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Marco Tullio Giordana: “Il nostro destino ce lo dobbiamo scrivere noi, già troppi sono i condizionamenti, subire anche quello della criminalità è insopportabile”

foto Marco Tullio GiordanaCOSENZA (CS) – Umiltà e disponibilità sono le parole che meglio descrivono il pluripremiato regista Marco Tullio Giordana. Reduce di una tre giorni di incontri con gli studenti calabresi per presentare il suo ultimo film “Lea”, andato in onda in prima serata su Rai 1 lo scorso novembre, ci ha concesso un’intervista in cui ci parla del suo cinema e ci  racconta la manifestazione  “Il coraggio oltre la narrazione”.

D- Quando nasce la manifestazione “Oltre la narrazione” e perché?

R- Mi chiese Alessio Praticò, l’attore che ha interpretato un ruolo molto importante nel film “Lea”  se fossi disponibile a venire in Calabria ad incontrare le scuole. Dissi :« È una cosa che mi piacerebbe moltissimo, l’ho sempre fatto per tutti i miei film e a maggior ragione di venire in Calabria, materia di questo film. Incontrare i ragazzi, le scuole, vedere cosa succede a mettere i giovani calabresi, in un momento molto delicato della loro formazione, a contatto con una storia così conturbante».

D- Nel cast gli attori calabresi Linda Caridi e Alessio Praticò. Oltre che per la loro bravura, la scelta è stata dettata da motivi linguistici o dal voler conferire al film maggiore veridicità?

R- La prima regola è scegliere gli attori bravi perché nel caso gli attori bravi possono anche imparare le lingue. Io ho fatto tantissimi provini e tutti gli attori che ho scelto si sono rivelati i migliori per quel ruolo; poi per me è molto importante che la lingua che parla quell’attore sia la lingua del personaggio perché altrimenti c’è sempre quel qualcosa di vagamente fasullo. Un attore deve essere libero di parlare perché automaticamente gli viene fuori e quindi è più facile che questo succeda per chi è madrelingua, questo è un elemento però, il primo è sempre la bravura.

D- Cittanova, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Cosenza. Assente Crotone, città di Lea Garofalo, perché?

R- Non so perché, magari faremo un altro giro proprio da quelle parti. I posti, i luoghi sono cose che vanno organizzate. L’organizzazione di questa manifestazione è nata a Reggio Calabria e non si poteva chiedere di  coprire tutto il territorio, in più, dovrei anche lavorare nella mia vita e quindi è difficile trovare il tempo di seguire tutto questo.

D- Nel 2000 “I cento passi”, ora “Lea”. Storie che, seppur conclusesi drammaticamente, ci insegnano che è possibile abbattere le gabbie sociali

R- Mi è difficile rispondere concisamente. Io non faccio dei film perché voglio lanciare dei messaggi. Hitchcock diceva «Se vuoi mandare dei messaggi, vai alla posta, non usi il cinema», il cinema deve raccontare delle storie, dei personaggi che ti piacciono, che non ti piacciono, nei quali ti identifichi, nei quali non ti identifichi.È il racconto, è la sostituzione del nonno al camino che inizia a raccontare, è qualcosa che appartiene alla civiltà, al bisogno di raccontarsi. È la cosa che ci differenzia dagli animali, gli animali non si raccontano, non hanno un poeta. L’uomo è poeta perché ha bisogno di trovare una sintesi della propria vita, delle proprie esperienze. Perché c’è questo bisogno? Perché c’è bisogno della memoria, di tramandare, e il cinema- se uno ha scelto questa lingua- è qualcosa che lo può fare in maniera fortemente emotiva, fortemente coinvolgente . Io non so per quale ragione ho sempre amato le storie che oltre a raccontare le vicende di un personaggio, raccontano anche un contesto, un periodo storico, un tempo. Nel caso sia di Lea che di Peppino Impastato, mi sembrava che queste due figure ci potessero raccontare molto bene il loro tempo, il loro contesto: la Sicilia della fine  degli anni ’60 nel caso di Peppino Impastato, Lea questo tempo presente in cui il crimine non è più solo locale ma si trasferisce, cambia città, cambia contesti. In entrambi i casi sono due figure che si ribellano, che non accettano, che non vogliono seguire il corso degli eventi  come se fosse ineluttabile, che rifiutano l’idea del destino scritto da altri. Ecco questa mi sembra una cosa bella da raccontare perché il nostro destino ce lo dobbiamo scrivere noi, già troppi sono i condizionamenti, subire anche quello della criminalità è insopportabile.

D- Siamo abituati a vedere i suoi film al cinema. “Lea ” è stato prodotto per la tv, perché?

R- Per me non c’è nessuna differenza fra il cinema e la televisione. Io ho visto tanti bellissimi film in televisione e non cambiava nulla. i miei film possono andare indifferentemente nella grande sala, anzi è pure meglio vederli nella grande sala, o nel piccolo schermo. In questo caso ci tenevo che fosse un film per la televisione perché la televisione entra in tutte le case e poi in una sola sera tu li hai raggiunti tutti, cinque, sei milioni di telespettatori, in un cinema è un lavoro più lungo. Per me è molto importante che i telespettatori  di Rai 1- abituati ad un prodotto talvolta convenzionale , talvolta melenso nel rappresentare gli eroi- vedessero una storia secca, molto asciutta di questa donna straordinaria, esempio per tutte le donne non solo calabresi, nel mondo, di chi si ribella alla criminalità, che lo vedessero tutti i telespettatori italiani. La cosa straordinaria è stata che in Calabria , ha avuto le stesse percentuali del Festival di Sanremo , tant’è vero che io vorrei chiedere indietro il canone alla Rai. Che cosa significa questo? Significa che evidentemente c’è un bisogno in televisione di vedere  storie vere, di vedersi rappresentati, di vedersi allo specchio, non di vedere qualcosa di astratto, lontano che magari ha anche un intento didattico, che lo spettatore è molto più evoluto di quanto lo si pensa e, fra l’altro, nell’analisi dei dati di ascolto la cosa interessante era che lo avevano visto sia i genitori che i figli e che lo avevano visto insieme  e che quindi questo film in televisione è stata l’occasione di parlarsi fra generazioni, ecco perché è importantissimo lavorare con la televisione, io dico non per la televisione ma per la televisione  perché poi noi dobbiamo lavorare per lo spettatore.

Rita Pellicori

Alessio Praticò è Carlo Cosco in “Lea”

www.ntacalabria.it
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COSENZA(CS) – L’attore reggino Alessio Praticò è nel cast  di “Lea”, l’ultimo film di Marco Tullio Giordana presentato in anteprima al Roma Fiction Fest, che andrà in onda in prima visione mercoledì 18 su Rai1. L’attore, che nel film interpreta il ruolo di Carlo Cosco, compagno di Lea Garofalo, ha concesso  un’intervista esclusiva alla nostra testata.

D- «Laurea in architettura e diploma presso la scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, mi illustri il ‘cambio di rotta’»

R-« La passione per la recitazione ha origine dalla scuola d’infanzia che mi diede,ci diede l’opportunità di recitare in piccoli spettacoli.Ricordo uno spettacolo a cui partecipai all’età di cinque anni, l’innamoramento parte da lì . Terminato il liceo ero indeciso sul percorso da intraprendere, ero molto indeciso anche perché questa passione era rimasta confinata in un cassetto ed era uscita fuori all’età di 18 anni grazie ad un laboratorio a Reggio Calabria a cui avevo partecipato. Ho deciso di proseguire gli studi scegliendo il corso di laurea in architettura, altra mia passione.Dopo la laurea, ho deciso di rendere la passione per la recitazione in un lavoro e dopo aver sostenuto una serie di provini, sono entrato a Genova.In realtà, come l’attore progetta il personaggio da interpretare, anche l’architetto progetta spazi da abitare dunque la distanza tra le due cose non è insormontabile. Credo che nel mestiere di attore sia necessario accumulare il maggior numero di esperienze possibili per poi regalarle ai personaggi da interpretare, quindi, alla luce di questo, sono lieto del percorso universitario che mi ha aiutato ad utilizzare l’idea progettuale nella “costruzione” dei personaggi».

D-«Nel film “Lea” veste i panni di Carlo Cosco,mi parli del personaggio»

R-«Non c’è molto da dire, la storia di Lea Garofalo è nota.È importante sottolineare che l’attore non deve mai giudicare il personaggio che va ad interpretare, deve solo interpretarlo al meglio, ed è quello che ho fatto io. Ho avuto la fortuna di lavorare con un grande regista, Marco Tullio Giordana, ed insieme abbiamo voluto raccontare questo personaggio cercando di evidenziare le debolezze e l’umanità nonostante si tratti di un personaggio negativo, cercando di portare avanti un personaggio che non sia il solito stereotipo dell’uomo di mafia. Tenevo a realizzare qualcosa che potesse fare emergere un pizzico di umanità. Nell’aver dovuto interpretare questo ruolo, ho cercato di portare avanti quella che era la verità di Carlo Cosco che tutti conosciamo»

D-«Un calabrese che veste i panni di un altro calabrese,questo può esser considerato un vantaggio o uno svantaggio

R-«Sono originario di Reggio Calabria, da tempo vivo fuori, però, sono molto legato alle mie origini. Da calabrese è stato più semplice capire, percepire i modi di fare di noi calabresi. Per quanto riguarda il lavoro sul linguaggio, essendo di Reggio, ho una cadenza simile a quella siciliana, ho dovuto lavorare per avvicinarmi il più possibile alla cadenza della provincia crotonese, anche se abbiamo cercato di realizzare una cadenza calabrese comprensibile a tutti.»

D-« Passiamo al retroscena, con quali attori è entrato maggiormente in sintonia

R-«Con tutti, ho avuto la fortuna di lavorare con gente “umana”, sul set eravamo una grande famiglia. Era un piacere lavorare con loro.C’era un grande fervore, un atteggiamento di simpatia nonostante stessimo girando un film con una storia importante. Diciamo che l’empatia che si è creata tra di noi, l’abbiamo regalata ai personaggi per raccontare al meglio questa storia, è stata un po’ una sorta di missione per raccontare questa triste storia».

D-«Ha lavorato al fianco di Marco Tullio Giordana, mi racconti la sua esperienza»

R-«Lavorare con Marco Tullio Giordane è stato un onore e soprattutto un vero piacere.È un regista che lascia ampio spazio alla creatività degli attori e cerca di assecondare questa creatività.È una persona molto professionale e molto sensibile, comprende i  disagi che si possono riscontrare sul set, e poi, non ha mai perso l’occasione per dispensare consigli e svelarci quelli che sono i trucchi del mestiere, e non è scontato che lo facesse»

Rita Pellicori

Livelli essenziali di assistenza, la Regione supera la soglia di criticità

CATANZARO –  La Regione Calabria è adempiente rispetto ai Lea, livelli essenziali di assistenza. A comunicarlo – si legge in una nota dell’ufficio stampa della Giunta regionale  – è stato il Ministero della Salute che ha trasmesso i dati della Griglia L.E.A. 2012 al Dipartimento. Alla Regione è stata attribuita una valutazione degli adempimenti relativi al mantenimento dei L.E.A. per l’anno 2012 pari a 132 punti a fronte del minimo fissato a 130.

I dettagli dell’importante risultato raggiunto sono stati illustrati dal Presidente della Regione e commissario ad acta per il piano di rientro dal deficit in sanità Giuseppe Scopelliti  nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro, presso Palazzo Alemanni, alla quale hanno partecipato anche il neo subcommissario Andrea Urbani e il dirigente generale del Dipartimento Tutela della Salute Bruno Zito.

“Sulla vicenda dei Lea – ha dichiarato il Presidente Scopelliti – avevamo più volte precisato che si trattava di un problema di flussi informativi non di messa a repentaglio dei livelli di assistenza ai malati. Abbiamo lavorato intensamente tutto il mese di agosto e parte di settembre facendo finalmente squadra, individuando referenti unici dei flussi e invitando le aziende a una maggiore collaborazione, per mettere a regime le notizie e le informazioni necessarie e comunicare a Roma dati più puntuali.  Oggi grazie alla ufficializzazione pervenuta da parte dei ministeri competenti abbiamo la certezza che la Regione Calabria è adempiente. Con i 132 punti raggiunti nel 2012, partendo dagli 88 punti del 2009, siamo al di sopra della soglia di criticità. Il percorso intrapreso dimostra la nostra capacità di dare risposte concrete. Si tratta di un ulteriore riconoscimento che ci consente di poter dire che abbiamo superato un altro ostacolo mettendo a tacere quella parte del centrosinistra che aveva preso a pretesto i Lea per attaccare il nostro lavoro”.

Il Presidente Scopelliti ha presentato alla stampa, inoltre, il nuovo sub commissario Andrea Urbani nominato recentemente dal Consiglio dei Ministri.