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Jimi Hendrix celebrato a Rovito con film e concerto

jimi hendrix  all is by my sideROVITO (CS) – Riparte in rock anche quest’anno la stagione del Cineforum Falso Movimento.  Si ricomincia infatti con una serata speciale dedicata a Jimi Hendrix, l’artista mitico che fece della sua Fender Stratocaster il simbolo d’una generazione.
Per il quarantaquattresimo numero di “Flashback- il Cineappuntamento di Ugo G. Caruso” martedì 15 alle ore 21 al Teatro Comunale di Rovito è in programma il film “Jimi – All is on my side” (Irlanda- UK- USA 2014) diretto da John Ridley, sceneggiatore di “12 anni schiavo” al suo debutto da regista e interpretato da Andrè Benjamin, Imogen Poots, Burn Gorman, Hailey Atwell, Ruth Negga e Andrew Buckley.
La serata inaugurale sarà particolarmente ricca. Ugo G. Caruso, già fan adolescente del musicista di Seattle, prima di potersene assicicurare materialmente una copia, ha inseguito a lungo il film pressocchè sconosciuto da noi. Uscito il 18 settembre del 2014, in occasione dell’anniversario della morte del musicista, “All is on my side” è stato poi penalizzato da una scarsa circolazione, nè a tuttora esiste un dvd sul mercato italiano.
Dopo la consueta introduzione di Caruso, l’incontro proseguirà con una breve lezione-concerto di Roberto Cortese e Alfredo Cosenza che alla chitarra eseguiranno alcuni brani di Hendrix, illustrando la specificità stilistica e l’importanza avuta nell’evoluzione del rock dal musicista scomparso 45 anni fa, nel 1970.
Il film di Ridley più che essere un biopic atipico, come fu definito alla sua uscita, sceglie di raccontare il periodo più fecondo dell’artista, quello che va dagli esordi alla consacrazione ricevuta al Festival Pop di Monterey nel 1967 con la sua indimenticabile apparizione “incendiaria”. Turnista per King Curtis, Hendrix iniziò la sua attività di solista con il nome di Jimmi James. A scorgere il suo talento fu la modella Linda Keith, nota all’epoca per la sua liaison con Keith Richards dei Rolling Stones che scrisse per lei la celebre “Ruby Tuesday”. L’incontro tra i due porterà Hendrix dall’altra parte dell’oceano. Qui, grazie all’aiuto di Chas Chandler, ex bassista degli Animals, inizierà un giro di concerti nella Swinging London. Tra un flirt e una scenata, una seduta in sala d’incisione e l’esaltazione in scena il film di Ridley esplora l’Hendrix privato mostrando gli aspetti più contraddittori della sua personalità: il difficile rapporto con un padre distante, con le donne, con droghe, alcool e barbiturici.  Si accenna di sfuggita anche alla questione razziale degli afroamericani (l’artista era un meticcio nero-nativo) e al suo rapporto con Malcolm X. Manca drasticamente invece l’ultima parte della breve vita di Jimi, quella che va dallo scioglimento degli Experience e del trionfo di Woodstock nel ’69 con la sua sbalorditiva reinterpretazione acida dell’inno americano fino alle ultime fatiche discografiche, alla formazione della Band of Gipsyes, alla deludente performance all’Isola di Wight e alla morte a Londra, a soli 27 anni, la cui versione ufficiale lasciò molti dubbi. Ma tutto questo nel film di Ridley rimane fuori campo anche perché il rifiuto da parte della sorella dell’artista, Janie Hendrix, di concedere i diritti su gran parte del suo repertorio, priva gravemente il film di brani come “Hey Joe” o “Purple Haze”.  Se resta sorprendente l’aderenza fisica e vocale alla rockstar dell’interprete, Andrè Benjiamin, leader del gruppo rap degli OutKast, perfettamente calato nel ruolo, i momenti più forti del film, concepito come “un pezzo d’atmosfera”, sono senza dubbio nelle scene del  confronto con Eric Clapton e nella versione luciferina di Sergeant Pepper che Hendrix improvvisa di fronte agli sgomenti Paul McCartney e George Harrison, il limite palese è nell’assenza dei brani su cui si edificò il suo mito. Ma per quelli c’è sempre e comunque una montagna di dischi da poter riascoltare anche per verificare quanto sia ancora moderna e attuale la musica di Hendrix. Insomma, tanto per cambiare, una serata da non perdere!

Rovito: Il sindaco interviene ancora sulla Discarica di San Nicola a Celico

ROVITO (CS)  Continua l’azione del sindaco di Rovito, Felice D’Alessandro, riguardante la discarica sita in località San Nicola, a Celico. Il 30 luglio scorso, infatti, preso atto che l’Arpacal “non dispone dei mezzi e della strumentazione necessaria per la determinazione della concentrazione di odori mediante olfattometria dinamica” e a seguito dell’incontro con il Prefetto e con il segretario regionale del Partito Democratico, Ernesto Magorno, D’alessandro ha convocato, in seduta straordinaria, un consiglio comunale congiunto con tutti i sindaci della Presila, presso la sala consiliare del comune di Rovito, avente come punti all’ordine del giorno aggiornamenti e proposte riguardanti la discarica di Celico. L’obiettivo di D’Alessandro era quello di “ trovare una strada unica, congiunta, che porti i comuni ed i cittadini presilani a liberarsi di questo mostro ambientale”.

D’Alessandro, dopo essersi detto “consapevole e preoccupato” del malessere della comunità dovuto agli odori poco gradevoli che è costretta a sopportare e causati dalle emissioni odorigene provenienti dal sito gestito della Mi.Ga., ha informato i numerosi cittadini presenti di tutte le azioni avviate al fine di risolvere la problematica.

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“Abbiamo  fatto quanto era di competenza comunale- ha affermato il sindaco di Rovito- per cercare di rimuovere le criticità dovute alla presenza della discarica di Celico, su cui abbiamo investito tutti gli organismi regionali e provinciali preposti alla salvaguardia della salute pubblica”. “ Come sindaco” ha proseguito D’Alessandro “continuerò a stare al fianco dei miei concittadini, con convinzione e determinazione. Il nostro, sin dall’inizio, è sempre stato un chiaro “no” alla discarica e non abbiamo cambiato idea […], andremo avanti a muso duro perseguendo tutte le attività legali e politiche a nostra disposizione”.

“Bisogna puntare- ha concluso D’Alessandro- sulla raccolta differenziata e, in particolare, ad alte percentuali della stessa in tutti i comuni presilani. Bisogna favorire la nascita di isole ecologiche ( nel nostro caso abbiamo già espletato le procedure riguardanti la gara d’appalto, ci rimane di aprire le buste ed avviare i lavori) e promuovere la bonifica delle aree interessate”.

Il noir torna in scena con Red Riding Trilogy

ROVITO – (Cs) Al Teatro Comunale di Rovito, domenica 11 gennaio, a partire dalle 17, avrà luogo il primo evento speciale della stagione offerto dal Cineforum Falso Movimento e curato da Ugo G. Caruso: una kermesse dedicata a Red Riding Trilogy, tratto dalla quadrilogia dello scrittore inglese David Peace che si ispira ai cupi avvenimenti svoltisi a cavallo tra la metà degli anni settanta e quella del decennio seguente che insanguinarono lo Yorkshire sprofondandolo in un clima di terrore e di sospetto. Caruso ci conduce per le contrade del male mescolando finzione e cronaca nera epurando l’opera di eventi fantastici, né vampiri o licantropi, ma solo un brutale realismo fatto di orrore, violenza e corruzione. Un appuntamento immancabile per gli amanti della letteratura noir, del genere thriller, del cinema inglese e della televisione d’autore.

 

Premio Mario Gallo: i primi due appuntamenti

COSENZA – Gianni Amelio, John Francis Lane, Daniele Ciprì ed Edoardo Winspeare. Sono questi i nomi di coloro i quali riceveranno il Premio Mario Gallo 2014, nel corso dell’ottava edizione della kermesse cinematografica che si svolgerà tra Rende, Cosenza e Rovito dal 3 al 17 dicembre prossimi. La manifestazione è organizzata dalla Cineteca della Calabria, con il sostegno del Mibac, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Rende, dell’associazione Falso Movimento di Rovito, nonché del supporto di alcuni partner privati. Ecco i primi due appuntamenti mentre in allegato la locandina di tutta la manifestazione. Ingresso libero.

VENERDI 12 DICEMBRE 2014 SALA TOKIO – MUSEO DEL PRESENTE DI RENDE – ORE 18.00
La Cinescoperta dei Territori: da Africo 1949 a Matera 2019. Effetti e potenzialità del cinema nella promozione delle identità culturali

Discutono: Luigi Di Gianni, Paride Leporace (Lucana Film Commisssion), Gioacchino Criaco (scrittore), Vittorio Toscano (Assessore alla Cultura, Comune di Rende), Pino Citrigno (Commissione Cinema, Mibac), Eugenio Attanasio e Giovanni Scarfò (Cineteca della Calabria)

Il cinema scopre e valorizza i territori. Proveremo ad approfondire il ruolo svolto in questi anni dai territori a sostegno delle produzioni audiovisive in un momento in cui risulta strategico un coordinamento più strutturato tra livello nazionale e i livelli regionali. Analizzeremo il caso di Africo, scoperto cinematograficamente da Elio Ruffo nel 1949 e ripreso prima dal romanzo “Anime nere” di Gioacchino Criaco e, successivamente, dall’omonimo film di Francesco Munzi. E poi il caso di Matera che da “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini del 1964 arriva dritta nel futuro, in quel 2019 quando sarà, anche grazie al cinema, Capitale Europea della Cultura.

SABATO 13 DICEMBRE 2014 TEATRO COMUNALE DI ROVITO – ORE 19.00
FELICE CHI È DIVERSO di GIANNI AMELIO

Proiezione e incontro con Gianni Amelio e John Francis Lane
Ideato e diretto da GIANNI AMELIO; Fotografia: LUAN AMELIO; Montaggio: CECILIA PAGLIARANI; Ricerche e documentazione: FRANCESCO COSTABILE; Casa di produzione: Cinecittà Luce, Rai Cinema, RaiTrade; Distribuzione (Italia): Cinecittà Luce; Paese: Italia; Anno: 2014; Durata: 93 min; Genere: documentario, LGBT. Con i racconti di: Giorgio Bongiovanni, Nicola Calì, Francesco Cocola, Pieralberto Marchesini, Roberto Pagliero, Claudio Mori, Alba Montori, Aldo Sebastiani, Corrado Levi, Ciro Cascina, Agostino Raff, Ninetto Davoli, John Francis Lane, Fernando Nigro, Mosé Battazzi, Paolo Poli, Lucy Salani, Roberto David, Glauco Bettera, Aron Sanseverino.
Attraverso le parole dei giornali e le immagini di repertorio della televisione, viene raccontata la battaglia combattuta contro l’omosessualità in Italia nella seconda metà del novecento. Finita la repressione e il silenzio totale sulla questione degli anni fascisti, il paese scopre tutto insieme la presenza e la vita degli omosessuali, in una continua condanna che quando non prendeva la forma dell’attacco diretto o dell’insulto palese, era sottilmente indagata come la più infamante delle condizioni, la più deprecabile delle depravazioni umane. L’accettazione sociale dell’amore omosessuale e la sua normalizzazione sono una questione lessicale irrisolta per Gianni Amelio. È questa la prima e più importante intuizione sottesa a tutto quel che Felice chi è diverso costruisce, l’assunto che fonda un’impalcatura costituita da circa 20 interviste a 19 anziani omosessuali che ricordano la loro vita e (in un chiusura) ad un adolescente che non conosce che la situazione odierna. Parte quindi dalle parole ma finisce anche alle parole questo documentario che celebra non la diversità dal normale (come spesso viene identificata l’omosessualità) ma la diversità in quanto tale, anche all’interno della singola categoria (che è poi il senso della
poesia di Sandro Penna da cui il titolo è tratto). Sebbene Felice chi è diverso non vada per nulla leggero nel raccontare gli abissi di ignoranza che hanno caratterizzato la propaganda omofobica negli anni trattati, il documentario vive soprattutto di momenti sorprendenti in cui molti intervistati si dicono comunque nostalgici del passato. Chi per pudore, chi per l’eccitazione del proibito, chi per la varietà delle categorizzazioni che prendevano la forma dei diversi epiteti regionali e che la parola “gay” ha appiattito come se tutto fosse la stessa cosa. Nessuno è uguale a nessun altro in questo racconto fatto solo da omosessuali, nessun esperienza si somiglia, nessun opinione concorda. Mettendo in primo piano titoli di giornale, assurdità lessicali, follie giornalistiche (come il reportage investigativo sulla prostituzione maschile o le interviste canzonatorie in rima) fino alle gag più innocenti che nascondevano comunque una lettura repressiva del fenomeno, Amelio agita lo specchietto dell’indignazione facile, ma sembra che il vero obiettivo di questo documentario sia di far strisciare dietro alle immagini e riuscire a permeare ogni racconto di quel senso di gioia delle differenze che è la base della tolleranza in generale. Non c’era di sicuro bisogno di un nuovo documentario sulla vita omosessuale, di certo ce n’era di uno come questo che riporta alla luce un clamoroso rimosso collettivo e affronta la questione da un punto di vista tra i meno comuni, per cercare di superare uniformità di sguardo e percezione e rendere la complessità di un mondo.

I segreti di Stanley Kubrik racchiusi in una stanza

ROVITO (CS) – A Rovito mercoledì 8 alle 20.45 Ugo G. Caruso apre la stagione 2014 del Cineforum Falso Movimento con Room 237, un documentario allucinato e stravagante di Rodney Asher su Shining (1980), controverso ed enigmatico film del grande regista newyorchese. Da Milano interviene Gianfranco Carpeoro, scrittore e studioso di simbologia.
Il documentario di Rodney Ascher, presentato nel 2012 prima al Sundance e poi a Cannes, indaga i simboli, i segreti, i messaggi occulti nascosti nel film di Kubrick tentando di darne un’interpretazione dopo aver passato in rassegna le tante ipotesi formulate finora. Il meno che si possa dire è che si tratta di un’opera maniacale e “paranoica” capace di individuare i canoni di un codice esoterico originale inventato da Kubrick ma pure di guidarci attraverso le ossessioni di una serie di spettatori rimasti a suo tempo indelebilmente impressionati dal film in un percorso di decifrazione oltremodo intrigante.
Si va dal riferimento allo sterminio degli ebrei ad opera dei nazisti durante la seconda guerra mondiale al genocidio dei nativi americani, dal mito di Teseo e del Minotauro nel labirinto ai messaggi erotici subliminali secondo le più sofisticate tecniche dei “persuasori occulti”, dalla metempsicosi del protagonista, Jack Torrence, alla metafora dell’Uomo costretto ad uccidere da una tragica coazione a ripetere, dagli sberleffi cifrati all’autore del romanzo, Stephen King, all’esame della planimetria “taroccata” dell’Overlook Hotel. E, per finire, alla presunta confessione del regista di aver confezionato il più grande falso di tutti i tempi, l’allunaggio dell’Apollo 11, secondo una diffusa diceria di marca complottista, commissionatogli dal governo americano, per il quale si sarebbe avvalso dei modellini usati in 2001 Odissea nello spazio (1968). Il segreto della colossale mistificazione sarebbe custodito per l’appunto nella Room 237, la “Moon Room”. Quel che è certo è che le polemiche e le interpretazioni di Shining non cesseranno dopo questo bizzarro tentativo di dissezione, fotogramma per fotogramma e di decrittazione. Anzi, c’è da scommettere che i tanti enigmi,racchiusi gli uni negli altri come in tante scatole cinesi, si moltiplicheranno e ci accompagneranno per chissà quanti anni ancora.

La nuit de Belfagor a Rovito

ROVITO (CS) – Gran finale come ogni anno a Rovito con un evento speciale curato da Ugo G. Caruso in collaborazione con il Cineforum Falso Movimento. Dopo le serate-strenna delle passate edizioni ( Soirèe Tati; La via italiana alla pubblicità: Carosello 1957-1977, segni/disegni, sogni/bisogni,/costumi/consumi”;  Notte sconfinata, Una maratona Ai confini della realtà) domenica 29 a partire dalle 17.30 al Teatro Comunale è in programma la kermesse  La nuit de Belfagor. Sarà riproposto il film muto del 1927 Belphègor, cineromanzo in quattro episodi diretto da Henri Desfontaines e tratto dal romanzo di Arthur Bernède che ispirò pure il celeberrimo sceneggiato televisivo francese del 1965 diretto da Claude Barma, autentico “ terrore” negli anni di varie generazioni. Pochi sanno che il tenebroso personaggio, un tempo divinità adorata dai moabiti, ancor prima che sul piccolo schermo fu popolarissimo al cinema in un serial proiettato in quattro parti, come usava allora. Il suo fascino terrificante gli avrebbe garantito fama imperitura, seppure sinistra, tale da farlo riapparire pure di recente nel film di Jean Paul Salomè del 2001 e c’è da scommettere che non sarà l’ultima volta. Lo spunto di partenza tra film e sceneggiato è identico – apparizione di un lugubre fantasma nei padiglioni del Louvre dedicati alle civiltà antiche – ma mentre lo sceneggiato assumerà tonalità più esoteriche collegandosi alle vicende dei Rosacroce, il film, in linea con le atmosfere ed il gusto dell’intreccio tipico del feuilleton rimarrà su una linea, per così dire, più mondana, tra feste galanti di aristocratici e manieri nobiliari di campagna, ma sempre ritmata da continui colpi di scena, improvvise rivelazioni, frequenti rivolgimenti di fronte, frenetici inseguimenti per le vie o più spesso per i sotterranei della città, una Parigi al massimo dello splendore e del suo mito, quella percorsa dalle avanguardie, mecca degli artisti di tutto il mondo in cerca di fortuna, di esuli e profughi,aristocratici russi e scrittori americani, mescolati in una continua sarabanda, una festa mobile tra grandi  boulevards e brasserie. Il  film di Desfontaines fu coprodotto da Gaston Leroux, l’autore de Il fantasma dell’Opera  e della serie del giornalista-detective Rouletabille, insomma uno che di misteri parigini se ne intendeva. Ad interpretare il ruolo del celebre investigatore Chantecoq è Renè Navarre che nel 1913 aveva vestito i panni di Fantomas, autentico capostipite del feuilleton fantastique per la regia di Louis Fellade. Una serata imperdibile quindi – garantisce Caruso che ha già avuto modo di allestirla vari anni fa – da raccomandare non solo a cinefili raffinati o a cultori del genere mistery ma a quanti, riuscendo a sottrarsi ai consueti riti natalizi, vorranno a fine anno regalarsi un elegante brivido d’antan.

Falso Movimento: Ombre Sonore #5: Violeta se fue a los cielos di Andrés Wood

Martedì 26 alle ore 20.30, presso il teatro comunale di Rovito, verrà proiettato il film inedito in Italia Violeta se fue a los cielos di Andrés Wood.

Violeta Parra (1917-1967) era una musicista, cantante, pittrice, scultrice e poetessa cilena. E una donna moderna e indipendente. Eppure legata alla propria terra d’origine da un amore profondo ed assoluto. Nel corso della sua esistenza, contrassegnata da successi insperati ma anche da tanti dispiaceri, Violeta non ha mai smesso di cercare il suono della tradizione, quello che emana spontaneamente dall’anima di un popolo. Avrebbe buttato all’aria tutti i suoi straordinari talenti pur di poter stare in mezzo alla gente: quella da cui, fino all’ultimo, ha voluto attingere la straziante voce del dolore. Violeta aveva avuto un’infanzia infelice, segnata dalle intemperanze del padre, che era maestro di scuola ed amava la musica, però era un forte bevitore. Alla sua morte, gli averi della famiglia erano andati in fumo, e Violeta aveva potuto ereditare soltanto una vecchia chitarra scordata. Pur non avendo mai ricevuto una vera educazione musicale, da ragazzina aveva iniziato ad esibirsi per strada e nei locali per contribuire al sostentamento dei suoi numerosi fratelli. Poi, improvvisamente, il mondo si accorge di lei. Viene invitata a cantare in Polonia e le sue opere grafiche, realizzate con tecniche che spaziano dalla pittura al ricamo, vengono esposte al Museo del Louvre, nella sezione dedicata alle arti decorative. Tornata in patria, fonda, nei pressi di Santiago, un circolo culturale destinato ad ospitare complessi folcloristici della regione andina, ricevendo, almeno inizialmente, una risposta positiva da parte del pubblico. Nel frattempo, però, la sua vita privata procede tra mille traversie: le muore un figlio appena nato, i suoi due matrimoni falliscono, intraprende una relazione con un antropologo svizzero, molto più giovane di lei, che presto la abbandona. Violeta, ciò malgrado, continua a scrivere, dipingere, comporre, seguendo il respiro affannoso del tempo che passa, togliendole progressivamente le forze e la fiducia nel futuro. Finisce per sentirsi dimenticata da quella gente che tanto amava, e, dopo aver lanciato, con le sue ultime melodie, un potente grido di disperazione, decide di porre fine ai suoi giorni. Il film riproduce il ritmo danzante di un’inquietudine che imita il verso della natura per diventare armonia. Da bambina Violeta aveva imparato dal padre a fischiare come fanno gli uccelli, e la suggestione di quella musicalità primitiva, eppure così toccante, l’aveva convinta che l’espressione più autentica del sentimento non può essere filtrata dalla disciplina, perché deve essere lasciata libera di sgorgare dall’intimo, senza sottostare ad alcuna prescrizione. Sedetevi al piano e distruggete la metrica. Gridate invece di cantare. Soffiate nella chitarra e pizzicate la tromba. Odiate la matematica ed amate il turbine. La creatività è un uccello senza piano di volo, che non volerà mai in linea retta. Queste sono le esortazioni che Violeta rivolgeva ai giovani artisti. Il regista Andrés Wood dà, a quella viscerale vocazione al caos, la forma di una femminilità selvatica, forgiata dal vento e dalla polvere, ed avvolta in una ricercata eleganza di stracci e capelli arruffati.
Una figura fatta per interpretare l’arioso fruscio del ricordo, che si fa bellezza ma racchiude il suono del pianto. Le sue canzoni ripetono l’eco mai spenta di una sofferenza universale, eternata dal male della povertà, e causata dalle ingiustizie perpetrate dai potenti. In Violeta, la tristezza urla, perché nasce dalla ferocia: quella con cui, in uno dei suoi brani più celebri, il gavilán, lo sparviero, attacca e divora una gallina, mentre questa tenta in ogni modo di sottrarsi al suo becco ed ai suoi artigli. È il pensiero marxista applicato al destino, alla natura, alla vita in quanto tale: ed è visto dalla prospettiva di una donna ribelle e combattiva, che ha sempre lottato disperatamente, ed alla quale, ciononostante, è stato tolto tutto. Violeta se fue a los cielos è la storia di una volontà inflessibile, che non ha mai rinunciato al diritto di scegliere la propria strada, anche a costo di violare apertamente le logiche del mondo. Ben sapendo che, se la gioia è una breve illusione, e la felicità è impossibile, l’onestà con se stessi e la fede nella propria unicità sono principi sempre validi: forse non bastano a riempire la solitudine, ma aiutano a dare comunque un senso al proprio percorso esistenziale.

Falso Movimento (OmbreSonore#4): SOUNDS AND SILENCE (ECM)

Martedì 12 alle ore 20.30, presso il teatro comunale di Rovito, verrà proiettato il film Sound and Silence.

Viaggio nel mondo della musica, delle melodie e dei suoni, il nuovo documentario dei registi svizzeri Peter Guyer e Norbert Wiedmer, presenta l’operato del celebre discografico tedesco Manfred Eicher. Fondatore dell’etichetta Edition of Contemporary Music, Eicher – uno dei nomi più importanti nell’ambito della produzione di musica jazz – estende il marchio alla musica classica e contemporanea in genere producendo artisti come Jan Garbarek, Steve Reich, John Adams e Eleni Karaindrou.

Il film segue il discografico nel suo lavoro con compositori e interpreti quali Anouar Brahem, Nick Bärtsch e Gianluigi Trovesi, nel corso di concerti o dentro gli studi di registrazione, dove Manfred Eicher non esita ad abbandonare i sentieri già battuti a favore di un’evoluzione creativa. Omaggio alla musica, Sounds and Silence è un’avventura avvincente nel cuore della passione di un uomo per la propria arte.

Falso Movimento XXI.2012/2013: NO di Pablo Larraìn

Riprendono col XXI film della stagione 2012/2013 gli appuntamenti del martedì di Falso Movimento con un’opera importante, NO di Pablo Larraìn, che dopo una calorosa accoglienza alla 65° edizione del Festival di Cannes, dove si è aggiudicato il premio della Quinzaine des Réalisateurs, e una candidatura agli Oscar 2013 come Miglior Film Straniero, è stato recentemente acquisito dalla Sony. In Italia i diritti per la distribuzione sono stati acquistati dalla Bolero Film. Falso Movimento proporrà invece la versione originale sottotitolata in italiano martedì 19 febbraio alle ore 20.30.

1988. Il dittatore cileno Augusto Pinochet è costretto a cedere alle pressioni internazionali e a sottoporre a referendum popolare il proprio incarico di Presidente (ottenuto grazie al colpo di stato contro il governo democraticamente eletto e guidato da Salvador Allende). I cileni debbono decidere se affidargli o meno altri 8 anni di potere. Per la prima volta da anni anche i partiti di opposizione hanno accesso quotidiano al mezzo televisivo in uno spazio della durata di 15 minuti. Pur nella convinzione di avere scarse probabilità di successo il fronte del NO si mobilita e affida la campagna a un giovane pubblicitario anticonformista: René Saavedra.
Pablo Larraìn, che il pubblico italiano conosce per i suoi precedenti Tony Manero e Post Mortem, affronta in modo diretto una delle svolte nodali della storia cilena recente. L’aggettivo è quanto mai appropriato perché la scelta radicale di utilizzare una telecamera dell’epoca offre al film una dimensione del tutto insolita. Il passaggio dal materiale di repertorio (dichiarazioni di Pinochet e cerimonie che lo vedono presente così come interventi dei rappresentanti dell’opposizione dell’epoca) alla ricostruzione cinematografica diviene così inavvertibile. Il pubblico in sala si trova nella situazione di chi sta compiendo una full immersion nel passato.
Tutto ciò all’interno di una ricostruzione che mostra, attraverso il personaggio di Saavedra, come la repressione fosse stata forte e come il regime fosse convinto che fosse sufficiente accusare qualsiasi avversario di ‘comunismo’ per poter vincere. Non manca però anche di sottolineare come tra i sostenitori del NO non fossero pochi quelli che non avevano compreso quanto fosse indispensabile impostare una campagna di comunicazione che andasse oltre la riproposizione delle pur gravissime colpe del dittatore per approdare a una proposta che parlasse di vita, di gioia, di speranza nel futuro e non di morte. E’ in questo ambito che il personaggio impersonato con grande understatement da Gael Garcia Bernal si trova a muoversi consapevole, inoltre, della difficoltà di contribuire alla riuscita di un fondamentale cambiamento del proprio Paese partendo dalle proprie basi di eccellente imbonitore. Pronto, una volta ottenuto l’esito sperato, a tornare a promuovere telenovelas.

 

Falso Movimento: CROCEVIA PER L’INFERNO di John McNaughton/a cura di F.F.Guzzi

Il nono appuntamento de ‘La Versione’, in programma domenica 17 febbraio alle ore 20.30, pone all’attenzione del pubblico di ‘Falso movimento’, una pellicola poco conosciuta, del regista John McNaughton(che più ricorderanno per la regia di “Henry, pioggia di sangue” in cui indagava, in modo davvero sorprendente e sconvolgente, il tema della violenza).
Con “Crocevia per l’inferno” (“Normal life” nel titolo originale), McNaugthon indaga invece la follia; quella vera e autentica, della instabile Pam, e quella indiretta e riflessa di Chris, poliziotto dai sani principi che affascinato dalla bellezza unica e travolgente di Pam, se ne innamora fino a sposarla.
Il film si sviluppa in due tronconi, in due fasi ben distinte e separate. Nella prima (breve, di trenta minuti), viene descritto l’incontro dei due, l’innamoramento (di Chris), il progetto di vita, il matrimonio. Nella seconda c’è la virata verso il tema che interessa al regista, ovvero la discesa negli inferi della follia, la quale tutto trascina e travolge dietro di sé, secondo uno schema/archetipo in cui il ‘più forte’ è sempre il folle. L’instabilità di Pam, infatti – a cui si associano la dipendenza dall’alcol e dalla droga – farà vacillare tutte le certezze del marito Chris, il quale, pur di tenere stretta a sé l’amata, rimetterà in discussione i suoi principi, precipitando in un’odissea di amore/disperazione, rapine, omicidi, in una parola: l’inferno.
La tematica non è nuova. Penso a Natural born killer (di Oliver Stone), a Una vita al massimo (di Tony Scott), ma soprattutto al capolavoro di Terrence Malick, La rabbia giovane; tutte pellicole in cui viene trattata la follia omicida vissuta in coppia. Crocevia per l’inferno, rispetto ai titoli citati, è però più asciutto ed essenziale; non c’è la spettacolarizzazione della violenza e della follia, non c’è un sovraccarico narrativo; e sta proprio in queste (mancate) componenti, la sua intrinseca forza. Senza fronzoli e capriole stilistiche, McNaughton consegna allo spettatore un quadro crudo, spietato, desolante e terribilmente vero, di una giovane e bella coppia, all’interno della quale l’elemento instabile e analogico spariglia le carte (la nevrosi scaccia la virtù), facendo tabula rasa dell’amore, della gioia, delle emozioni vere a cui aspira l’altro, il cui amore profondo – quando non riesce ad accettare la perdita o l’impossibilità di avere la persona amata – diventa un’avventura nella pervicace follia (anche Orfeo, il genio che commuoveva la natura con la bellezza del suo canto cercò di salvare Euridice dall’inferno, ma fallì per una debolezza finale; e la sua vita di predestinato all’ammirazione di tutti, proseguì verso una nuova caduta agli inferi: dopo la morte di Euridice prese ad odiare le donne ed il matrimonio e venne ucciso da donne Tracie che vollero punirlo per l’offesa).
Il film proposto prosegue nel percorso de ‘La Versione’ che dà spazio alla provincia americana (v. Lupo solitario) – Normal life è appunto un magnifico esempio di spaccato della provincia americana – alla follia (Drive, The Hurt Locker, Two lovers, e ancora, Lupo Solitario), alla alienazione (v. The Brown Bunny, Shame) e, più in generale, ad un approccio stilistico sempre essenziale, crudo, radicale e inesorabilmente (e, forse) fin troppo vero.
Crocevia per l’Inferno sembra un film minore, sconosciuto e poco acclamato, eppure è di una infinita potenza nel descrivere la lotta tra uomo e donna, bene e male, apollineo e dionisiaco, sogni di una vita migliore, fallimento e caduta in un mondo che è senza redenzione nè vincitori.

Federico Francesco Guzzi