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[#SerieTv] Supernatural, uno sguardo agli episodi 20/21 dell’XI Stagione

Ogni volta i finali di stagione delle serie tv ci sembrano lontanissimi, eppure anche quest’anno siamo arrivati a Maggio e i telefilm rimasti in programmazione iniziano ad avviarsi alla conclusione. A pochi episodi dalla fine, Supernatural ha subìto una svolta che potrebbe permettere il rinnovo per tante altre stagioni, viste le infinite possibilità che lascia aperte.
Sul finale di stagione, siamo nel bel mezzo della lotta tra i fratelli Winchester e Amara, personificazione dell’Oscurità. Mercoledì 11 Maggio 2016, infatti, negli Stati Uniti, è andato in onda il ventunesimo episodio dell’undicesima stagione, intitolata “All in the Family”, che ha puntato l’attenzione sulla ricerca di Amara e del suo ostaggio, Lucifero. Si comincia già a sentire, quindi, la tensione per il tanto atteso incontro fra l’Oscurità e la sua controparte, Dio. Si, proprio Dio. Facciamo un passo indietro: non è dell’episodio ventuno che voglio parlare, ma dell’episodio precedente, “Don’t Call Me Shurley”, che ha rappresentato una svolta radicale per le vicende dei fratelli Winchester. Ovviamente, un evento così importante non poteva che essere segnato da un episodio di altissimo livello, considerato da qualcuno il migliore di tutta la serie. Ti avverto, ci sarà qualche spoiler, nulla di grosso, ma se non hai ancora visto la puntata, ti consiglio di non leggere niente di più e godertela, sapendo che resterai senza fiato per l’emozione.

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Tutti i fans di Supernatural sanno benissimo quanto il prodotto, appena rinnovato per una dodicesima stagione, continui a essere molto accattivante, nonostante “l’età” della serie, senza mai stancare. Questa volta gli autori si sono proprio superati. L’episodio non lascia molto spazio all’azione, è più che altro una discussione fra Metatron, angelo ormai decaduto e un tempo scriba del Paradiso, e Dio. Dopo undici anni di mostri, demoni, Lucifero, divinità varie e altre entità bibliche, finalmente gli ideatori della serie si sono decisi a far conoscere il grande capo. Non dirò qui chi è il personaggio che ha avuto la fortuna, o il fardello, di interpretare qualcosa di tanto fondamentale perché è un’emozione troppo importante e devi avere l’onore e il piacere di scoprirlo da te. Sarà una sorpresa?
Cambiano tante cose in questo episodio: innanzitutto scopriamo un Metatron completamente cambiato che, umanizzato, ha compreso il dolore dell’essere soli nel mondo e che, quindi, è diventato a sua volta un vero umano; quando viene catapultato in un bar vecchio stile, incontra, finalmente, il Padre, scomparso da millenni perché deluso dal suo intero creato. L’angelo decaduto è stato una delle sorprese più grandi; vederlo passare da antagonista viscido e subdolo a personaggio ormai finito che ha avuto una delle maturazioni più importanti dell’intera serie, è stato completamente inaspettato e, sicuramente, gran parte del merito va alla recitazione magistrale di Curtis Armstrong.

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Metatron viene chiamato da Dio per lavorare come redattore della sua biografia, intitolata “Dio. Un’autobiografia.”. Nel corso delle correzioni si assiste a un duello di ragioni e motivazioni: da una parte il Creatore, definitivamente disinteressato del pericolo dell’Oscurità che incombe sull’intero Universo, dall’altra parte lo scriba, che lo venera ma, al tempo stesso, lo contrasta considerevolmente. Ne risulta un episodio di un’intensità sconvolgente, in cui viene delineata, addirittura, la trama psicologica di Dio stesso che spiega di essersi lasciato andare a un grande sconforto, dovuto al comportamento degli umani, che sembrano distruggere tutto solo per il proprio tornaconto. Sarà proprio Metatron in lacrime a fargli capire quanto, in realtà, la sua più grande creatura, ovvero l’uomo, sia dotata di enormi qualità, che nemmeno egli stesso, come Padre, possiede.

Intanto, Sam e Dean si trovano a indagare su un caso collegato all’Oscurità: una nube misteriosa sta contagiando un’intera cittadina con conseguenze catastrofiche. La situazione dei due fratelli Winchester fa quasi da contorno alla discussione, divina in tutti i sensi, che sta avvenendo da qualche parte nel Creato, ma si riserva la capacità di farci capire quanto il pericolo di Amara sia ormai fuori controllo.
Il tocco più emozionante dell’episodio, sulle note di una personale versione acustica di Dink’s Song, canzone folk popolare interpretata dal Creatore stesso, viene a palesarsi quando Dio decide di riprendere il suo posto nel regno divino, allontanando il pericolo incombente.

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Non c’è molto da aggiungere di fronte alla monumentalità di questo episodio. Come già successo con Lucifero, la cui prospettiva psicologica era stata delineata alla perfezione e da un punto di vista originale, anche con Dio gli autori si sono permessi di azzardare motivazioni profonde riguardo il suo operato, dimostrando una particolare delicatezza, visto l’argomento complesso da vari punti di vista a cui si stavano per imbattere. Mettere in scena una rete introspettiva che fa accostare la divinità più nota dell’Occidente ad una visione più uomo che sovrannaturale, senza cadere nel banale, richiede una recitazione perfetta e una spiccata sensibilità. Nonostante l’estrema difficoltà del tema trattato, da Supernatural è nato un piccolo capolavoro.

Buona visione!

Paolo Gabriele De Luca

[#Anime] Ajin, immortali tra gli uomini

Ajin è una serie tv di 13 episodi, tratta dall’omonimo manga di Gamon Sakurai, andata in onda durante la stagione invernale 2016 e terminata un paio di settimane fa. L’anime è prodotto dallo studio Polygon Pictures, famoso per l’utilizzo massiccio della computer grafica (in particolare la tecnica nota come Cel Shading) nelle sue produzioni.

La trama risulta essere molto interessante: gli Ajin sono esseri immortali che vagano per il pianeta Terra, dall’aspettoajin3 assolutamente identico a quello degli esseri umani. Ad ogni decesso ritornano in vita, rimarginando tutte le ferite riportate in precedenza. Oltre a questo sono in grado di evocare una creatura umanoide nera nota come IBM (Invisible Black Matter), che sembra essere la principale fonte dei loro poteri. Il “fantasma nero” può essere visto solo da un altro Ajin ed ha un aspetto differente per ognuno di essi. La storia narra le vicende di Nagai Kei, un normale studente che rimane vittima di un incidente stradale e che scopre di essere un Ajin.

La trama di base di Ajin è intrigante, in particolare per il tema “immortalità”, uno dei grandi tabù dell’umanità, da sempre ricercata con ogni mezzo. Sicuramente non si tratta di nulla di originale, essendo un tema enormemente sfruttato in produzioni di ogni genere. Anche l’idea dell’IBM sembra prendere spunto dallo stand de Le bizzarre avventure di Jojo, nonostante alcune differenze. L’immortalità in Ajin è molto “da videogioco”, in cui il personaggio ritorna in vita dopo essere stato ucciso. Un videogioco truccato, in quanto sembra che un Ajin abbia un numero di vite infinito. Questo li porta a cercare la morte per sfuggire al dolore di gravi ferite (gli Ajin provano dolore come un normale essere umano) o per evitare di essere sedati. Se ci pensate è molto interessante l’idea di autoconservazione basata non sulla paura di morire, ma sulla paura di NON morire. Sicuramente l’immortalità e le sue ripercussioni sul mondo e sui personaggi sono degli argomenti trattati magnificamente dagli autori.

La serie ha il grande pregio di avere un ritmo ben dosato e costante per tutti i 13 episodi. Il primo tema interessante che salta all’occhio è il problema della persecuzione del “diverso”. Gli Ajin sono visti come qualcosa di pericoloso, da studiare e tenere sotto controllo. Caratteristica che ha sempre accompagnato il pensiero umano, ovvero quella di temere la diversità e l’ignoto.

Nonostante il tema soprannaturale, la serie si muove soprattutto su binari realistici. I personaggi sono caratterizzati abbastanza bene, anche se il protagonista non brilla sicuramente per il carisma, anche perché non ha un ruolo centralissimo in questa (si spera) prima stagione. Anche se poco approfonditi, risultano molto interessanti i due personaggi “negativi” dell’opera, ovvero Sato, un Ajin dall’aspetto anziano e Tosaki, un umano a capo del dipartimento di ricerca sugli Ajin.ajin2

L’apparato tecnico di Ajin punta quasi tutto su delle animazioni in Cel Shading molto curate, ma che danno ai personaggi delle movenze molto “legnose”, quasi come se si stesse guardando un videogioco installato su una macchina poco performante, che permette di giocare al massimo a 12 o 13 fotogrammi al secondo, cosa che si nota soprattutto nelle scene d’azione (in particolare nelle lotte tra IBM), in cui si perdono di vista alcuni movimenti. Questa tecnica ha però il pregio di restituire quei movimenti che nell’animazione tradizionale vengono sottintesi, come piccoli spostamenti del corpo durante le scene di dialogo. La regia non offre particolari guizzi ma è ben curata sotto il piano della composizione delle inquadrature nelle scene statiche, anche se si perde nelle scene d’azione, in cui a volte si fa fatica a capire cosa sta succedendo. Altra piccola nota di demerito sulla fotografia a volte eccessivamente contrastata, con zone illuminate in maniera accecante e zone d’ombra praticamente invisibili, anche se probabilmente si tratta di una scelta registica volta ad accentuare il phatos della scena. Le OST sono molto belle e cupe, ma sembra che ci sia poca scelta nei brani, che spesso si ripetono anche in episodi contigui.

Nel complesso Ajin è una serie che mi sento di consigliare a tutti, visti gli spunti interessanti e la sceneggiatura ben curata. Si spera in una seconda stagione che riesca a sopperire ad alcuni difettucci tecnici.

Antonio Vaccaro

https://youtu.be/nrhvnvNJND4

[#Recensione] Francesco Motta e “La fine dei Vent’Anni”

Nonostante la fase di stallo creativo che sembra vivere da anni la musica italiana, c’è una certa scena underground che riesce a partorire qualcosa di interessante sia in termini sonori che di contenuti testuali. Il livornese Francesco Motta, che usa come alias solo il proprio cognome, rappresenta uno di questi casi.francesco motta2

In seguito all’esperienza coi Criminal Jokers, con cui ha inciso due album, e alla militanza come fonico e polistrumentista per artisti più o meno affermati, Motta pubblica il suo primo album solista intitolato La fine dei vent’anni (2016), che esce per Woodworm.  Ma cos’è La fine dei vent’anni? “È un po’ come essere in ritardo / non devi sbagliare strada / non farti del male / e trovare parcheggio”, come canta nella title track.  È un disco pieno di canzoni d’amore che spesso lasciano velate allusioni malinconiche, come quelle che ti fanno guardare al passato, a ciò che avresti voluto fare ma che, per qualche motivo, è sempre saltato. Dunque pieno di sentimenti, ma anche di plugin che effettano la voce e soprattutto di accordature non convenzionali, diverse dai canonici 440hz, che avvicinano spesso alla musica etnica (es.: Mio padre era comunista).

Il disco contiene brani che fanno pensare ad artisti come Niccolò Fabi e i Tiromancino senza dimenticare Riccardo Sinigallia, produttore dell’album e co-autore in tre brani, a dimostrazione di quanto l’ex Tiromancino creda nel progetto “Motta”. Non mancano ospiti affermati come Giorgio Canali, Guglielmo Ridolfo Gagliano (polistrumentista di Paolo Benvegnù) e Alessandro Aloisi dei Pan Del Diavolo.
L’influenza musicale che si avverte per prima è proprio quella di Sinigallia: appare latente sin dall’arpeggio introduttivo del brano di apertura, Del tempo che passa la felicità, dove durante un ritmo costantemente incalzante si intrecciano due chitarre arpeggiate in modo molto diverso e in cui si canta di una “magia della noia” come miraggio per l’intera generazione di oggi.
Sono tutti pezzi con lo stampo della canzone d’autore e tuttavia immediati. Questo pregio, che è il maggiore di tutto il lavoro, ha la sua massima chiarezza in Prima o poi ci passerà, scelto come primo singolo estratto. Questo, però, non significa che manchino brani più arrabbiati. È il caso di Se continuiamo a correre, che vede la partecipazione di Aloisi in una ben riuscita commistione di voci, mentre Roma stasera è forse il brano che – pur conservando un sottostrato pop – più degli altri esprime quel senso punk della voglia di perdersi fregandosene delle conseguenze… almeno per una sera.
Chiudono la tracklist i due episodi in cui la chitarra è di Giorgio Canali: Una maternità (E d’improvviso ti accorgi / di quel poco che sei / conservi i ricordi per farci un incendio / ti sei abituata alla perplessità / e rimani in silenzio / in attesa del resto / alla cassa del bar)  e Abbiamo vinto un’altra guerra, poetica e arresa nel descrivere il percorso di una coppia che ormai procede per inerzia, schiacciata dalla maledetta forza dell’abitudine, e che regala probabilmente il più bel momento dell’album cantando: “Non possiamo riparare / Sono finiti gli argomenti / La testa sulle spalle / Le spalle sopra i denti”.

Insomma, la fine dei vent’anni è il raggiungimento dell’età adulta in cui Motta ha anche la sensibilità per mettersi a nudo e parlarci di gioie, malinconie, del suo rapporto con la famiglia e con la vita, attraverso canzoni ricercate e spesso molto orecchiabili. Prosit!

Gianluca De Serio

[#Anime] Naruto Shippuden: La Vera Leggenda Di Itachi, prime impressioni

L’episodio 451 di Naruto Shippuden segna l’inizio di una minisaga dedicata ad uno dei personaggi più amati dai fan dell’opera di Masashi Kishimoto, Itachi Uchiha. La saga è l’adattamento animato di un romanzo scritto da Takashi Yano e illustrato dallo stesso Kishimoto. Quindi non si può parlare di filler, ma più che altro di spin-off.

Nel corso di Naruto abbiamo inizialmente visto Itachi come un personaggio sostanzialmente negativo, per poi scoprire le motivazioni dietro al suo operato. Se all’inizio il fascino del personaggio lo si poteva trovare nel suo talento sconfinato, nella sua freddezza e nella sua intelligenza, successivamente i sentimenti del lettore e dello spettatore si spostano verso la contemplazione della sua triste storia. Un personaggio che ha sempre portato su di se un peso enorme.

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Questi primi due episodi ci mostrano alcune fasi della giovinezza di Itachi e si concentrano principalmente sul suo incredibile talento nelle arti ninja. Ci viene mostrato quando esegue la tecnica della “Palla di fuoco suprema” al primo tentativo, dopo averla vista eseguire una sola volta dal padre. Ci viene fatto vedere il momento del suo diploma nelle arti ninja, all’età di 7 anni, dopo un solo anno di accademia. Ci viene mostrato Shisui, suo amico fraterno, di cui sappiamo veramente poco per quello che abbiamo visto nel manga.

Quello che colpisce del giovane Itachi in questi due episodi è la sua diversità rispetto ai suoi coetanei. La sua intelligenza e maturità non sono quelle di un ragazzino di 7 anni. Non c’è spensieratezza nel suo animo, ma anzi, la sua mente è attanagliata dai dubbi, frutto della sua esperienza nella Terza Guerra Mondiale Ninja.

La frase :“Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.” di Bertrand Russel è la perfetta sintesi di uno dei personaggi meglio sviluppati di tutto Naruto.

Miniserie consigliata a chi ha amato il genio del clan Uchiha e vuole saperne di più sulla sua giovinezza.

Antonio Vaccaro

[AnimeReview] Assassination Classroom, Aspiranti Killer a Lezione

Si sa, è inutile mentire. Chi è che non ha mai desiderato vedere un proprio insegnante soffrire? Soffrire molto, eh. assassionation classroom1Sto parlando del tipo di insegnante che entra nella categoria di quelli cattivi, frustrati, che sfogano i problemi personali sui poveri alunni, già messi in difficoltà dalle proprie vite adolescenziali o chissà da cosa. Ma ciò che si può fare è rimanere fermi ad immaginare… Beh, vi ricordo che l’aggressione è ancora punibile penalmente.
Possono andare ben oltre la semplice immaginazione, invece, i protagonisti di Assassination Classroom, opera di Yῡsei Matsui che sta spopolando da un po’ di tempo fra le fumetterie, le reti televisive e il web. Dal manga è stato tratto, infatti, un anime di 22 episodi adattato dagli iniziali 8 volumi, la cui prima serie è stata trasmessa sottotitolata sul canale Man-ga, di Sky Italia. Attualmente, in Giappone, dallo scorso gennaio è in onda la seconda serie.

Ma qual è esattamente l’idea di Matsui? Più che il rapporto classico tra la classe e il proprio professore, in Assassination Classroom vige un legame del tipo assassino – bersaglio: il primo è il ruolo rivestito dagli allievi, il secondo dall’insegnante. Si viene catapultati nella classe 3-E della prestigiosa scuola media Kunugigaoka. Il professore di questa sezione è una sorta di alieno giallo, pieno di tentacoli e con un ghigno agghiacciante costantemente stampato in faccia. Il sensei ha già distrutto tre quarti della luna e, a marzo, a fine dell’anno scolastico, ripeterà l’orrida impresa con la Terra. I suoi allievi, dunque, avranno a disposizione tutto l’anno per organizzare l’eliminazione di una creatura che ha molti modi per difendersi e che si muove alla velocità di Mach 20 e, considerando che Mach 1 indica la velocità del suono, lascio a voi immaginare la difficoltà dell’impresa.
Partendo dal presupposto che prenderò in considerazione esclusivamente l’anime, c’è da sottolineare che il tutto a mio avviso risulta ben strutturato a partire da Koro- sensei, il professore così chiamato dai ragazzi, che è ovviamente il protagonista principale dell’intera vicenda. Nonostante sia una figura sicuramente negativa, vista la minaccia di distruggere la Terra, e abbia un aspetto tutt’altro che umano, è un personaggio che in realtà lascia ben poco spazio al disprezzo, sentimento suscitato in genere dagli antagonisti. Si può dire, anzi, che diventa una figura molto positiva, probabilmente perché dimostra sin da subito pregi e difetti propri di una normalissima persona: il suo colore, infatti, cambia in base agli stati d’animo e, durante il corso della storia, li muterà molto spesso. Ama i dolci, gli piacciono le donne formose e tante piccole cose che lo avvicinano più a un umano che… a quello che è, insomma. Oltretutto dimostra di essere un maestro esemplare che tiene all’educazione formativa e, soprattutto, psicologica dei propri alunni. Dunque ci si dispiace e si rimane stupefatti quando i ragazzi tentano di ucciderlo. Ad averne di professori così! E’ molto dedito al suo lavoro che svolge con passione e lo si capisce bene anche a una prima occhiata: indossa, infatti, costantemente, gli abiti del maestro; inoltre ha come suoneria del telefonino, – si, ha un cellulare! – il classico suono della campanella scolastica. Nonostante la sua solita calma, quando si arrabbia la situazione inizia a diventare davvero pericolosa e inquietante, il suo aspetto positivo cambia completamente. Ma di certo non perde le staffe per il rendimento dei suoi studenti. Insomma, è il professore che tutti vorremmo o che tutti avremmo voluto avere.

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Il secondo personaggio fondamentale è la classe, che si può considerare come un corpo unico. Tutti i ragazzi sono fra loro molti uniti e in pieno accordo, merito anche di Koro- sensei che si preoccupa molto della collaborazione e della coesione che deve esistere in un ambiente scolastico – anche se è bene ricordare che egli vuole distruggere la Terra, meglio non idealizzarlo troppo – . Effettivamente, soprattutto nei primi episodi, si nota che non c’è un membro della classe, o un gruppo, che primeggi su tutti gli altri. Essi organizzano ogni tentativo di omicidio insieme. Questo fattore andrà via via disperdendosi nel corso della trama, ma senza far prevalere nessuna personalità in particolare. Quando i ragazzi verranno addestrati all’assassinio, ognuno svilupperà una competenza diversa, un’abilità particolare, e saranno tutti quanti utili al loro fine. Certo, spiccano alcuni membri, come ad esempio Nagisa Shiota, particolarmente abile nelle capacità da assassino, Karma Akabane, il più forte e perspicace della classe, e molti altri; tuttavia, nonostante siano personaggi un po’ più di spicco, non vengono mai percepiti dallo spettatore come superiori perché nella 3-E tutti hanno una specializzazione particolare che li rende unici.
E’ proprio questo secondo me uno dei messaggi più importanti, l’unicità di ogni persona, privata dalla discriminazione fra ragazzi. Si esplorerà la storia che ogni protagonista ha alle spalle e che ne ha determinato la personalità. Certo, vedere come organizzano l’uccisione del proprio professore, sorridenti, giocando e con totale naturalezza, dà un tono molto comico e anche delle tinte grottesche all’anime. In alcuni tentativi di omicidio, addirittura, verrà spontaneo considerare tutti loro come gli antagonisti della storia e tifare per Koro- sensei. Bisogna ricordare ancora, però, che il professore distruggerà la Terra.
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Il polpo alieno, comunque, non è l’unico insegnante. Si aggiungono nel corso della storia il professore di educazione fisica Tadaomi Karasuma, in realtà un agente governativo sotto copertura, e l’insegnante di inglese Irina Jelavić, assassina professionista. Questi ultimi due personaggi subiscono una crescita personale durante la storia: il primo, uomo freddo e distaccato, si affeziona sempre più ai suoi ragazzi, e in questo caso si riscontra il solito personaggio cliché, che effettivamente non può mancare; la seconda, partita col piede sbagliato per la bassa considerazione verso gli studenti, si scopre avere un animo complice con i ragazzi, instaurando così un rapporto molto diretto. Dopotutto ha solo vent’anni.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, il tutto è molto ben realizzato: dalla regia, sempre molto impeccabile e chiara, ai disegni e colori, mai confusi e di buon livello, fino alle sigle di apertura e chiusura e le colonne sonore, azzeccate per il genere e il pubblico che l’anime mira a coinvolgere.

Conclusioni? Beh, Koro- sensei darebbe una bella faccina sorridente di approvazione, ed effettivamente Assassination Classroom se la merita tutta. E’ un’opera completa, incentrata soprattutto sulla comicità, ma che lascia comunque un significativo spazio a un’importante componente psicologica che caratterizza ogni personaggio. Per quanto riguarda le scene più riflessive, seppur siano poche, risultano molto toccanti.
Chissà cosa ci riserverà la seconda serie. Se si prosegue sulla stessa linea, si avrà sicuramente un buon prodotto e c’è da dire che è già partita benissimo con i suoi primi episodi.
Ma, nonostante la minaccia e tralasciando la sua quasi invincibilità, qualcuno vorrebbe davvero uccidere Koro- sensei?

Paolo Gabriele De Luca

https://youtu.be/w5hL7uFGkTs

Tanti buoni motivi per andare a vedere “Romeo e Giulietta – Ama e cambia il mondo”

romeo e giuliettaREGGIO CALABRIA – Al Palacalafiore è andato in scena uno “spettacolo eccezionale” come aveva promesso David Zard, produttore di fama internazionale. Fra i tanti, ecco cinque buoni motivi per non perdersi questo spettacolo che vivrà questa sera il suo grande finale italiano:

1. La scelta di trasporre in un musical la storia di Romeo e Giulietta poteva essere un rischio, eppure gli autori del libretto hanno indagato a fondo nei sentimenti dei protagonisti riportando in vita le emozioni sopite di ogni personaggio della storia e rendendole vivide e vicine ai giovani spettatori.

2. Mercuzio: non me ne vogliano Federico Marignetti (alias Romeo) e Giulia Luzi (Giulietta), ma Manuel Bianco è stato bravissimo.IMG_20160205_235808

3. Le coreografie spettacolari di Veronica Peparini: ballerini eccezionali, il pubblico in delirio di fronte ai breakers.

4. Le “madri” di Giulietta e Romeo interpretate rispettivamente da Barbara Cola e Roberta Faccani: le loro voci che cantano l’amore e l’odio hanno fatto tremare in più occasioni il Palacalafiore.

5. La musiche: il duetto tra i due protagonisti Giulia Luzi e Federico Marignetti  “Ama e cambia il mondo” resta in testa e non va più via. “Ama e cambia il mondo…ama e ferma il tempo…brucia nel desiderio…ama e cambia il mondo”. Una menzione speciale al principe di Verona, interpretato da Leonardo Di Minno, prossimo Gringoire ne “Notre Dame De Paris”, che ha intonato “Verona è qui” e ha dato l’avvio a questo splendido spettacolo!

Il pubblico ieri sera al Palacalafiore è stato entusiasta, lo spettacolo è terminato tra applausi e con un tifo da stadio durante la presentazione degli attori, tributati in particolare dai molti bambini e ragazzi presenti. Certamente anche il cast avrà gradito la splendida accoglienza riservata dalla Calabria e ricorderà con gioia questa due giorni reggina che conclude la tournée di “Ama e cambia il mondo”. Una storia senza tempo per un successo senza fine.

Roberta Parisi

 

[Anime] Ushio & Tora, Recensione

Il giorno di Natale, oltre a far crescere a dismisura il nostro peso, ha visto la fine di uno degli anime più interessanti della scorsa stagione, ovvero Ushio & Tora, distribuito in Italia in streaming legale attraverso la piattaforma youtube di Yamato Animation. La prima stagione ha visto 26 episodi e ne seguirà un’altra di 13 che verrà distribuita a partire dal mese di aprile.

La serie è il secondo adattamento animato dell’omonimo manga di Kazuhiro Fujita, pubblicato sulla rivista Weekly Shonen Sunday tra il 1990 e il 1996. L’anime è stato prodotto dallo studio Mappa, noto per essere stato fondato da Masao Maruyama, uno dei creatori del famoso studio Madhouse.

Trama:

Il protagonista della storia è Ushio Aotsuki, un ragazzo che vive con il padre in un piccolo tempio buddista. Un giorno mentre riordina casa Ushio cade all’interno di una botola che si trova sul pavimento, ritrovandosi in un vecchio sotterraneo, dove trova Tora, un demone dall’aspetto di una grossa tigre rimasto inchiodato con una lancia al muro per ben cinquecento anni. Il risveglio di Tora provoca la comparsa di una miriade di demoni. A quel punto Tora propone un patto ad Ushio: se il giovane lo libererà si occuperà lui di spazzare via tutti i demoni. Una volta liberato, Tora attacca Ushio, che grazie alla lancia con cui il demone era trafitto, riesce a bloccarlo trasformandosi in un potente guerriero dai capelli lunghissimi. Da quel momento in poi i destini dei due saranno strettamente legati nella lotta contro un potentissimo nemico.

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Commento:

Chi scrive non ha letto il manga di Fujita, di cui ho sentito numerosi elogi, quindi questa brevissima recensione non
verterà sulla fedeltà all’opera originale. Leggendo sul web ho notato che molte persone hanno espresso qualche disappunto su alcuni tagli operati alla trama originale (tagli giustificati, trattandosi di un anime di un totale di 39 episodi che andrà ad adattare completamente un manga di 33 volumi. Manga di lunghezza simile hanno adattamenti animati che superano i 100 episodi a volte), elogiandone comunque la fedeltà nell’adattamento.

Ushio è un protagonista caratterizzato splendidamente. Un personaggio di una purezza assoluta, pronto a mettere a repentaglio la propria vita per salvare gli altri. Caratteristica che ha sempre avuto, come viene mostrato in alcuni flashback che lo ritraggono da bambino. Dall’altro lato abbiamo un personaggio completamente negativo come Tora, assetato di sangue, il cui unico obiettivo è quello di divorare il povero Ushio. Ma con il passare del tempo, nascondendosi dietro la scusa di voler fare di Ushio il proprio pasto, vediamo il demone salvare il giovane in numerose occasioni. Ed è Proprio il rapporto tra i due è la parte più interessante di questo anime. I due personaggi sono legati, ma nessuno dei due sembra volerlo ammettere, nonostante con il passare degli episodi si noti sempre di più l’affetto che nasce tra i due. Fujita riesce inoltre a caratterizzare splendidamente anche i personaggi di contorno, che vengono tutti attratti dalla purezza di Ushio nonostante abbiano tutti delle personalità diverse. Questo anime insegna che ad essere buoni c’è solo da guadagnarci. Non bisogna scontrarsi con il proprio buon cuore per paura di essere traditi ma, anzi, bisogna accoglierlo. Un anime veramente bello, che fa dei propri combattimenti solo un contorno ad una storia fatta di sentimenti ed emozioni.

Apparato tecnico:

Molto bello il design dei personaggi, una sorta di fusione moderno-anni 80 che fa veramente la sua porca figura. Le animazioni sono ottime, con una computer grafica non troppo invasiva. Molto curato il comparto sonoro, con delle musiche molto azzeccate. Ottima la regia generale.

Antonio Vaccaro

[Anime] One Punch Man, la Recensione Finale

Siamo infine giunti al termine della prima stagione di One Punch Man. Un episodio finale che lascia senza fiato per quanto è esaltante. Qualche giorno fa Dynit ha addirittura annunciato che l’anime verrà doppiato in italiano e trasmesso in anteprima su VVVVID prima di essere distribuito in home-video. Ma andiamo con ordine.

L’anime di One Punch Man conta 12 episodi, che adattano i primi 36 capitoli del manga di One illustrato da Yusuke Murata. Quindi una media di 3 capitoli per episodio. Non si può certo dire che Madhouse sia andata a rilento con il suo adattamento, considerando che serie come One Piece e Naruto hanno in media un episodio per ogni capitolo o capitolo e mezzo.opm5

One Punch Man inizia con il botto. Abbiamo una città sotto attacco da parte di un mostro chiamato Vaccine Man, nato dal continuo inquinamento della Terra da parte dell’uomo. Ecco quindi sopraggiungere il nostro Saitama, che
con un pugno lo disintegra. Lo spettatore rimane quasi spaesato da questa dimostrazione di forza, anche perché a primo impatto Saitama sembra il classico supereroe alla Kick-Ass, senza nessun potere o talento particolare. Invece scopriamo che Saitama è così potente da distruggere qualsiasi avversario con un solo pugno.

A questo punto parte un flashback in cui vediamo un Saitama più giovane e con i capelli salvare un bambino dalle grinfie di un mostro di nome Granchilante, una sorta di crostaceo gigante. Da quel momento in poi il nostro Saitama inizia un allenamento di tre anni che, per l’eccessivo stress, lo porterà a perdere tutti i capelli.

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Il suo allenamento consiste in 100 piegamenti, 100 addominali, 100 squat e 10 km di corsa al giorno. Inoltre è assolutamente vietata l’aria condizionata. Ed ecco qui la genialità di One, che riesce a prendere in giro lo stereotipo più famoso del battle shonen, quello dell’allenamento. In Dragon Ball i personaggi per allenarsi hanno bisogno di camere gravitazionali e di stanze invivibili in cui un giorno dura un intero anno. In Bleach il protagonista deve allenarsi con partner molto più forti di lui per riuscire ad ottenere tecniche sempre più potenti e per aumentare la propria “reiatsu”, oltre ad dover sbloccare le abilità della sua spada e a controllare il proprio “hollow” interiore. In Naruto i personaggi si allenano nel controllo del chackra per sviluppare abilità sempre più potenti. In Ken il Guerriero il protagonista combatte e migliora assorbendo dentro di se lo spirito dei propri avversari. Invece in One Punch Man il nostro Saitama è diventato il più forte del mondo con un allenamento normalissimo. Sono sicuro che, dopo aver visto One Punch Man, molte persone abbiano voluto provare lo stesso allenamento di Saitama. Di certo One non ci ha raccontato tutto, ma già così la cosa è veramente notevole.

Nel secondo episodio fa la sua comparsa l’androide Genos, quest’ultimo rimane sbalordito dalla potenza di Saitama nel momento in cui ha salva la vita grazie a un pugno del nostro protagonista ad un avversario che lo stava per eliminare. Genos chiede a Saitama di prenderlo come allievo e il nostro eroe accetta.opm3

Se dovessi dire la mia su Genos, penso che si tratti del personaggio che ti aspetteresti da un battle shonen, quindi uno che vuole migliorarsi a tutti i costi. Di certo si è curiosi di scoprire quanto può migliorare e se potrà mai avvicinarsi alla potenza del suo maestro. Inoltre i suoi sono dei combattimenti sempre molto equilibrati, quindi entra in gioco il fattore “tensione da possibile sconfitta” che con Saitama non esiste.
Successivamente i due si iscrivono all’associazione degli eroi. Il povero Saitama viene promosso per un soffio nella classe C, la più bassa, perché dopo aver realizzato qualsiasi tipo di record nelle prove fisiche viene affossato nella prova scritta. A mio avviso si tratta di un piccolo omaggio al tipico protagonista del battle shonen, che ha quasi sempre tanti muscoli ma poco cervello. C’è inoltre da dire anche che tra le varie prove fisiche c’è la “punching machine”. La scena mi ha ricordato tantissimo le prove di selezione del 25° Torneo Tenkaichi di Dragon Ball (quello precedente l’arrivo di Majin Bu, in cui Vegeta distrugge la punching machine). Inoltre la classificazione degli eroi ricorda molto quella dei demoni in YuYu Hakusho.

Genos finisce invece nella classe S, quella composta dagli eroi più potenti. Qui entra in gioco una delle cose più interessanti di OPM, ovvero capire come farà Saitama a risalire questa classifica di eroi per giungere alla prima meritata posizione.opm4

Dai successivi episodi capiamo quanto One sia affezionato ad un certo tipo di cinema fantascientifico di stampo catastrofico, infatti vediamo un meteorite, un dinosauro gigante alla Godzilla, un mostro sottomarino e un’invasione aliena. Tutti temi molto in voga nel cinema nella seconda metà degli anni ’90.

Per quanto riguarda l’apparato tecnico, ci troviamo di fronte a quanto di meglio possa essere realizzato nel campo delle serie televisive. Una regia impressionante nelle scene d’azione, che raggiunge il suo apice nell’incredibile scontro finale, dove assistiamo ad una dinamicità di scene che ha veramente pochi eguali. Se in Dragon Ball (che sicuramente viene richiamato alla mente dai combattimenti di OPM) venivano utilizzati degli stratagemmi grafici per “risparmiare soldini” nelle scene d’azione (i due personaggi scomparivano e si vedevano solo le onde d’urto in cielo), qui la regia segue assiduamente i due combattenti. Le animazioni sono veramente eccezionali, con un utilizzo della computer grafica ridotto all’osso. Tutto questo è accompagnato da una colonna sonora veramente epica.

Non voglio spoilerarvi di più, lo dovete vedere.

In un’intervista Murata ha affermato che lavorerà duro per dare all’anime una seconda stagione. Noi di Nerd@30 lo speriamo vivamente.

Antonio Vaccaro

 

Saggi brevi, frammenti di vita di Armando V. Vacca

IMG_20150928_212051Armando Valentino Vacca è nato a Saracena nel 1952. Già laureato in Lettere Moderne, in Pedagogia e in Filosofia è attualmente iscritto all’Università della Calabria. Dopo aver vinto alcuni concorsi nella Pubblica Amministrazione, aver insegnato e scritto diverse opere, ha dato alla luce “ Saggi Brevi”, una raccolta di scritti che, come precisato nella Prefazione, partendo dalla vita quotidiana offrono approfondimenti e spunti che l’autore coglie attraverso la propria esperienza. Saggi brevi, ma densi di significato e riferimenti bibliografici che ripercorrono arte, letteratura, musica e filosofia. Un viaggio che riesce a cogliere in maniera del tutto personale le parole di autori come Montale, Freud, Nietzsche e tanto altro. Il filo rosso che collega i saggi sembra colorarsi con Armando Vacca di Giallo, elemento in perenne e costante ritorno,  “il colore basico dell’amore, della poesia, della musica, […] , tinta trionfante e invincibile”. E’ infatti questo il colore che ritroviamo nei Girasoli di Van Gogh delle prime pagine, tra le luci che si oppongono alle tenebre,tra le rose o le quattro stagioni.

 Concetta Galati

Fury, in guerra c’è solo un vincitore: la morte

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David Ayer

Il regista David Ayer è sempre stato votato ad un genere di film vigoroso, con in attivo numerosi thriller e polizieschi. Autore e sceneggiatore del film ‘Fury’, questa volta sfrutta il war-movie per dar vita ad una miscela che sfiora l’horror ed il film d’azione, ambientandolo nella Germania della seconda guerra mondiale. 

L’incontro tra schermo e pubblico avviene mediante una magistrale e cupa fotografia, fredda come il cinereo cielo delle campagne tedesche, il cui riflesso è il fango sanguinante tormentato da corpi che crollano come le loro coscienze, in un fondo antitetico a tutto ciò che è umanità. Già dalle prime scene facciamo la conoscenza del congegno che sarà il reale scenario della pellicola: il carro armato Fury.

E’ proprio questa la caratteristica peculiare del film: il cingolato che lecitamente dà il titolo all’opera, è insieme strumento di guerra a suon di cannonate, e vera e propria ‘casa’ da difendere, teatro dentro il quale si rafforza indissolubilmente il legame tra i soldati.

Molto interessante il contrasto tra la devastazione corporale ed antropica dell’ambiente esterno, e l’intensità emotiva del clima che si delinea abilmente nelle tensioni caratteriali tra i personaggi di diversa estrazione culturale.th (32)

Questo contesto rimane vivo fino alla fine del film, che per gli altri aspetti scivola, purtroppo, nella seconda parte, in un piatto clichè da action movie.

Il combattivo sergente Don Collier ( Brad Pitt ), chiamato anche Wardaddy, rivela la sua attitudine di ‘padre’ dentro e fuori lo Sherman, addestra i suoi quattro uomini alla crudeltà con battute come:

‘’Aspetta di vederlo, cosa fa un uomo ad un altro uomo’’.

Particolarmente protettivo ed incoraggiante il rapporto e dialogo tra il sensibile  Norman e Don, che lo strappa quasi alla sua ingenuità, ed eth (29)nunciato con una recitazione ineccepibile da parte di entrambi.

L’ultima e senz’altro più triste scena, inquadrata e ripresa dall’alto, vede l’esercito americano avanzare allontanandosi dal carro armato Furi e tutto il suo equipaggio, massacrato e contornato dai corpi degli avversari uccisi nella stessa notte.

Difficile stabilire se in guerra fanno più impressione i morti o i vivi.

I corpi senza vita sembrano essere dei contenitori ormai vuoti ed accantonati, ma la brutalità di chi combatte ancora porta negli occhi uno specchio d’anime snaturate e prosciugate.

rossella vaccaro
Rossella Vaccaro

                                    Rossella Vaccaro