[#NerdReview] The Sinking City, l’orrore di Lovecraft su schermo

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The Sinking City è il nuovo titolo della Frogwares ispirato alle opere horror di H.P. Lovecraft.

Prima di The Sinking City, le trasposizioni dell’orrore lovecraftiano non hanno mai avuto molta fortuna. Se consideriamo i primi Alone In The Dark, Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth, Eternal Darkness: Sanity’s Requiem e gli altri nessuno era riuscito a incarnare appieno la natura orrorifica e al contempo emozionale e psicologica dell’autore di Providence.

The Sinking City si muove su di una strada differente dai suoi predecessori, cerca di spostare l’attenzione dai soliti mostri, ormai quasi mainstream, alle storie dietro e dentro di essi.

Frogware si pone questa meta ma riesce a raggiungerla?

LA STORIA, TRA RAZZISMO E ORRORE

Charles Reed è un investigatore privato che durante la Prima Guerra Mondiale ha prestato servizio in marina sulla Cyclops, nave affondata in modo misterioso. Da allora è affetto da oscure visioni e incubi. Arriva a Oakmont in Massachusetts sotto invito di Johannes van der Berg, un misterioso cittadino in completo giallo che promette una cura per la follia del protagonista. Dal suo arrivo, Charles si trova invischiato negli affari e nelle tradizioni di questa città misteriosa che non vede però di buon occhio i ficcanaso.

Oltre l’odio per lo straniero, un altro infausto cataclisma ha coinvolto la città: l’inondazione. Uno strano fenomeno che ha fatto innalzare il livello del mare al punto da rendere percorribili alcune strade solo attraverso un motoscafo. Faremo a questo punto conoscenza di diverse specie estrapolate dai racconti e romanzi di Lovecraft, come gli Innsmouther, una razza che ha subito il richiamo del mare e che è stata scacciata dal proprio paese per l’oscenità del culto di Dagon.

Come recita anche il cartello all’avvio del gioco, all’interno di The Sinking City è presente in maniera quasi opprimente il razzismo (per via del contesto storico del 1930 americano,  delle tradizioni conservatrici della città stessa e del mito per cui Lovecraft stesso lo fosse). Razzismo non per il colore della pelle – ci sono uomini e donne di diversa etnia – ma per tutto ciò che è esterno e straniero. Lo si può notare dalle animazioni delle persone per le strade, in cui i cittadini, a seconda del quartiere della città, si pongono in modo astioso con gli stranieri arrivati a causa del richiamo della follia, dai quartieri ricchi in cui vengono arrestati a quelli più poveri dove vengono rapinati, pestati o uccisi.

UN GIOCO FATTO DI SCELTE

La storia principale del gioco ci porterà a toccare ogni argomento trattato nei racconti di Lovecraft, dai grandi antichi agli abissali. È però nelle missioni secondarie che il gioco da il meglio di sé. Seppure le meccaniche siano molto simili tra loro (trovare indizi, scoprire la storia, consegnare al personaggio x, ripetere), le scene riescono a raccontare frammenti di vita dei cittadini o avventurieri della città in modo dettagliato ed emozionale tanto da sentire quella fitta al cuore nell’incontrare famiglie massacrate dalla fame, sacrificate dai culti o soggiogate da spiriti.

The Sinking city è un gioco fatto di scelte ma soprattutto di racconti e Frogwares si è impegnata in questo senso, implementando un grande quantitativo di testi di varia natura, dagli annunci pubblicitari alle cutscenes, dalle lettere ai testamenti. Tutto questo perché la maggior parte delle volte si arriva sul posto a eventi già avvenuti e senza la lettura del “racconto” ci si trova davanti scene del crimine o eventi senza senso.

IL GAMEPLAY

Parte dell’avventura risiede nell’investigazione ed è inframmezzata da combattimenti contro mostri, cultisti o esseri interdimensionali. Frogwares ha una decennale esperienza sulle spalle nelle detective story attraverso la serie “Sherlock Holmes” e la possibilità di utilizzare poteri come “l’occhio della mente” o “le visioni dal passato” hanno donato all’area investigativa uno sprint lovecraftiano. La problematica giace però nella monotonia del sistema. La meccanica investigativa è identica per tutta la durata del gioco e le scene action, a volte prevedibili, servono solo da piccola boccata d’aria dopo una lunga apnea di noia.

Le sezioni da sommozzatore sono una distrazione gradita ma di poca durata. Gli abissi intorno e sotto Oakmont sono popolati da esseri giganteschi e creature il cui solo sguardo provoca la pazzia, ma resta una sezione d’intermezzo atta a portare il personaggio solo da un punto all’altro.

La terza parte che compone il gameplay è quella dei combattimenti e della sanità mentale. All’inizio ho trovato molto difficoltoso riuscire a combattere le creature selvagge presenti in The Sinking City complice il basso numero di munizioni trovabili e creabili. Questa difficoltà si è protratta per circa 6 ore di gioco, fino a quando, una volta acquisiti abbastanza livelli, sono riuscito a disseminare di punti i 3 alberi delle abilità. Prese determinate scelte dall’albero del combattimento, uccidere i mostri diventa estremamente più semplice lasciando come unica preoccupazione la sanità mentale. Questa, anche se estendibile e ricaricante, cala in maniera esponenziale per ogni creatura aliena nelle vicinanze minando pesantemente la visibilità e aggiungendo “visioni antagoniste” che danno la caccia.

PREVEDIBILITÀ E SANITÀ MENTALE

Le IA non sono adeguate agli standard odierni, sono anzi piuttosto prevedibili e per nulla organizzate. I set di movimenti sono identici di volta in volta e l’unica cosa che cambia nei nemici sono le abilità. Infatti, in pieno stile Metroidvenia, i mostri cambiano di colore e diventano più forti man mano che andiamo avanti con la missione principale. Al contrario delle creature selvagge, gli esseri umani sono molto semplici da uccidere, basta un unico colpo ben piazzato per fare la differenza, ma molto spesso l’uccisione di umani apre la strada a un successivo pentimento attraverso righe di dialogo più aspre o video cutscene dal forte impatto emotivo.

Come dicevo, The Sinking City è un gioco di scelte. Al termine di un’indagine nelle missioni principali si  deve affrontare il palazzo mentale: un minigioco di collegamenti e deduzioni che porta a compiere una scelta (non definitiva) riguardo la vita o la morte di qualcuno. Molto spesso le vie percorribili sono 3, contraddistinte da una scelta per lo più etica e soggettiva: ad esempio la mia linea di pensiero era quella di favorire il meno possibile i culti optando per il male minore. A essere però sinceri, anche qui viene rispettato lo stile lovecraftiano: il male è ovunque e qualsiasi cosa si scelga ci si porta dietro il peso e i sensi di colpa.

Altra pecca di cui si macchia il gioco, a meno di perdere un’ora a trovare i punti di viaggio rapido fin da subito, è la grandezza della mappa. Oltre la barca che è necessario prendere per attraversare alcune strade o trovare alcune stanze, la città è troppo grande da percorrere a piedi e i punti di interesse, seppur vicini alle cabine telefoniche del viaggio rapido, fanno perdere alcuni minuti di corsa inutile. Sicuramente la corsa è allietata dalle scenografie particolari, ma dopo un po’ il continuo andirivieni annoia.

GRAFICA E SONORO

L’aspetto grafico è curato attraverso Unreal Engine 4. Troviamo infatti dei modelli umani di tutto rispetto. L’imperante pioggia crea una sensazione di umido appiccicaticcio anche da dietro lo schermo, donando molta verosimiglianza all’ambientazione. Frogwares però non è molto pratica del motore grafico, soprattutto per quanto riguarda i modelli che spesso si impantanano nelle porte o negli oggetti di scena e le animazioni delle comparse sono a volte fuori sincrono. Ulteriore pecca nell’aspetto grafico riguarda gli interni delle case, dei magazzini e delle strutture abbandonate. Tutte le case sono strutturalmente identiche per numero e posizione delle stanze. Cambiano solo alcuni inserti specifici nel mobilio per via delle missioni a esse associate.

Il comparto sonoro mi ha soddisfatto molto, alcune tracce musicali all’interno sono particolarmente orecchiabili e c’è perfino una canzone così tanto bella da far perdere la sanità mentale, una citazione al racconto La musica di Eric Zann. Il sottofondo sonoro cambia a seconda della situazione, passando su più livelli di gravità man mano che ci si avvicina a un luogo infestato o a una situazione di nervosismo.

IL PUNTO

Frogwares ha sviluppato questo titolo con uno scopo preciso: rendere omaggio a uno dei più grandi autori dell’orrore. In questo scopo riesce e le storie che racconta toccano il cuore e mettono in crisi sia dal punto di vista etico che personale. Tuttavia, le meccaniche sono noiose a lungo andare e senza una spinta personale si rischia di abbandonare la traversata. Può sembrare una stroncatura, ma in realtà quello che voglio dirvi è di approcciarvi a questo titolo partendo dal presupposto di trovarvi davanti un’avventura grafica in terza persona con inserti action.

Se poi amate lo scrittore di Portland troverete omaggi delicati e mai invasivi che vi faranno spesso sorridere.

Voto: 6.5

Daniele Ferullo

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