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[#NerdReview] Call of Cthulhu: le prime impressioni sul gioco

Call of Cthulhu è stato finalmente rilasciato e qui di seguito ecco le prime impressioni.

Approcciandosi a Call of Cthulhu della Cyanide bisogna tenere ben presente un concetto fondamentale: si tratta di un’opera ispirata e motivata dal gioco di ruolo cartaceo omonimo, Il richiamo di Cthulhu della Chaosium, e non agli originali racconti di H. P. Lovecraft.

Come il precedente Call of Cthulhu: Dark Corners of Earth (2006), questo videogioco non intende trasporre sui nostri PC e sulle nostre console le atmosfere della narrativa dell’autore di Providence, bensì tutto ciò che da essa è stato derivato nella costruzione dei manuali dell’ormai celeberrimo GDR.

UN GIOCO LOVECRAFTIANO?

Questa nota, che potrebbe sembrare superflua, è in realtà basilare. Infatti sarebbe sbagliato valutare Call of Cthulhu immaginandolo quale tentativo di riproporre genuinamente le situazioni dei racconti di Lovecraft, poiché sin dall’inizio si configura come qualcosa di molto più pulp e legato alle atmosfere investigative e avventurose care ai giocatori di ruolo. I “puristi” non dovranno quindi farsi trarre in inganno: questo è un videogioco che vuole trattare atmosfere vagamente lovecraftiane, senza rinunciare a scazzottate, mostri tentacolari e sparatorie tra moli fumosi.

LA TRAMA

Appurato ciò, e con la mente sgombra da ogni pregiudizio, si può procedere a immergersi nelle ambientazioni del gioco e a seguire le peripezie di Pierce, un investigatore privato ingaggiato per indagare sulla morte dell’artista Sarah Hawkins e della sua famiglia, avvenuta sulla misteriosa isola di Darkwater. Da questo presupposto si calerà velocemente tra morbose relazioni familiari, oscuri culti nascosti e disperate manifestazioni di follia, in un crescendo che trascinerà il nostro investigatore da fradicie vie cittadine a grotte nascoste e manicomi malsani.

La storia scorre abbastanza velocemente, in circa sei o sette ore di gioco si dipana interamente conducendoci allo svelamento del mistero finale. Purtroppo però i vari colpi di scena si rivelano sin da subito abbastanza prevedibili, proprio a causa delle premesse stesse del gioco: è fin troppo facile immaginare che dietro la scomparsa della Hawkins si celino congreghe minacciose e poteri soprannaturali, così come è del tutto legittimo attendersi che il protagonista vada incontro a un processo di degradazione mentale sempre più repentino.

BUONE IDEE O CLICHÉ?

Call of Cthulhu, presentandosi come interpretazione videoludica del gioco di ruolo, mette subito in campo le carte senza neanche la pretesa di scoprirle pian piano: il gusto dell’esperienza dovrebbe risiedere proprio nel fatto che andiamo incontro a ciò che ci aspettiamo, gustando ciò che gli sviluppatori hanno messo a puntino per noi. Purtroppo però, a parte alcune buone idee*, i cliché si susseguono l’uno dopo l’altro, cedendo il passo non ad un’aspettativa appagata, ma piuttosto ad un senso di noia e di vuota riproposizione dei soliti scenari soprannaturali.

La trama in sé, poi, si fonda su due filoni principali, uno dei quali** si rivela in buona sostanza inutile, quasi fosse un filler per allungare una narrazione altrimenti troppo breve. È un peccato, perché il dipanarsi del disegno della trama è gestito abbastanza bene, concedendo al giocatore poche informazioni alla volta, perlopiù tramite allusioni durante i dialoghi o tramite descrizioni di oggetti rinvenuti nei vari scenari del gioco.

Questa narrazione così cauta è in qualche modo scombussolata dalle sezioni più oniriche: si avverte nettamente l’attrito tra l’andamento investigativo della vicenda principale e l’irruzione di vari sconvolgimenti*** che fanno cadere del tutto la sospensione dell’incredulità su cui titoli quali Call of Cthulhu si poggiano. Si può forse ritenere che lo stravolgimento delle posizioni dei personaggi possa essere lovecraftiano, ma squassare continuamente i punti fermi di una storia (senza peraltro riuscire a risolverli neanche nei vari finali alternativi) rischia di suscitare più confusione che orrore cosmico.

 UNA COMPONENTE DA GDR

A tale proposito, l’immersione nell’avventura è attenuata anche dalla componente da GDR inserita dagli sviluppatori. Tralasciando la presenza di alcune caratteristiche del personaggio che si rivelano inutili o quasi nel corso dell’avventura (“Forza”, ad esempio, può essere usata pochissime volte), in generale la sensazione di personalizzazione di Pierce è davvero ridotta, anche a causa dell’impatto relativo (o nullo) che si ha sulla trama del gioco: ci vengono proposte molte varianti nei dialoghi, ma le varianti conducono quasi sempre agli stessi sviluppi e la sensazione lasciata nel giocatore è quella di essere un semplice spettatore cui viene chiesto di dare un contributo minimo, per essere poi ricondotto su binari prestabiliti.

In effetti l’intero gameplay si regge su questo assunto restrittivo. L’investigazione consiste perlopiù nel raggiungere i vari indizi, chiaramente evidenziati dall’interfaccia, e sentire cosa ha da dire Pierce su di essi. Gli enigmi presenti sarebbero anche piacevoli, ma sono facili e davvero troppo pochi per un’avventura che si presenta così legata al mistero e allo sforzo d’indagine. Le sezioni stealth, che così palesemente si rifanno ad Amnesia: The Dark Descent, non riescono a riproporre lo stesso senso di brivido di quel gioco e si rivelano in taluni casi frustranti****.

In questo clima, in cui l’attività di gioco vero e proprio è affrontata in modo superficiale, gli sviluppatori hanno voluto inserire delle sezioni finali più vicine a dinamiche da FPS che stonano totalmente e che per di più sono realizzate in modo grossolano (la pistola di Pierce è uno degli oggetti più lovecraftiani del gioco: non si capisce quante munizioni abbia, perché lui la tenga in modo così legnoso, che razza di rinculo abbia ecc.). Addirittura la meccanica della sanità mentale – che dovrebbe essere cara ai giocatori della controparte cartacea del gioco – risulta appena abbozzata, e la sua influenza sul gioco è minima a causa della limitatezza delle situazioni nelle quali è presente (davvero poche, e sempre risolvibili con un “pilotato” allontanarsi da certe zone o stranezze); anche qui siamo distanti da Amnesia, nel quale l’incombere della follia e del panico è una preoccupazione costante del giocatore.

LA GRAFICA

In effetti può sembrare che il gioco soffra di una realizzazione affrettata e approssimata, forse a causa di tagli di budget o di deadline accorciate. La grafica, che pure ha dei punti di forza come la bella gestione delle luci, è ad un livello certo inferiore alle media per questo tipo di titoli e non brilla neanche nel design. Indice di ciò è il continuo passaggio da cutscene con la grafica di gioco ad altre realizzate in CGI, con delle transizioni fastidiosissime da vedere e che contribuiscono anch’esse a distruggere l’immersività del titolo (poiché anticipano, seppure indirettamente, la fine o l’inizio di una sezione di gioco, comprese quelle stealth).

CONCLUSIONI

In definitiva Call of Cthulhu è un titolo realizzato per gli appassionati dell’omonimo GDR (ripetiamo: probabilmente ad un purista dei racconti di Lovecraft NON piacerebbe), e se lo si gioca da appassionati si può sorvolare sopra le evidenti pecche del titolo. Giungere alla fine dell’esperienza non sarà difficile né gravoso, e lascerà sicuramente la voglia di iniziare una nuova avventura sul GDR cartaceo o magari anche di riprendere qualche storia dell’autore di Providence. Difficile, invece, che possa venire voglia di rigiocare di nuovo lo stesso Call of Cthulhu: ciò che ha da offrire è troppo evidente e semplice, e nonostante il suo addentrarsi in cunicoli, templi dimenticati e cantine occulte, si può presentare solo come un dipinto piatto e già visto. Può affascinare per poco tempo, magari lasciare qualche ricordo piacevole, ma niente più di questo e forse alla Cyanide non avevano la pretesa di fare di più.

Resta però il senso di delusione per un gioco che poteva, con un po’ più di cura e di attenzione formale, rivelarsi un gioiellino; segno che purtroppo non basta la passione per produrre un’opera in grado di catturare e di lasciare il segno.

 

Francesco Corigliano

SPOILER ALERT:

*la storia della nave Scylla e della sua caccia “miracolosa”

**quello legato alla misteriosa creatura nel dipinto

***persone che ritornano in vita e che non ricordano cosa gli è successo, personaggi che si credevano morti da tempo e che in realtà non lo erano, decisioni quantomeno avventate da parte di personaggi secondari ecc.

****specialmente quella col suddetto mostro del quadro