante di scambio di voti con la politica ottenendone in cambio solo qualche precario e mal pagato posto di spazzino. Purtroppo temo che non sia questa la mafia calabrese».

‘ndrangheta e politica, revocata misura cautelare per presunto esponente cosche di Cosenza

RENDE (CS) – Il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha deciso di revocare la misura cautelare per Michele Di Puppo, ritenuto esponente di vertice della cosca Lanzino-Ruà e coivolto nell’inchiesta della Dda, denominata “Sistema Rende”, che sta cercando di fare luce su presunte collusioni tra ‘ndrangheta e politica. Nell’operazione del 23 marzo scorso il gip aveva disposto il carcere anche per altri presunti appartenenti al clan, come Francesco Patitucci, Adolfo D’Ambrosio e Umberto Di Puppo, e i domiciliari per politici eccellenti: l’ex sottosegretario Sandro Principe, l’ex consigliere regionale Rosario Mirabelli, gli ex consiglieri provinciali Pietro Ruffolo e Giuseppe Gagliardi, l’ex sindaco di Rende Umberto Bernaudo, e domiciliari anche per Marco Paolo Lento ritenuto dagli inquirenti l’elemento di congiunzione tra la cosca e i politici. Per i politici, che devono rispondere di corruzione elettorale e voto di scambio, il Riesame si è già espresso lo scorso 11 aprile, revocando la misura cautelare per Ruffolo, Mirabelli, Gagliardi, Bernaudo e Lento e rigettando invece la richiesta di scarcerazione per Principe che, del troncone politico, è l’unico che rimane agli arresti domiciliari. Per i presunti esponenti della cosca invece il Trobunale del Riesame ha revocato la misura cautelare per tutti, tranne che per D’Ambrosio che passa dalla misura cautelare in carcere agli arresti domiciliari almeno per questa inchiesta perché allo stato è detenuto al 41 bis per altre vicende.

Sistema Rende, lunedì la decisione sulla scarcerazione degli indagati

CATANZARO – Slitta la decisione del tribunale del riesame in merito all’istanza di scarcerazione di Sandro Principe, Giuseppe Gagliardi, Rosario Mirabelli, Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo, ancora agli arresti domiciliari perché accusati, nell’ambito dell’operazione denominata “Sistema”, di concorso esterno in associazione mafiosa e di aver ricevuto il sostegno elettorale del clan Lanzino. Il ricorso dei legali che assistono gli indagati è stato discusso in giornata nel corso di un’udienza protrattasi per oltre sei ore. I difensori degli indagati (gli avvocati Franco Sammarco, Franz Caruso, Giovanni Merante, Francesco Calabrò) hanno portato all’attenzione del giudice elementi che dimostrerebbero l’estraneità dei loro assistiti ai fatti contestati, insistendo per la loro scarcerazione. A rappresentare l’accusa erano presenti in aula il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e il sostituto Pierpaolo Bruni. I magistrati della Dda hanno depositato un verbale con le dichiarazioni di Amerigo Castiglione, candidato a sindaco di Rende nel 2011, e una nota del segretario comunale di Rende sulla nomina a dirigente di Ernesto Lupinacci. La decisione del Tribunale è attesa per lunedi’.

Arresti Rende, anche il boss Lanzino assunto nelle cooperative

RENDE (CS) – C’era anche il boss Ettore Lanzino fra le persone impiegate nella cooperativa Rende 2000. La sua assunzione, è stato ricostruito dagli inquirenti nell’inchiesta, avvenne nel 2008 e durò alcuni mesi. Un collaboratore di giustizia ha svelato che il boss cosentino “venne assunto solo in modo fittizio tale da fargli percepire lo stipendio (ammontante a circa 750 euro mensili) pur senza prestare effettiva attività lavorativa”. Lanzino, condannato per omicidio, era stato inserito nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi. Venne arrestato nel 2012 in un appartamento di Rende. Per gli inquirenti della Dda di Catanzaro e per il gip Carlo Saverio Ferraro, la sua, come “tutte le assunzioni presso la cooperativa Rende 2000, venivano decise o condivise da Sandro Principe”.

Arresti Rende, le pressioni di Principe su Cavalcanti

RENDE (CS) –  “Ma pensa a fare il sindaco che stai facendo il procuratore della Repubblica!”. Cosi’ Sandro Principe, agli arresti domiciliari da stamani per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata per avere favorito la ‘ndrangheta, si rivolgeva al sindaco di Rende Vittorio Cavalcanti quando questi si opponeva alle sue ingerenze nell’attività amministrativa dell’Ente. E’ quanto si evince dalle parole dello stesso Cavalcanti pronunciate in una conversazione – intercettata dai carabinieri e finita nell’ordinanza di custodia cautelare – che l’ex sindaco ebbe con la moglie nel settembre del 2013, tre mesi dopo le sue dimissioni presentate, a due anni dall’elezione, a causa dell'”ingerenza eccessivamente invasiva – ha detto Cavalcanti interrogato dai pm – sulle scelte mie quale sindaco, degli assessori e dei dirigenti da parte di Principe stesso”. Cavalcanti, benché Principe non avesse più alcun ruolo formale in Comune, non poteva prendere alcuna decisione. Confidandosi con un amico, in un’altra conversazione intercettata, racconta di avere ricevuto la visita di una persona che voleva sapere se era possibile attuare un certo progetto. “E quando io – dice – come al solito da coglione ne ho parlato con Sandro lo sai che ha detto? ‘Questo non se ne parla nemmeno! Che glielo dico io, che mo lo chiamo io e glielo dico .. ma come caz.. ti permetti?’ Cioé non aveva, non ha acconsentito nemmeno che uno me ne veniva a parlare di un problema”. In un’altra circostanza, “due licenze” ritenute conformi alla legge erano “state tutte osteggiate – dice Cavalcanti – in maniera violenta da lui” perché una riguardava un imprenditore che aveva votato per un altro esponente del Pd, Carlo Guccione, ed un’altra un costruttore che era all’opposizione. In una circostanza, in occasione di un incontro pubblico, Cavalcanti avrebbe voluto evidenziare le criticità nella gestione della coop che, secondo l’accusa, sarebbe stata in mano alle cosche, ma “avendo anticipato il contenuto del mio discorso mi fu impedito di parlare”.

Arresti Rende, i magistrati: “Minate le regole democratiche”

CATANZARO – “Un sistema fortemente inquinato dalla criminalità organizzata, un’amministrazione pubblica piegata agli interessi del clan”. Così il procuratore facente funzioni di Catanzaro Giovanni Bombardieri ha sintetizzato il quadro emerso dall’inchiesta che ha portato all’arresto di dieci persone tra politici e affiliati alla cosca di ‘ndrangheta Lanzino-Ruà, egemone in provincia di Cosenza. I particolari dell’operazione sono stati resi noti durante una conferenza stampa cui hanno partecipato, oltre a Bombardieri, l’aggiunto Vincenzo Luberto, il comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza, col. Fabio Ottaviani, e il maggiore Michele Borrelli. L’inchiesta, condotta da Luberto e dal pm Pierpaolo Bruni, si è avvalsa di intercettazioni telefoniche e ambientali, dichiarazioni di alcuni collaboratori e racconti forniti da soggetti interni al Comune di Rende, funzionari e politici, sentiti dagli inquirenti come persone informate sui fatti. Ciò avrebbe consentito di ricostruire “la sistematicità di condotte illecite” in un periodo di tempo che va dal 1999 al 2014. I politici coinvolti avrebbero garantito, in cambio di voti, concessioni, appalti e assunzioni agli esponenti del clan Lanzino-Ruà. Al centro del “sistema Rende” vi sarebbe stata la cooperativa “Rende 2000”. “La coop – ha detto Bombardieri – era completamente in mano alla cosca, tanto che parte delle retribuzioni veniva versata nella ‘bacinella’ per le spese del clan”. L’ex sottosegretario al Lavoro Sandro Principe, anche dopo aver lasciato il ruolo di sindaco, avrebbe continuato a “influenzare fortemente l’agire dell’amministrazione”. Vittorio Cavalcanti, che lasciò prima della fine del mandato la poltrona di primo cittadino, “ha riferito – ha detto Bombardieri – delle forti pressioni subite da parte di Principe, che voleva continuare a dirigere l’amministrazione convocando autonomamente i funzionari e addirittura impendo al sindaco in carica di prendere la parola in un dibattito pubblico. Le ‘regole rendesi’ dovevano continuare a essere rispettate”. Bombardieri ha poi citato l’intercettazione in cui Cavalcanti, sfogandosi con la moglie per i continui interventi di Principe, esclama: “Mi dice che devo fare il sindaco e non il procuratore. Vorremmo – ha aggiunto il procuratore – che i sindaci facessero le persone oneste e che si occupassero del bene comune dei cittadini in modo da evitare l’intervento della magistratura”. Di “mercificazione del pubblico” ha parlato Luberto. “Ci sono conversazioni – ha detto – che offrono uno spaccato terribile della frustrazione dell’interesse pubblico. Le assunzioni venivano gestite in collusione con il clan, i manifesti elettorali venivano affissi dai lavoratori socialmente utili delle coop coinvolte nell’inchiesta. Questa è stata la realtà di Rende”. Soddisfazione per l’esito del lavoro investigativo è stata espressa da Ottaviani. “Questa indagine – ha detto – va a svelare l’atto più grave che possa commettere la criminalità organizzata, quello di minare il diritto dei cittadini a governarsi secondo le regole democratiche”.

Arresti Rende, le cantate dei pentiti che hanno inguaiato i politici

CATANZARO – Sono state le dichiarazioni di alcuni pentiti ad imprimere una svolta nelle indagini condotte da pool della DDA composto dai magistrati Bombardieri, Luberto e Bruni e che ha portato all’arresto di alcuni esponenti politici di spicco della città di Rende e ad elementi organici al clan Lanzino-Ruà. Secondo quanto riferito dallo stesso procuratore Bombardieri nel corso di una conferenza stampa che si è da poco conclusa a Catanzaro, in procura, nel corso delle indagini gli investigatori sono stati guidati anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Si tratta di Pierluigi Terrazzano, Roberto Violetta Calabrese e Adolfo Foggetti, tutti esponenti apicali della cosca Lanzino-Ruà. In particolare, Pierluigi Terrazzano, in un verbale di interrogatorio del 27 dicembre 2012, racconta un incontro presso le piscine di Quattromiglia di Rende, in occasione della campagna elettorale per l’elezione a sindaco di Rende nel 2011, con Sandro Principe e il fratello di un dirigente comunale che non è indagato, ma è indicato dal pentito come “vicino ad ambienti massonici e politici”. Adolfo D’Ambrosio, considerato elemento di spicco della cosca Lanzino-Ruà, avrebbe chiesto 100.000 euro per sostenere la candidatura di Sandro Principe lle regionali del 2010. La frase è stata intercettata nel carcere di Cosenza, durante un colloquio tra lo stesso D’Ambrosio, detenuto, e il figlio Aldo, avvenuto il 12 marzo 2014. «L’operazione contro la cosca di Rende e i politici della città del Cosentino, tra i quali l’ex sottosegretario di Stato, Principe, evidenzia, dunque, non solo favori e assunzioni, ma anche l’elargizione di denaro» hanno messo in evidenza i maistrati.

Crucoli, è funzionante la video-sorveglianza della Towervision

TORRETTA DI CRUCOLI (CROTONE) – La Towervision di Torretta ha installato il suo sistema di video-sorveglianza. Quattro telecamere ad alta definizione (di cui due con led ad infrarossi) e otto punti di connessioni wireless saranno da stanotte utilizzati per controllare aree del paese. L’ annuncio, dato da ambienti mediatici vicini al comune crucolese, contiene pure il costo dell’acquisto: 20 mila euro, senza escludere il collaudo e l’esecuzione. La video-sorveglianza sarà controllata dalle delegazioni municipali di Crucoli e Torretta, che già visionano i filmati delle due telecamere del lido “Barcanolo”. Gli altri “occhi” sono stati poggiati nei sottopassi ferroviari Pianagrande e Principe (una telecamera a sottopasso, per visionare anche le ore notturne e un raggio di 150 metri) e nella zona posteriore della Nuova Chiesa (due telecamere, per punire anche chi abbandona i rifiuti).

Quando si diffida della buona istruzione, del rispetto del bene pubblico e della certezza della punizione, ci si affida alla vigilanza di potenti macchinari. I trasgressori sono avvisati: il loro nuovo e forse unico nemico è la video-camera.

Francesco Cerminara

Scelti i delegati della Calabria che parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica

REGGIO CALABRIA- Il Consiglio regionale della Calabria ha eletto i delegati che parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica. Sono il presidente della Giunta regionale di centrodestra, Giuseppe Scopelliti, il capogruppo del Pdl Gianpaolo Chiappetta ed il capogruppo del Pd, Sandro Principe. L’Udc, che in Calabria è in maggioranza con il Pdl, ha deciso di votare scheda bianca.