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Problemi alle vertebre lombari: traumi, fratture e rimedi

ALTOMONTE (CS) – Le fratture delle vertebre lombari si verificano a causa di traumi gravi, di un indebolimento patologico dell’osso o di entrambi. L’osteoporosi è la causa di molte fratture lombari, colpisce soprattutto le donne in menopausa. Le fratture spinali osteoporotiche possono verificarsi senza traumi apparenti. Una diagnosi accurata è necessaria per escludere un tumore spinale. Le 5 vertebre 1vertebre lombari sono le più grandi e forti della colonna vertebrale. Queste ossa costituiscono la parte inferiore della schiena. Le vertebre lombari partono all’altezza dell’ultima costa (o costola) e si estendono fino all’osso sacro. I muscoli stabilizzatori più forti della spina dorsale si inseriscono in questo tratto. La frattura amielica non provoca un danno neurologico a differenza della frattura mielica che causa una lesione nervosa e un deficit neurologico.

La maggior parte delle fratture della colonna vertebrale lombare, che richiedono un trattamento chirurgico, si verificano a livello t12 (o d12), l1 oppure l2. Queste lesioni sono principalmente di origine traumatica, mentre la maggior parte delle fratture lombari non traumatiche sono di origine osteoporotica. Le fratture del polso e quelle vertebrali interessano generalmente le donne con osteoporosi di tipo 1 (età compresa tra 51 e 65 anni). La carenza di estrogeni è il fattore di rischio principale della bassa densità di calcio nelle ossa. L’osteoporosi di tipo 2 (tipo senile) si verifica dopo i 75 anni, con una frequenza doppia nelle donne rispetto agli uomini.

Molte tipologie di fratture lombari, che colpiscono i giovani e gli uomini di mezza età, sono di origine traumatica. Le cadute che causano un forte impatto possono provocare la rottura dell’osso, mentre le cinture di sicurezza delle automobili possono causare fratture a cuneo in caso di colpo di frusta. Esistono due tipi di classificazione delle fratture: quella vertebrale stabile e quella vertebrale vertebre 2instabile. La stabile non causa una deformità spinale o problemi neurologici. La colonna vertebrale può ancora trasportare e distribuire il peso abbastanza bene. Il corpo della vertebra può essere deformato, la parte posteriore rimane intatta. La frattura instabile provoca difficoltà per la colonna vertebrale nel trasporto e nella distribuzione del peso: non curata può peggiorare e causare ulteriori danni. Il corpo della vertebra si lesiona insieme alla colonna posteriore che si può deformare in compressione, rotazione o flessione laterale. Generalmente si forma una cifosi post-traumatica e si verificano dei sintomi neurologici progressivi. Una frattura lombare può derivare da un incidente stradale in estensione, come un’improvvisa frenata, in cui forza della cintura di sicurezza allontana le vertebre.

 

Fratture da compressione, da scoppio e da rotazione

Fratture da compressione: la parte anteriore (corpo) della vertebra si rompe e l’altezza si riduce, ma la parte posteriore non si deforma. Solitamente questo tipo di frattura è stabile e raramente provoca disturbi neurologici. Le fratture da compressione sono causate generalmente da una forza che viene dall’alto e provoca lo schiacciamento delle vertebre nella parte anteriore.

Frattura da scoppio: la vertebra perde altezza sia nella parte anteriore sia in quella posteriore. Di solito è causata da caduta in piedi dall’alto. Le fratture a volte possono causare retro-pulsioni della vertebra nel canale vertebrale.

Frattura da rotazione: le fratture del processo trasverso, oltre che rare, sono la conseguenza di una flessione laterale estrema: di solito non alterano la stabilità della colonna. La frattura con lussazione è una frattura in cui l’osso e il tessuto molle collegato si allontanano dalla vertebra adiacente. Questo tipo di frattura è instabile e può causare una grave compressione del midollo spinale.

 

Sintomi della frattura delle vertebre lombari

La localizzazione del dolore corrisponde al punto in cui è avvenuta la frattura, come si vede dalle radiografie. I pazienti anziani con grave osteoporosi potrebbero non aver dolore dato che la frattura si verifica spontaneamente. Gli adulti e i giovani possono sentire un forte mal di schiena, dopo un trauma come una caduta o un incidente automobilistico. La debolezza o l’intorpidimento delle estremità inferiori sono importanti sintomi di lesioni neurologiche che possono verificarsi nelle vertebre 3fratture mieliche. Le rotture vertebrali possono anche causare dei dolori riferiti. Il trattamento della frattura con vertebro-plastica ha dato sollievo all’83% di questi pazienti. L’osteoporosi è una malattia che progredisce in silenzio. Le fratture osteoporotiche da compressione sono spesso diagnosticate quando un paziente anziano si presenta con sintomi quali scoliosi progressiva o dolore lombare meccanico e il medico effettua la radiografia lombare.

 

Esami diagnostici

La radiografia è l’esame standard necessario per la valutazione delle fratture della colonna vertebrale in proiezione antero-posteriore e laterale della colonna lombare. In caso di frattura somatica, la vista laterale mostra eventuali diminuzioni nell’altezza del corpo vertebrale. La vertebra cambia forma perché è schiacciata dal peso del corpo, può diventare a cuneo (con la parte anteriore più bassa) oppure biconcava (con la parte centrale corta). La tac mostra un eventuale restringimento nel canale spinale. Questo strumento è utile per escludere una frattura da scoppio. La risonanza magnetica è necessaria quando si sospetta una frattura con la compressione della radice del nervo e il paziente lamenta una sciatalgia. Questo tipo di immagine è più sensibile nel rilevare le emorragie, i tumori e le infezioni. La mineralometria ossea computerizzata (moc) attualmente è il metodo più usato per osservare la densità ossea di un individuo.

I test ortopedici di valutazione per le fratture della quarta e quinta vertebra lombare ( l4 e l5 ) dovrebbero essere: un esame clinico lombare con la palpazione delle vertebre, un esame neurologico delle estremità inferiori oppure un test di stiramento del nervo sciatico (test di lasegue) eseguito sollevando la gamba dritta da supino. Il fisioterapista dovrebbe osservare la zona lombare per individuare calore ed eventuali arrossamenti, oltre che testare le vertebre lombari, così da notare vertebre 4eventuali deformità. In caso di frattura, durante il movimento, il paziente lamenta forte dolore nel punto in cui l’osso è rotto. Il trattamento chirurgico della frattura della vertebra l1 o l2 si effettua quando sono presenti disturbi neurologici, così da riparare la lesione. Ci sono diverse procedure in base al grado di compressione, al livello spinale in cui è avvenuta la frattura e allo stato di salute del paziente. Se il soggetto con frattura lombare è giovane, il chirurgo può inserire placche, viti e altre strutture meccaniche per fondere le vertebre rotte.

 

Rimedi chirurgici

Vertebroplastica: è un trattamento efficace nella gestione delle fratture vertebrali di compressione che consiste nell’incisione chirurgica della schiena e nell’iniezione di una sostanza simile al cemento osseo nel corpo vertebrale fratturato.

Cifoplastica: è una procedura mini-invasiva in cui si esegue solo un piccolo foro invece di un’incisione con il bisturi. L’operazione allevia il dolore della frattura vertebrale inserendo del cemento osseo all’interno della vertebra, in modo da solidificare e stabilizzare la parte lesionata. Gli studi scientifici mostrano che la cifoplastica ha circa gli stessi risultati della vertebroplastica, ma presenta un maggior recupero dell’altezza vertebrale.

 

Terapia non chirurgica

La cura per i pazienti che non necessitano di un intervento chirurgico serve per alleviare il dolore e si basa sul rinforzo e sulla riabilitazione. Le fratture con compressione e quelle che interessano la parte anteriore e centrale delle vertebre sono le più adatte a questo tipo di trattamento. Il tutore usato per questo tipo di lesione è il busto in estensione che comprende il dorso e la parte lombare della schiena. Durante le sedute di fisioterapia, i pazienti devono aumentare la propria mobilità senza avvertire vertebra 5dolore. Con questo tutore possono muoversi ed eseguire esercizi di riabilitazione. Le opzioni non chirurgiche stanno diventando il metodo di trattamento preferito in caso di frattura lombare perché spesso il rinforzo e le terapie sono più efficaci dell’operazione. Gli obiettivi della riabilitazione sono: ridurre il dolore, recuperare la mobilità e migliorare la forza e l’equilibrio. Esistono problematiche che potrebbero complicare il raggiungimento degli obiettivi: mancata riduzione della frattura, lesioni neurologiche (paralisi) e deformità della colonna vertebrale.

 

Tempi di recupero post-frattura vertebrale e prognosi

I tempi di guarigione dipendono dal tipo di danno: una lesione neurologica può non guarire, mentre l’osso, generalmente recupera in modo graduale in circa 3 mesi. La magnetoterapia riduce i tempi di formazione del callo osseo fino al 50%.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

 

 

 

 

 

 

 

La Sindrome del Canale di Guyon

ALTOMONTE (CS) – A livello del polso e del palmo della mano, il nervo ulnare è situato internamente e superficialmente al tunnel carpale dove scorre il nervo mediano. Separato da quest’ultimo per mezzo di una parete fibrosa, decorre in una “loggia” denominata canale di guyon, all’ingresso e all’uscita della quale si trova impegnato in due anelli osteofibrosi, costituiti da legamenti e inserzioni muscolari tesi fra l’osso pisiforme e l’osso “uncinato”. Poiché il nevo ulnare, prima di uscire dal canale di guyon, si divide nei suoi rami terminali, uno motore profondo e l’altro sensitivo superficiale (che abbandona il tronco comune senza quindi impegnarsi nel secondo anello fibroso), il livello della compressione determina una sintomatologia molto differente. Il quadro clinico potrà essere quindi caratterizzato da deficit globale guyon 1sensitivo e motorio, o da deficit muscolare puro. I disturbi sensitivi sono costituiti da parestesie e diminuzione di sensibilità sull’anulare e sul mignolo, quelli motori da perdita di forza e di agilità nei movimenti fini delle dita, atrofia della muscolatura, e degli interossei con atteggiamento a griffe delle ultime due dita e difficoltà ad allargare e avvicinare le dita estese. Il trattamento è chirurgico e va eseguito precocemente prima dell’instaurarsi di lesioni irreversibili e consiste nella sezione delle arcate legamentose fibrose che determinano la compressione del nervo. Il post-operatorio non richiede cure particolari ma è preferibile il mantenimento di una immobilizzazione con doccia gessata del polso per 10 giorni, mentre il recupero della sensibilità e della forza può richiedere qualche mese.

 

Ecografia muscolotendinea
La tecnica ecografica si è da tempo diffusa ed affermata per l’esplorazione delle parti molli, dei tendini, dei muscoli, dei vasi e dei nervi. Ciò è stato possibile grazie allo studio, all’evoluzione ed alla commercializzazione di sonde ad alta frequenza e di apparecchiature digitalizzate che permettono di cogliere particolari anatomici di ridottissime dimensioni. Per lo studio dei muscoli, dei tendini, dei nervi e dei vasi ci si serve di sonde con frequenza compresa tra i 7,5mhz ed i 18mhz. L’uso di tali alte frequenze trova una spiegazione nel fatto che maggiore è la frequenza degli ultrasuoni e migliore sarà la definizione guyon 2delle strutture da indagare. Le apparecchiature ecografiche connesse alle sonde devono essere digitalizzate per ottenere il maggior numero di informazioni possibili. L’indagine attualmente è completata anche dalla tecnica color doppler che consente l’esame della vascolarizzazione dell’area di interesse. Il color doppler è da considerarsi la “quarta dimensione” dell’esame ecografico tradizionale perché aggiunge a quest’ultimo il dato emodinamico. Per le indagini “ecocolorpowerdoppler” è indispensabile un’attrezzatura di altissime prestazioni in grado di rappresentare flussi relativamente bassi e vasi sottili. L’indagine ecografica è indolore, poco costosa, facilmente ripetibile, di veloce esecuzione. La tecnica è ben diffusa sul territorio ed è ormai entrata a far parte della moderna semeiotica medica e medico sportivo in generale. Anche il canale di guyon rientra tra le strutture evidenziabile ecograficamente, in maniera piuttosto agevole.

 

Sintomatologia

Data la particolarità anatomica del canale di guyon qualunque neoformazione e/o espansione dei vasi che vi decorrono può comprimere il nervo ulnare e dare origine alla sindrome del canale di guyon. La sindrome del canale di guyon è una condizione che si manifesta meno frequentemente rispetto alle altre patologie da intrappolamento, come ad esempio la ben più nota sindrome del tunnel carpale. Le compressioni del nervo mediano del polso al tunnel carpale sono più numerose nei confronti delle compressioni sul nervo cubitale. I sintomi sono essenzialmente rappresentati da una sensazione di formicolio e da una riduzione della sensibilità dell’anulare e del mignolo. La sintomatologia iniziale è caratterizzata da parestesie e disestesie nel territorio autonomo del nervo ulnare in assenza di vero e proprio dolore: questo corrisponde alla fase irritativa. Nella successiva fase compressiva si manifesta deficit piuttosto accentuato dei muscoli intrinseci della mano innervati dal nervo ulnare. La mano assume in breve tempo il tipico atteggiamento benedicente.

 

Riabilitazione nella sindrome del canale di guyon

In molti casi è possibile risolvere con efficacia e in breve tempo il problema sottoponendosi a una riabilitazione altamente qualificata condotta da tecnici esperti. Il fisioterapista procede, innanzitutto, alla valutazione dei disturbi del paziente, alla visita e alla raccolta dei dati per una corretta anamnesi, oltre ad alcuni esami come l’elettromiografia e l’ecografia: quest’ultima è necessaria per escludere la presenza di cisti. Il trattamento conservativo si avvale di fisioterapia specifica spesso accompagnata da terapia farmacologica con antinfiammatori e vitamina b e, a seconda dei casi, anche dell’aiuto di bende gessate guyon 3per mantenere l’arto a riposo. Le moderne tecniche fisioterapiche apportano un importante giovamento attraverso l’elettroanalgesia che il fisioterapista può effettuare dopo aver valutato i problemi neuro-muscolo-scheletrici e l’anamnesi del paziente. Per quanto riguarda gli interventi antinfiammatori il fisioterapista può sottoporre il paziente a sedute con apparecchiature elettromedicali ad alta frequenza, interventi non invasivi che eliminano l’infiammazione e migliorano la mobilità articolare. Dove prescritto, gli interventi riabilitativi possono essere eseguiti anche mediante applicazioni laser o ultrasuoni. Esercizi terapeutici e mobilizzazione passiva sono solo alcune tecniche che vengono applicate durante le sedute si fisioterapia per il recupero nella compressione del nervo ulnare a cui, a seconda dei casi, si integrano altre metodologie di intervento.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

La riabilitazione nelle distorsioni della caviglia

ALTOMONTE (CS) –  In ambito ortopedico – traumatologico le principali problematiche a livello del complesso articolare della caviglia o articolare tibio – tarsica sono le distorsioni (oltre alle fratture soprattutto di tibia). La distorsione di caviglia, detta comunemente “storta“, non è un’alterazione permanente. Tuttavia, essendo il più frequente trauma muscolo – scheletrico dell’arto inferiore, è quello che maggiormente può creare problemi soprattutto se non viene effettuata una buona riabilitazione.distorsione 1

È tipica dei giovani, in particolare degli sportivi. Gli sport maggiormente a rischio sono il basket, il calcio e la pallavolo. La maggior parte dei pazienti recupera completamente ma in circa un 30% dei casi compaiono dolore e instabilità cronica. La dinamica classica nelle distorsioni della caviglia è una ricaduta sbilanciata e accidentale dopo un salto o a seguito di un movimento o un contatto brusco. Il più frequente meccanismo di infortunio è in inversione (rotazione interna della pianta del piede) e a volte i due meccanismi possono coesistere. In alcuni casi è una fragilità derivante da precedenti episodi mal curati o dovuta a uno scarso tono muscolare o ad una lassità legamentosa.

Le distorsioni sono classificate a secondo della gravità in una scala che va da 0 a 3, dalla meno grave alla più seria. Il grado 0 è costituito da una distorsione ove il dolore della caviglia scompare o si attenua nel giro di una decina di minuti circa, e non ne compromette il movimento. Solitamente, le distorsioni di grado zero non danno luogo a gonfiore. Nelle distorsioni di grado 1, o leggere, c’è una compromissione dei legamenti che vengono stirati ma non compaiano rotture. È presente un modesto gonfiore solitamente non immediato ma che compare dopo qualche ora del trauma, dolore che non impedisce di camminare ma allo stesso tempo non permette, se non con sofferenza, di riprendere l’attività interrotta. Il danno funzionale è quasi assente quindi non è compromesso il movimento e non è presente instabilità articolare. Nelle distorsioni di grado 2, o moderata, c’è una parziale rottura dei legamenti, il gonfiore compare pochi minuti dopo l’evento traumatico e si possono vedere anche delle chiazze rosse sotto pelle. Esse indicano che alcuni vasi sanguigni si sono rotti. In tale situazione è impossibile riprendere l’attività distorsione 2fisica e il dolore, anziché passare con il tempo, tende ad aumentare o a rimanere costante per diverse ore. Si riscontra una certa perdita della funzione articolare e quindi del movimento e una lieve instabilità. Nelle distorsioni di grado 3, o gravi, vi è una rottura completa dei legamenti con gonfiore che inizia subito dopo il trauma, oltre ad un versamento interno di sangue. Il paziente avverte un dolore intenso, non riesce a muovere la caviglia e non può sopportare nemmeno che qualcuno cerchi di farlo. Si riscontra un’instabilità meccanica e l’incapacità di sostenere il peso sull’arto. Nelle distorsioni di terzo grado, il danno può essere rappresentato oltre che da una rottura dei legamenti anche da una frattura ossea.

Qualora si trattasse di una frattura, va esaminata e, se necessario, si dovrà intervenire chirurgicamente oppure fare una ingessatura che il paziente dovrà portare per 40 giorni, alla quale seguirà un ciclo di fisioterapia mirata a riprendere la corretta mobilità del piede, fino a giungere in 60 giorni alla guarigione completa. Nelle distorsioni della caviglia è molto importante il primo intervento, quello che si fa in campo, subito dopo l’intervento traumatico. È bene quindi sapere cosa fare, nel caso non ci fosse un esperto. Per prima cosa quindi bisogna applicare il ghiaccio e mettere la gamba in alto (elevarla). Dopo aver tolto delicatamente la scarpa e la calza, bisogna fasciare la caviglia con un bendaggio compresso e non caricare con il peso. Nel caso la lesione sia di grado 3, come detto prima, potrà essere necessario un distorsione 3trattamento chirurgico, al quale seguirà un percorso riabilitativo post – chirurgico. Non tutti concordano sulla necessità di un intervento, alcuni ortopedici e fisiatri consigliano, anche in caso di rottura dei legamenti, un trattamento conservativo: ritengono che un adeguato programma fisioterapico sia sufficiente a ridare stabilità alla caviglia .

Nella prima fase del trattamento è consigliabile immobilizzare la caviglia, un’immobilizzazione parziale senza tutori o apparecchi gessati, a meno che non ci sia una frattura. È più conveniente immobilizzare parzialmente la caviglia, ed utilizzare una stampella per camminare (se si vuole mantenere un carico parziale sulla caviglia lesa) o due in caso in cui è prescritta l’assenza totale di carico sulla caviglia lesa) per poi cominciare precocemente la riabilitazione.

È stato dimostrato infatti che il movimento velocizza la guarigione, mentre l’immobilizzazione la rallenta o addirittura la blocca. Applicazione del ghiaccio per 20 minuti ogni 2-3 ore, non tenendolo a contatto con la pelle perché provocherebbe ustioni. Bisogna mettere 3-4 cubetti in una borsa del ghiaccio adatta per il contatto con la pelle. Dopo questa fase, l’applicazione di ghiaccio andrà interrotta: prolungarla infatti rallenterebbe il processo di guarigione dei tessuti. La caviglia dovrà essere avvolta in un bendaggio compressivo, mantenere l’arto in posizione elevata per favorire il ritorno venoso e per la riduzione dell’edema (gonfiore). Nella seconda fase, o sub – acuta, se non sono comparse complicazioni si potrà cominciare con la rieducazione funzionale. La riabilitazione è un percorso progressivo dove il lavoro, la fatica e la difficoltà degli esercizi andrà gradualmente aumentando nel tempo. Questa fase sarà incentrata sul controllo del dolore e recupero del rom articolare (range of movement), quindi dell’ampiezza del movimento per il recupero della forza muscolare e della stabilità. Per il dolore si utilizzeranno terapie fisiche (tecar, tens, elettrostimolazione, ultrasuoni), terapie manuali, in particolare massaggi drenanti per la riduzione del gonfiore e massaggi trasversali (con cautela).

 

Per una graduale ripresa della mobilità articolare:

mobilizzazione passiva manuale, da effettuare sul lettino con il paziente sdraiato supino, in assenza di carico. Il fisioterapista farà flettere e stendere la caviglia del paziente ovviamente nel rispetto più assoluto del dolore, per riuscire a guadagnare la piena escursione articolare della flessione ed estensione plantare.

mobilizzazione attiva – assistita. In parte il paziente, sdraiato supino, muoverà attivamente la caviglia. In caso di difficoltà il terapista lo aiuterà nel completare il movimento. Inoltre si faranno esercizi dove si chiederà la flesso – estensione autonoma del ginocchio per poi portare dietro la caviglia, sotto la quale si potrà posizionare una piccola palla.

mobilizzazioni attive e contro resistenza. Il paziente fletterà ed estenderà la caviglia autonomamente sempre sul lettino. Gli si chiederà di fare circonduzioni, o disegnare con il piede figure geometriche o le lettere dell’alfabeto. Infine effettuerà anche movimenti contro resistenza, da sdraiato o da seduto, lavorando in questo modo anche sul recupero della forza muscolare.

Si lavorerà anche per il risveglio e il rinforzo muscolare, che deve essere selettivo, mirato ad alcune catene muscolari, accompagnato da esercizi di allungamento e rilasciamento in modo da ristabilire l’equilibrio muscolare fondamentale per restituire almeno la parte dinamica della stabilità.

Per il rinforzo muscolare si faranno: esercizi in carico, sollevare le punte e i talloni, mettere un piede su un gradino, esercizi con le bande elastiche aumentando gradualmente la resistenza dell’elastico, rinforzo del tibiale anteriore e dei peronieri, esercizio con l’aiuto di una palla di spugna messa sotto il piede ed esercizi sulla deambulazione, cioè sul passo, per reintegrare il piede nella funzione dell’arto inferiore. Lo si farà camminare in avanti, all’indietro e lateralmente. Seguiranno altri esercizi in flessione plantare distorsione 4prima a ginocchio esteso poi a ginocchio flesso (piegato). Nella terza fase la caviglia sarà completamente asciutta ed il tono muscolare buono. Ciò lo si potrà comprendere perché: il paziente potrà camminare veloce alternando una corsa leggera, corsa sul nastro trasportatore (tapis roulant) e corsa in strada. Si dovrà far abituare nuovamente il paziente, facendogli percorrere dei percorsi con ostacoli, per prendere di nuovo coscienza dell’instabilità del terreno che non sarà mai omogeneo. Negli atleti è importante anche rieducare il gesto atletico, affinché venga eseguito nel modo migliore e limitare eventuali recidive. In tutte queste fasi inoltre si effettueranno esercizi per la rieducazione propriocettiva, che nella riabilitazione della caviglia ha un ruolo importantissimo: bisognerà riacquistare la capacità propriocettiva, vale a dire rieducare il piede al perfetto controllo posturale e al movimento.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

Capire e curare l’artrosi del ginocchio

 

ALTOMONTE (CS) – L’artrosi del ginocchio, definita anche gonartrosi, è un processo di usura dell’articolazione che coinvolge primariamente le cartilagini che rivestono i capi ossei. Queste si assottigliano sempre di più fino a scomparire, lasciando le ossa prive del loro rivestimento protettivo. In queste condizioni il tessuto osseo si addensa e forma degli speroni appuntiti, noti come ostiofiti, che sono tra gli elementi caratteristici della malattia. Tale processo avviene lentamente nel tempo ed è favorito dal carico eccessivo sull’articolazione. Esistono fattori predisponenti quali: l’età, l’obesità, attività lavorative o sportive usuranti, traumi, alterazioni del normale allineamento tra femore e tibia, articolazione instabile per problematiche legamentose e le malattie infiammatorie del ginocchio.

Quali sono i disturbi di un ginocchio artrosico ?

Un paziente affetto da gonartrosi lamenta come disturbo principale il dolore. Inizialmente esso si presenta solo con il movimento e con le attività in carico come la stazione eretta o la deambulazione prolungata e si attenua con il riposo. Con l’aggravarsi della malattia, compare anche a riposo e di notte e spesso compromette la capacità di deambulare correttamente, portando alla zoppia. Spesso al dolore si associa la perdita del completo movimento dell’articolazione associato ad una rigidità articolare, cioè la difficoltà nel muovere l’articolazione dopo un periodo di riposo, che si manifesta soprattutto al mattino. Quando l’articolazione viene sovraccaricata, ad esempio dopo una lunga camminata, può artrosiinfiammarsi e sviluppare del liquido che si accumula al suo interno. Le fasi avanzate del processo artrosico sono caratterizzate da modificazioni anatomiche dell’arto inferiore: il femore e la tibia perdono il loro normale allineamento e si incurvano spesso verso l’esterno (varismo). Dal punto di vista del trattamento è bene precisare che l’artrosi determina delle alterazioni anatomiche che attualmente è impossibile far regredire, pertanto qualsiasi intervento terapeutico sarà orientato al contenimento dei sintomi e al rallentamento della progressione della malattia, ma non porterà alla ricostituzione anatomica dell’articolazione. Il trattamento conservativo, riservato alle forme lievi – moderate, consiste nell’utilizzare in maniera integrata diversi presidi: misure comportamentali, terapia farmacologica e trattamento rieducativo e fisioterapico. Per le forme lievi – moderate è fondamentale la fisioterapia

 

Il primo intervento da effettuare è la presa di coscienza, da parte del paziente, della propria condizione e della malattia: deve conoscere le cause del disturbo e le misure che può mettere in atto per prevenire il peggioramento. La perdita di peso, ad esempio, è essenziale per ridurre il carico sull’articolazione . Allo stesso modo l’utilizzo di un bastone e di calzature morbide consente di scaricare il ginocchio sofferente durante le attività in carico come la deambulazione. Il trattamento fisioterapico è di fondamentale importanza ed è il fulcro del trattamento conservativo dell’artrosi lieve e moderata. Nelle fasi iniziali è estremamente importante la rieducazione in acqua (idrochinesiterapia) dove è possibile far lavorare l’articolazione in assenza di carico o con un carico estremamente ridotto allo scopo di recuperare il movimento articolare e far sgonfiare il ginocchio. Sugli stessi obiettivi si lavora anche in palestra attraverso le terapie fisiche (correnti antalgiche, ultrasuoni, laserterapia, tecarterapia), le mobilizzazioni, i massaggi e gli esercizi per il miglioramento della deambulazione. Quando il dolore e l’infiammazione dell’articolazione risultano particolarmente difficili da trattare è possibile ricorrere ai farmaci. Gli antinfiammatori veri (fans o cortisone) possono essere di aiuto per superare la fase acuta, ma non è prudente protrarre per lunghi periodi il loro artrosi 2utilizzo a causa degli effetti collaterali che comporta.

Una volta controllati il dolore e l’infiammazione, l’obiettivo delle fasi successive sarà il rinforzo della muscolatura dell’arto inferiore. Generalmente i muscoli di chi soffre di gonartrosi sono deboli ed ipotonici. Questo non fa altro che aumentare il carico sull’articolazione innescando un circolo vizioso. È come una macchina con gli ammortizzatori scarichi: tutto il carico dovuto alle irregolarità del terreno viene trasmesso direttamente al telaio dell’auto, danneggiandolo. Il rinforzo adeguato dei muscoli fornisce al ginocchio degli ammortizzatori naturali che consentono di ridurre il carico sull’articolazione e di conseguenza di migliorarne la funzionalità e ridurre il dolore. In alcuni casi l’artrosi colpisce solo una parte dell’articolazione; è possibile impostare un programma di rinforzo e di allungamento muscolare che è in grado di ridurre il carico sulla posizione dell’articolazione maggiormente sofferente, distribuendolo in maniera più omogenea su tutta la superficie articolare. Tale tipo di trattamento ha la durata, in media, di 6 settimane, con una frequenza di 3 sedute di fisioterapia settimanali, garantendo ottimi risultati in termini di riduzione del dolore e miglioramento dell’autonomia funzionale. Affrontando il problema per tempo si può evitare l’intervento chirurgico.

È possibile associare al trattamento fisioterapico il trattamento infiltrativo con l’acido ialuronico: una sostanza simile ad un gel che ha la funzione di proteggere le superfici articolari e ammortizzare gli impatti sul ginocchio, rallentando il decorso dell’artrosi. Il suo effetto, però ha una durata limitata nel tempo e il trattamento va ripetuto generalmente ogni 6-8 mesi. Nei casi di gonartrosi severa e resistente al trattamento conservativo, il trattamento protesico rimane la soluzione più valida. artrosi 3L’articolazione irreversibilmente danneggiata viene sostituita da un’articolazione meccanica. Anche in questo caso è estremamente importante sottoporsi ad un ciclo di fisioterapia sia prima (pre-operatoria) che dopo l’intervento. Diversi studi hanno dimostrato come il trattamento rieducativo garantisca un miglioramento della sintomatologia dolorosa già nel periodo pre-operatorio e un notevole incremento delle capacità funzionali del ginocchio nel post-operatorio. L’artrosi può essere una malattia estremamente invalidante in grado di compromettere la qualità di vita. Spesso chi ne soffre ha un atteggiamento di resa e di rassegnazione alla sofferenza. Affrontarla nel modo giusto al primo apparire dei sintomi consente, invece, di rallentarne il decorso, contenere in maniera significativa la sintomatologia ed evitare l’intervento chirurgico.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

Pubalgia: si cura con le onde d’urto

ALTOMONTE (CS) – Sono pochi gli sportivi che non corrono il rischio di incorrere nella pubalgia, quel fastidioso dolore al pube che non permette di svolgere serenamente la propria attività. Rugbisti, podisti, calciatori, sciatori, cestisti (ma anche ballerini) sono infatti spesso vittime di forti dolori alla zona pubica, causati da traumi che portano dei blocchi a livello vertebrale o delle articolazioni sacro iliache, che si verificano ad esempio quando un atleta ricade da un salto su una gamba tesa, non ammortizzando come si dovrebbe l’impatto con il suolo.

Ma la pubalgia non è causata solamente da traumi. Spesso sono sufficienti terreni scivolosi oppure l’alternanza tra terreni duri e terreni pesanti, che determinano un sovraccarico dei muscoli adduttori (muscoli dell’anca adibiti all’adduzione delle cosce tramite contrazione muscolare) e pubalgiapossono causare delle tendinopatie inserzionali (infiammazioni della giunzione tra tendine e osso) o delle microlesioni o contratture a livello degli stessi muscoli adduttori.

Nessun timore, le onde d’urto abbinate ad una buona attività riabilitativa offrono la soluzione a questo e a molti altri problemi. È una terapia non invasiva, efficace per il trattamento anche di alcune comuni lesioni e patologie a tendini e ossa, come ad esempio, le forme di tendinite, gli stiramenti e le contratture muscolari o i problemi di consolidamento osseo.

Ne parliamo con il Dott. Fisioterapista Mario Turano.

 

Che cosa sono le onde d’urto e perché possono aiutare a curare la pubalgia ?

Le onde d’urto sono onde di pressione (acustiche, di natura meccanica) prodotte da appositi generatori, in grado di propagarsi nei tessuti, in sequenze rapide e ripetute. A livello microscopico, la stimolazione con le onde d’urto è paragonabile ad una sorta di “micro massaggio” profondo su tessuti e cellule, che induce queste ultime a produrre sostanze ad azione antinfiammatoria, alla microframmentazione delle calcificazioni e alla neuroangiogenesi (stimolazione alla ristrutturazione del microcircolo).

 

Quali sono i benefici delle onde d’urto ?

Il trattamento con onde d’urto ha proprietà antidolorifiche, antinfiammatorie, anti-gonfiore e stimola la riparazione dei tessuti (es. rigenerazione cutanea). Per questo motivo è efficace anche nella guarigione di ulcera, ferite e piaghe.

 

Le onde d’urto sono dolorose ?

Generalmente le onde d’urto sono ben tollerante e non sono invasive. In ogni caso, se il paziente dovesse avvertire del fastidio, l’intensità dell’energia verrà dosata affinché il trattamento sia meglio tollerato pur restando comunque efficace.

 

Come si svolge e quanto dura una seduta di onde d’urto ?

Il paziente viene fatto accomodare in posizione supina o seduta, sotto costante e diretto controllo dello specialista. L’applicazione di onde d’urto dura dai 3 ai 10 minuti, in funzione della zona da trattare. Per accedere al trattamento con onde d’urto è necessario sottoporsi ad una visita specialistica fisiatrica e ortopedica preventiva per accertare la patologia, programmare un corretto protocollo terapeutico e verificare che non vi siano controindicazioni.

 

Per quali altre patologie sono consigliate le onde d’urto ?

Il trattamento con onde d’urto è particolarmente efficace nelle patologie dell’apparato muscolo scheletrico, principalmente quelle che riguardano tendini e ossa. In particolare si rilevano efficaci nel caso di: infiammazione dei tessuti che circondano un’articolazione (periartriti), epicondiliti ed epitrocleiti (gomito del tennista), tendiniti del ginocchio e del tendine d’Achille, fascite plantare (talloniti o speroni calcaneari), stiramenti e contratture muscolari, ritardi di consolidazione ossea (in esiti di fratture) ed in tantissime altre situazioni.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

 

La rottura del tendine d’Achille: diagnosi e riabilitazione

ALTOMONTE (CS) – La lesione del tendine d’Achille è un infortunio che interessa la parte posteriore della gamba sotto al polpaccio e si verifica più frequentemente negli sportivi. Esso è un forte cordone fibroso che collega i muscoli del polpaccio con il tallone. Se si stira troppo il tendine d’Achille, questo si può strappare. Il tendine può rompersi completamente o solo parzialmente. In caso di rottura si può sentire un rumore di strappo o una frustata, seguito da un immediato forte dolore nella parte posteriore della caviglia e della gamba che di solito riduce la capacità di camminare correttamente. Generalmente, la miglior opzione di trattamento per riparare la rottura del tendine d’Achille è l’intervento chirurgico. Tuttavia, per molte persone il trattamento non chirurgico funziona altrettanto bene.

Quali sono le cause della lesione di questo tendine? Questo infortunio può essere causato da: uso eccessivo, aumento del livello di attività fisica in maniera troppo rapida, non aver fatto abbastanza stretching prima di un allenamento o di una gara, indossare regolarmente i tacchi (quando si tolgono aumenta lo stress sul tendine). I problemi ai piedi, con il conseguente infortunio al tendine d’achille, riabilitazionepossono derivare dai piedi piatti, oppure dall’iperpronazione. Altre cause possono essere: una lesione degenerativa in seguito ad una tendinite del tendine d’achille non trattata oppure la sua rottura a causa dell’uso di farmaci, specialmente alcuni antibiotici che provocano la levofloxacina.

Le lesioni del tendine sono frequenti nelle persone che praticano gli sport come il podismo, la ginnastica, danza, calcio, basket, tennis e la pallavolo.

È più facile rompere il tendine d’Achille se si inizia l’attività con un movimento improvviso, per esempio un velocista, il quale potrebbe avere una lesione all’inizio di una gara. La brusca contrazione del muscolo può essere troppo stressante per il tendine. Gli uomini oltre i 30 anni sono particolarmente a rischio di lesioni del tendine d’Achille.

 

Segni e sintomi di rottura del tendine d’Achille

Si può sentire un improvviso e grave dolore sul retro della caviglia o del polpaccio. Spesso è descritto come “qualcuno che lancia un sasso contro la caviglia”. Si dovrebbe sentire un forte suono simile a uno schiocco o uno scoppio. La prevenzione della lesione è possibile effettuando lo stretching prima dell’attività fisica e con un buon riscaldamento.

I sintomi di una rottura completa del tendine sono un improvviso dolore acuto, spesso descritto come se si ricevesse un colpo da dietro. Questo è accompagnato da un rumore simile a uno scoppio. All’inizio si avverte rigidità, gonfiore e dolore, successivamente si vede un vistoso ematoma e il polpaccio diventa debole o completamente inefficace.

 

Diagnosi

L’atleta non è in grado di camminare correttamente o di stare in punta di piede. Si può vedere un buco nel tendine dove si è strappato, con la probabilità di un accentuato gonfiore. Un risultato positivo al test di Thompson, consistente nella compressione del muscolo del polpaccio da entrambi i lati con l’atleta sdraiato a pancia in giù, può aiutare a confermare la diagnosi. Se il piede non si muove bisogna sospettare una rottura completa. Questo test consente di isolare la connessione tra il muscolo del polpaccio e il tendine, eliminando gli altri tendini che possono ancora permettere un debole movimento. Il medico può fare questa diagnosi con un buon esame fisico. La radiografia di solito non si effettua perché mostra solo le ossa. La rottura del tendine d’Achille è spesso scambiata per uno tendinestrappo o un infortunio minore. Il gonfiore e la capacità di puntare debolmente le dita dei piedi possono confondere l’esaminatore. L’ecografia e la risonanza magnetica sono esami che possono aiutare nella diagnosi. Il miglior trattamento per una lesione del tendine d’Achille dipende dall’età, dal livello di attività e dalla gravità della rottura. In genere, le persone più giovani e più attive decidono di operarsi per riparare una rottura completa del tendine, mentre gli anziani sono più propensi ad optare per il trattamento non chirurgico.

Tuttavia, recenti studi hanno dimostrato l’efficacia simile nella gestione chirurgica e non chirurgica. Il trattamento conservativo comporta in genere l’utilizzo di un tutore: una cavigliera o camminare con delle tallonite per elevare il tallone, in modo da permettere all’estremità del tendine strappato di guarire ed evitare i rischi legati alla chirurgia, come ad esempio le infezioni. La probabilità di ulteriori rotture può essere superiore con un approccio non chirurgico e il recupero può necessitare di più tempo. Per accelerare la guarigione è possibile: tenere la gamba a riposo, evitare di mettere il peso sulla caviglia lesa per quanto possibile, oltre all’uso se necessario delle stampelle. Applicare impacchi di ghiaccio per ridurre il dolore e il gonfiore, tenendo la caviglia nell’acqua fredda per 20 minuti, ogni tre o quattro ore per i primi due giorni. Appoggiare la gamba su un cuscino quando si sta seduti o sdraiati, prendere antidolorifici o antinfiammatori. Tuttavia, questi farmaci hanno alcuni effetti collaterali come un aumento del rischio di sanguinamento e lo sviluppo di un’ulcera, da usare quindi occasionalmente, a meno di prescrizioni da parte del medico (da assumere dopo i pasti). Eseguire lo stretching e gli esercizi di rinforzo, come raccomandato dal fisioterapista. Solitamente, queste terapie sono sufficienti, anche se nei casi più gravi di lesione al tendine d’Achille, potrebbe essere necessario un tutore rigido per un periodo da sei a dieci settimane, l’intervento chirurgico per la riparazione del tendine o per rimuovere il tessuto in accesso.

L’operazione al tendine prevede un’incisione lungo la parte posteriore della caviglia, lateralmente alla linea mediana, in modo che le scarpe non strofinino sull’area della cicatrice.

L’intervento si effettua in anestesia locale o regionale e non fa male, ma quando passano gli effetti il paziente può avvertire dolore durante i movimenti. Le complicazioni più comuni e preoccupanti dopo una riparazione del tendine sono i problemi con la guarigione della ferita. La pelle sopra il tendine d’achille a volte non guarisce bene. Pertanto, un’attenta gestione della ferita è di massima importanza dopo la riparazione chirurgica della rottura del tendine. Altri problemi potenziali sono un’infezione, la rigidità della caviglia e nuove lesioni del tendine: la fisioterapia può accelerare il tempo di recupero. In genere, quando la parte rotta guarisce, un piccolo grumo rimane nell’area cicatrizzata. L’atrofia del muscolo del polpaccio è una complicanza abbastanza frequente. L’appoggio del peso inizia circa sei settimane dopo la rottura con un supporto sotto al tallone, con la possibilità di tornare a correre dopo circa 4 – 6 mesi.

La Riabilitazione

0 – 3 settimane: tutore regolabile bloccato a 30° di flessione plantare, non si può tenere il piede a tutoremartello, non è concesso il carico per 3 settimane, non si può camminare in punta di piedi, controllo del dolore e dell’edema (cioè crioterapia, farmaci, massoterapia e laserterapia), movimenti delle dita dei piedi, delicato movimento del piede nel tutore, elevazione della gamba dritta, flessione ed estensione del ginocchio.

3 – 8 settimane: aumentare gradualmente il carico sulla gamba lesionata ed effettuare la rieducazione al passo in base alla tolleranza. Dopo 6 settimane si può passare al carico completo. Camminare con un ortesi aumentando la flessione dorsale di 5° ogni settimana fino a 10° di flessione plantare. Si possono eseguire esercizi isometrici dei muscoli dell’arto inferiore ad eccezione del polpaccio, leggeri movimenti di dorsiflessione attiva della caviglia fino ad allungare delicatamente il tendine d’achille, aumentare gradualmente l’intensità e l’ampiezza dei movimenti isometrici del tendine d’achille, aumentare lentamente l’ampiezza di movimento passivo e l’estensione del tendine dopo 6 settimane ed effettuare gli esercizi propriocettivi e il rinforzo intrinseco dei muscoli. Inoltre, dopo 6 settimane si può praticare il ciclismo, con l’appoggio del tendine sul pedale e con degli allenamenti in acqua profonda.

8 – 12 settimane: pieno carico con tallonetta se tollerato, allenamento al passo. Indossare una scarpa normale ed aumentare gradualmente gli esercizi attivi e contro resistenza del tendine d’achille (cioè submassimali isometrici, isotonici e con gli elastici). Bisogna raggiungere la completa ampiezza di movimento passivo del tendine, senza forzare. Progredire con l’attività in bicicletta e con il nuoto.

3 – 6 mesi: eliminare gli spessori sotto al tallone. Effettuare esercizi a catena cinetica chiusa, per esempio: squat, affondi, salita sulle punte bilaterale, sollevamento della punta dei piedi, contrazioni eccentriche lente e controllate con il peso corporeo. Si possono eseguire le seguenti attività: ciclismo, versaclimber, vogatore, nordictrack.

6 mesi: progredire nell’allenamento jogging/running, salti ed esercizi eccentrici. Si può passare ad attività sportive non competitive, esercizi di simulazione dello sport praticato.

8 – 9 mesi: ritorno allo sport competitivo e ai lavori pesanti.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170