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Il Ritorno dei Nuju, dal 3° Mondo alla fuga dalle Scatole Urbane

LAMEZIA TERME (CZ) – Dopo quasi tre anni d’attesa ritorna tra le nostre mani il nuovo lavoro dei Nuju: “Uban Box”.  Anticipato dai videoclip dei brani Tempi M0derni e Ora di Punta, il disco è uscito il 27 Gennaio per Mk Records/Audioglobe. Un sound rinnovato, con un gusto rock che richiama l’originalità tanto amata dai fan dei Nuju, e che non ha deluso le nostre aspettative regalandoci il piacere di un disco da mettere a tutto volume nelle nostre scatole urbane per allontanare lo stress dei Tempi Moderni. Chiave dal Basso ha voluto incontrare il signor “Nessuno” (traduzione di Nuju in dialetto calabrese) , concedendosi una piacevole chiacchierata con Fabrizio Cariati (voce, synth e penna) e Marco Ambrosi (chitarra).

A Distanza di circa tre anni dall’uscita dell’ultimo disco, i Nuju ritornano con un nuovo progetto, Urban Box. Ma che cos’è questa Scatola Urbana?

Urban Box vuole essere una metafora dell’individuo moderno, chiuso nel suo guscio. La Urban Box può essere l’utilitaria con cui ti rechi a lavoro, l’appartamento in cui vivi, un’attitudine. Noi viviamo a Bologna da tanto tempo, una città che dovrebbe essere sinonimo di divertimento ed apertura. In realtà ciò che proviamo è un senso di solitudine. Ci si sente soli nel divertimento. Cerchiamo, attraverso le emozioni, di scardinare le finestre di queste Scatole Urbane.

Il percorso dei Nuju, dal 2009 fino ad oggi, ha visto un’evoluzione dello stile. Il nuovo disco, Urban Box, rivela una vena squisitamente rock, sempre rimanendo fedele ad un gusto che è un misto di generi, una crescita “mista”.

Abbiamo sempre fatto attenzione a non barricarci in un unico genere, evitando al contempo di unire generi troppo sconnessi fra di loro. Per quanto riguarda il nuovo lavoro, abbiamo intrapreso un avvicinamento graduale alle sonorità attuali. Già durante la trilogia precedente abbiamo dei brani molto elettronici, come Movement o Il Furgone. I sintetizzatori li abbiamo sempre utilizzati. Un membro del gruppo, il fisarmonicista, è uscito dalla band quindi, per forza di cose, qualcosa in termini di sound doveva pur cambiare.

Il nuovo spettacolo, che stiamo portando in giro in questi giorni, rappresenta ciò che siamo noi oggi. C’è una matrice Folk di base, un folk internazionale, cantautorale, come esempio possiamo citare Bob Dylan. A questo sovrapponiamo i nostri tre generi principali che sono il Pop, il Rock e la musica Dance, quest’ultima per far divertire le persone.

Con quale pezzo ha inizio il cambiamento del signor “Nessuno”?

Non c’è stato un pezzo preciso con cui abbiamo iniziato il lavoro per il nuovo disco, anzi è successo il contrario. Ognuno di noi ha messo a disposizione i propri assi nella manica, presentando idee personali: chi un riff, chi un pezzo, chi un ritmo. Su alcune cose ci siamo soffermati, altre invece abbiamo pensato di conservarle. Per questo progetto si è pensato di non fare le cose in un determinato modo, con un’idea precisa di fondo. Dopo aver sentito 20/25 idee di brani, abbiamo scelto le migliori su cui lavorare, seguendo una linea che possa essere coerente col progetto. Non c’è stato alcun cambiamento nel nostro modo di fare musica, siamo sempre uguali. Abbiamo iniziato il nostro percorso nel 2009 in cinque, la fisarmonica si è aggiunta dopo, quindi è stato un ritorno alle origini in un certo senso, però sempre guardando avanti con un nuovo bagaglio di esperienze sulle spalle.

Tempi moderni, uno dei brani che ha anticipato l’uscita del disco. Un brano fresco e ricco di ironia, com’è nato?

Il brano è nato quasi 5 anni fa, ai tempi della scrittura del secondo disco. Fabrizio ne ha scritto il testo in un momento particolarmente delicato, raccontando una pena d’amore.

Ogni volta che mi si spezza il cuore – ci rivela Fabrizio Cariati – riesco a scrivere delle belle canzoni. Mi sento fortunato quando incontro delle donne che mi spezzano il cuore e che poi mi fanno scrivere, perché significa che mi hanno lasciato qualcosa di bello. Poi gli altri membri del gruppo ci creano attorno un immaginario. Le emozioni che vengono fuori da ognuno di noi sono diverse nel momento in cui arrangiamo i pezzi. Abbiamo deciso di chiamarla Tempi Moderni per creare un’analogia con la scena finale del celebre film di Chaplin, dove c’è quest’uomo, il protagonista, che dice “non ti preoccupare di come stanno andando le cose, basta che sorridi e andiamo verso il futuro”. L’immagine raccontata nel pezzo “amore vedrai che prima o poi qualcosa cambierà” a noi ha ricordato fortemente questa scena della pellicola.

In cerca di pace e tranquillità. Ora di punta. I Nuju raccontano lo stress di questi tempi moderni. I vostri brani possono essere interpretati come una personale forma di fuga dal mondo reale?

Le canzoni sono spesso una via di fuga. Per citare La rapina diremmo “per dare forma ai miei desideri ho le mie canzoni”. Altre volte diventano le nostre armi. Non siamo delle persone violente, ma una nostra canzone può diventare come un pugno in faccia, può essere la voce di chi non ha voce. Una valvola di sfogo.

I Nuju sono:

Fabrizio “Skywalker” Cariati: voce e synth
Marco “Goran” Ambrosi: chitarre
Giuseppe “Licius” Licciardi: basso
Roberto “Bob” Simina: percussioni, synth, armonica
Stefano “Mr. Pamps” Stalteri: batteria

Per Informazioni:
www.nuju.it   –   www.mkrecords.it

Per leggere la nostra precedente recensione sui Nuju, visitate il seguente link Il Viaggio dei Nuju Fino al 3° Mondo

 

Miriam Caruso

Radio Prima Liegi-Belgio intervista il Presidente Giulio Melicchio

COSENZA –

Gentile Presidente che  bisogno ha avuto di costituire l’associazione culturale Cosenza  Autentica? Ha costituito l’associazione per dar vita a quello che lei  sente verso il territorio?

L’associazione culturale Cosenza  Autentica è una giovane realtà associativa nata dalla volontà di giovani calabresi uniti dall’intenzione di voler promuovere una serie di  iniziative socio-artistiche-culturali, con il fine di tutelare e  rivalutare il territorio e il patrimonio storico. I progetti sviluppati  durante l’anno sociale 2014 hanno riscontrato molti consensi dalla  Community calabrese e, con certezza, le assicuro che ogni traguardo  raggiunto è per noi un motivo per andare avanti! Bisogna ammettere che non sempre siamo  riusciti a dar vita ai nostri progetti per mancanza di fondi, eppure il  mio Staff è riuscito a trovare sempre una soluzione, chiedendo dei  contributi alle amministrazioni locali e ai privati. Il forte senso di appartenenza verso la  mia terra mi ha spinto ad investire sulle mie capacità e su quelle dei  miei collaboratori. Se oggi in Calabria rappresentiamo un punto di  riferimento per chi vuole conoscere la nostra amatissima città dei Bruzi così come la Provincia e l’intera Regione è solo grazie al duro lavoro  che l’associazione culturale Cosenza Autentica svolge nel quotidiano.

Siamo felici di poter  condividere con tutti i nostri radioascoltatori le attività sviluppate  dall’associazione. Come vede i suoi conterranei all’estero? Conosce  quest’altra Calabria che è dovuta partire?
Assolutamente sì, purtroppo. Attraverso  l’informazione, i media e alcune reti televisive locali, ho preso  contatto con alcuni conterranei all’estero. Bisogna essere consapevoli  che ogni calabrese che è emigrato all’estero conserva gelosamente un  patrimonio culturale unico, autentico. Calabresi si nasce! Gli usi e i costumi che appartengono alla  comunità calabrese ci caratterizzano all’estero. Spesso, anche noi  giovani, siamo costretti ad allontanarci dalla nostra terra per studio e per lavoro; invito quindi tutti i calabresi che seguono Radio Prima  Liegi – Belgio a ritornare in Calabria, anche per qualche giorno, per  toccare con mano le bellezze autentiche e i sapori della tradizione. Il problema dell’immigrazione viene  spesso messo sui tavoli politici-amministrativi regionali e, posso ben  notare, che ancora oggi, nonostante gli sforzi, non abbiamo sconfitto  questa “peste” che ci segna.
Quali sono secondo Lei le bellezze che riassumono la Calabria?
La nostra Calabria mostra un paesaggio  vasto: basta pensare al Parco Nazionale del Pollino che costituisce il  polmone verde della nostra terra, la famosa “Costa degli dei” di Tropea, i bronzi di Riace gelosamente esposti a Reggio Calabria e, non per  ultima, la città dei Bruzi con il mito di Alarico e il centro storico  situato ai piedi del Castello Svevo.
Una domanda piuttosto difficile  per un giovane Presidente: nel nostro Paese, il Belgio, è famoso un  cantautore originario di Cosenza, mi sapresti dire chi è? Ti facciamo  ascoltare un pezzo di una delle sue canzoni così ci pensi.
Sicuramente stiamo parlando del  famosissimo Rocco Granata, musicista originario di Cosenza! Il  ritornello della canzone “Marina” è inconfondibile! Se non ricordo male  hanno anche fatto un film sulla vita di Rocco Granata.
Cosa vuol dire alle nuove  associazioni culturali in qualità di Presidente di una giovane realtà  presente sul territorio calabrese?
Bisogna rendersi conto che viviamo in  una realtà nella quale i giovani difficilmente intraprendono l’iter per  costituire un ente culturale non solo per problemi di carattere  economico, ma anche perché oggi giorno è difficile circondarsi di  persone che intendono sviluppare dei progetti per tutelare e promuovere  il territorio gratuitamente, facendo dei sacrifici e rimettendoci  spesso. La parola chiave per costituire  un’associazione è: coraggio. Quando si costituisce un’associazione si  cerca sempre di riempire il libro soci invitando amici e conoscenti ad  iscriversi per poi ingrandirsi a macchia d’olio sul tutto il territorio. Sono consapevole che il percorso di  crescita è faticoso e per certi versi difficile da intraprendere,  soprattutto se l’associazione ha radici presso paesi o città piccole.  Per fortuna Cosenza Autentica ha raggiunto numerose adesioni grazie ai  soci fondatori e il sostegno di altri enti culturali locali con i quali  abbiamo stretto delle convenzioni, al fine di creare una rete costituita da giovani.
Come associazione ricevete qualche aiuto? Chi vi sostiene? La Regione Calabria aiuta le associazioni culturali come la tua?
 L’associazione culturale Cosenza  Autentica nell’arco di un anno e mezzo di attività ha ricevuto dei  contributi dall’amministrazione comunale di Cosenza, da sempre vicina  alle giovani associazioni. Oggi siamo partner di diversi progetti  culturali quali i “Cinque sensi di marcia”, un trekking urbano promosso  dall’amministrazione comunale di Cosenza guidata dal Sindaco Mario  Occhiuto e dalla dott.ssa Succurro, Assessore alla Comunicazione e  Marketing territoriale di Cosenza. Il canale di accesso ai fondi regionali  per la cultura è piuttosto ristretto; Le posso confermare che per varie  richieste di contributo che abbiamo formulato all’assessorato  competente, la Regione non ha mai risposto, né in positivo e né in  negativo.
La ringraziamo per il Suo  intervento nel nostro speciale dedicato alla cultura e in particolar  modo alle associazioni culturali calabresi. Grazie mille!

Ernst Knam si Confessa ad Ottoetrenta: tra Cioccolato e … calcio!

ph. Francesco Farina

RENDE (CS) – Ottoetrenta ha avuto il piacere di intervistare per i propri lettori Ernst Knam, il Re del Cioccolato di Real Time, famoso per la sua creatività e predilezione per “l’arte del cioccolato”. Durante la sua partecipazione ad un noto evento tenutosi a Rende, Knam ha dato un assaggio della sua cucina, preparando in diretta una Mousse al Cioccolato senza glutine con guarnizione di mango e peperoncino piccante calabrese. In seguito ha offerto a tutti i presenti degli ottimi cioccolatini al mango e peperoncino.

Vi proponiamo una piacevole chiacchierata col maestro della pasticceria italiana:

ph. Ernst Knam

Ha qualche dolce consiglio da dare ai nostri lettori che vogliono impreziosire il loro matrimonio al momento del dessert?

Sempre cioccolato ovviamente! Poi per gli abbinamenti dipende dalla stagione, se il dolce viene proposto in inverno o in estate.

Facciamo un esempio veloce. Il matrimonio si svolgerà in primavera con un banchetto di pesce, cosa proporrebbe ai suoi clienti?

Proporrei  una mouse di cioccolato con cocco, mango e pepe rosso scuro di sarawak!

Ci racconti la differenza fra pasticceria tedesca e italiana.

La tedesca come tradizione è più pesante perché si fa largo uso di  crema al burro e di panna. La pasticceria italiana ha grandi differenze. L’Italia ha regioni con caratteristiche peculiari. In ogni regione troviamo una cucina, e quindi una pasticceria, tradizionale. Insieme con la Cina sono gli unici due paesi al mondo che mostrano questa diversità. Hanno dei dolci tradizionali fantastici che purtroppo sono stati dimenticati per l’influenza dolciaria francese o quella americana (che non preferisco). Ma se un pasticcere tornasse indietro nel tempo e portasse nel 2015 questi gusti e dolci fantastici farebbe una gran pasticceria.

Entrambe le cucine, tedesca e italiana, come hanno influito nel suo modo di operare?

Io sono andato via dalla Germania molto presto, quindi sono più influenzato dalle mie passioni: l’Asia, il Giappone. Io amo la cucina Giapponese e soprattutto il loro pensiero sulla cucina: il gusto e l’occhio. Marchesi – lo chef italiano più noto al mondo – mi ha insegnato “Meno è di Più”. Puoi togliere e non aggiungere.

ph. Francesco Farina

Ci parli della sua esperienza fra Bake Off Italia e Il Re del Cioccolato, entrambi gustosi programmi mandati in onda da Real Time.

Sono due cose completamente diverse. In “Il Re del Cioccolato” il cliente arriva in negozio e ci commissiona una torta/scultura per i suoi eventi. Bake off è una gara amatoriale dove ho il compito di giudicare i concorrenti in maniera intelligente, consigliandoli e facendogli capire se il loro lavoro va bene o è da migliorare. Si potrebbe accostare Master Chef a Bake Off. Non abbiamo però la stessa durezza nel trattare i concorrenti. La cucina è sempre stata una grande guerra e chi entra nelle grandi cucine deve essere preparato a tutto.

Passiamo a qualche curiosità sportiva. Sappiamo che lei è molto appassionato di calcio ed è un gran tifoso del Bayern Monaco, che cosa ne pensa del pallone d’oro non dato al portiere tedesco Manuel Neuer?

E’ vero che i tifosi vanno allo stadio per vedere segnare grandi gol più che assistere a parate spettacolari. Tuttavia penso sia giusto dare anche ai portieri il giusto riconoscimento. Come a Jashin nel ’63, io avrei dato il pallone d’oro a Sepp Maier all’epoca e ora a Neuer, sia per dare valore diverso al premio e al ruolo dell’estremo difensore, sia perché ha inventato un nuovo modo di essere portiere: Neuer è un portiere “libero” che ricorda l’eleganza di Beckenbauer o dell’ultimo Matthaeus. Ci può anche stare il pallone d’oro a C. Ronaldo, ma non si può far arrivare Neuer dietro Messi che in Brasile non è stato incisivo per niente e che ha già vinto il premio al Miglior giocatore del torneo.

ph. Francesco Farina

Una battuta sulla sua Germania campione del mondo. Quanto ha inciso nella vittoria della Coppa la forza della squadra e del tecnico Loew e quanto le innovazioni portate soprattutto dal Team Manager Oliver Bierhoff?

Il mondiale è stato vinto da tutto l’organico tedesco. Però penso che Bierhoff, già ex giocatore di livello, abbia i suoi meriti perché ha portato un nuovo modo di esser manager.

Infine a microfoni spenti il grande tifoso Knam ci ha rivelato che, al suo arrivo in Italia, aveva preso la tessera dell’Inter per via dei suoi famosi connazionali in rosa — Matthaeus, Brehme, Klinsmann – ma di aver poi raffreddato il suo animo nerazzurro quando nell’Inter hanno cominciato a giocare meno italiani. Vedere di nuovo un tedesco all’Inter (Lukas Podolski, ndr) riavvicinerà Ernst alla squadra di Mancini?

 Miriam Caruso

Andreina Morrone

ph. Francesco Farina

Stefano Ali’ Racconta la sua Rivoluzione: da un Monolocale al Palco

La Rivoluzione nel Monolocale (La Vigna Dischi) : cd e sfogo di un periodo malinconico. Abbiamo intervistato Stefano Ali’, cantautore  Siciliano, per farci raccontare il suo progetto e l’esperienza della collaborazione con Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce. Nove brani inediti e una cover di Paolo Conte, musiche e testi caldi innaffiati da Gin Lemon nell’intimità di un monolocale.

Partiamo dagli albori, raccontaci come ti sei avvicinato al mondo della musica e al cantautorato.

“Sono sempre stato innamorato della musica, è un antidepressivo naturale per tutti gli essere umani. Nel mio caso ho trovato tutto più gratificante quando ho scritto la mia prima canzone, a 19 anni; alla fine della composizione ho provato una pace interiore incredibile. Tuttora il mio umore dipende dalla scrittura: quando scrivo cose che mi entusiasmano posso andare avanti anche una settimana con il sorriso stampato in faccia.”

La Rivoluzione Nel Monolocale, un disco intimo che lascia sfogare l’insofferenza che la nuova generazione si trova ad affrontare in questo particolare periodo storico. Ci racconti un po’ come sono nati i tuoi testi?

“Sono nati dall’esigenza di raccontare soprattutto a me stesso il periodo che stavo attraversando: sono nati principalmente come uno sfogo. Successivamente ho capito di poter raccogliere i testi, musicarli e inserirli in un disco. Tutto ciò mi ha evitato costose sedute dallo psicologo.”

Qual è per te la canzone chiave dell’album? Quella che ti ha regalato maggior entusiasmo nel comporla?

“Forse Cash! Il primo brano che ho composto per questo progetto. Dentro c’è l’essenza dell’intero disco.”

Quali sono le influenze musicali che ti hanno portato a raggiungere un tuo stile?

“Le mie influenze sono davvero molto varie. Non seguo un genere in particolare, ascolto di tutto! È chiaro che qualcosa te la porti dietro. Passo dai Dirty Projectors ad Alessandro Fiori, dai Karate ai Mùm ecc…”

La scelta dell’italiano spesso lascia al cantautore la capacità di scoprire i propri sentimenti. Le tue parole nascono assieme alla musica o aspettano su un foglio di carta che tu ne scelga gli accordi?

“Parto sempre dalla musica, non riesco a fare il contrario. Magari so già quale argomento affrontare, ma prima ho bisogno di un giro di accordi, un loop, una melodia. Successivamente creo la linea vocale e aggiungo infine il testo. Il metodo classico insomma, sono troppo pigro per poter fare il contrario.”

La produzione artistica di “La Rivoluzione nel Monolocale” è di Lorenzo Urciullo (Colapesce), come nasce la vostra collaborazione?

“Conosco Lorenzo da più di dieci anni, siamo amici e musicalmente siamo molto in sintonia. Volevo che qualcuno pensasse all’arrangiamento dei pezzi, che si prendesse cura di loro, per cui, io e Roberto Cappellani (il batterista), dopo aver registrato dei provini con chitarra e batteria, abbiamo deciso di affidare tutto a lui. Il risultato finale, per quanto ci riguarda, è molto soddisfacente: siamo davvero felici del suono del disco.”

Un’ultima domanda. Cosa dobbiamo aspettarci da Stefano Alì per il prossimo progetto discografico?

“Semplicemente delle canzoni! Non so che vestito indosseranno ma spero solo si piacciano allo specchio.”

 

Miriam Caruso

Un sogno chiamato Moda: una chiacchierata con la stilista Vincenza Salvino

Vincenza Salvino è una stilista calabrese, nata e cresciuta a Cosenza, che nella vita ha dovuto tirar fuori le unghie per dimostrare di valere “qualcosa”. Oggi, che sta per intraprendere una nuova avventura come stylist per la nostra rubrica, si racconta per 8@30 dando preziosi consigli su come perseguire i propri sogni  e sul seguire la moda anche in questi tempi di forte crisi senza rinunciare al proprio stile e alle tendenze del momento.

Innanzitutto Enza un rapido excursus della tua carriera. Quando e come sei diventata una stilista?

Sin da piccola, essendo una persona molto creativa, ho deciso di intraprendere il liceo artistico ma inizialmente il mio scopo era fare l’orafa. Vengo da una famiglia “modesta” e  per questo motivo quando ho deciso di proseguire gli studi a Roma presso l’Istituto Superiore di Alta Moda, circa venticinque anni fa, ho dovuto fare tantissimi sacrifici. Mi sono adattata a qualunque tipo di lavoro dalla cameriera alla dama di compagnia per persone anziane imbattendomi in realtà che a volte mi hanno anche scoraggiata. Terminati gli studi, tutto ciò che realizzavo sembrava non trovare riscontro negli altri, finché mi sono resa conto che le mie proposte fossero troppo avanti rispetto a quei tempi. Oggi sento e vedo cose che io sostenevo vent’anni fa. Ho abbandonato per un periodo i miei sogni per costruirmi una famiglia, poi, qualche anno fa, una voce dentro di me mi invitava a ricominciare perché qualcosa di buono ero in grado di farla. E così, grazie a Sante Orrico, patron dell’evento Moda Movie nella mia città natale, che in occasione di un edizione sugli anni ’60 mi ha invitato a realizzare delle stampe ad hoc, ho cominciato a fare sfilate, a vincere concorsi, a realizzare capi sempre più richiesti.

Se dovessi descrivere ciò che la moda rappresenta per te?

Per me la moda è una forma d’arte. A me piace giocare con essa, creare qualcosa che mi dia emozioni senza tralasciare quel pizzico di leggerezza che serve a non rimanere mai delusi e a non aspettarsi mai troppo.  Per me moda  e libertà sono un’unica cosa, poiché non  essendo figlia di persone che contano, ho sempre riscontrato delle barriere verso chi non aveva amicizie. Vengo da una famiglia di artigiani che non potevano permettersi di mantenermi, per questo i traguardi che ho raggiunto sono per me  grosse soddisfazioni. La gioia più grande la provo quando vedo mio padre sorridere nell’ osservare qualcosa che ho realizzato. Io credo di avere un grande pregio o un grande difetto a seconda dei punti di vista: la mia testardaggine.

Tu sei nata e vissuta in Calabria: lo ritieni un valore aggiunto alla tua creatività o un limite alla tua carriera?

Come tutti da giovane ero convinta che fuori ci fossero molte più possibilità. Ad oggi con l’esperienza ritengo che il nostro Meridione abbia maggiore creatività insita in sé. Dobbiamo credere nella nostra terra e in quello che noi calabresi possiamo essere. Le origini non si dimenticano e io ho sempre mantenuto la mia identità. Io volevo e voglio ancora creare qualcosa lì dove sono nata. Certo anche noi abbiamo dei grossi difetti, primo tra tutti il fatto di piangerci addosso, di cullarci su quello che non abbiamo senza capire che il vero problema della Calabria non sono le risorse  ma la volontà e la responsabilità di fare ciò di cui siamo perfettamente in grado. Mi piacerebbe realizzare qualcosa che nasca in Calabria e per la prima volta venga apprezzato fuori. Una sorta di processo inverso rispetto a ciò che avviene in modo ordinario. Secondo me dovremmo imparare ad avere maggiore spirito di sacrificio.

 Il problema odierno è riuscire ad essere al passo con le tendenze senza spendere una fortuna che non si ha. Tu che consiglio daresti alle nostre lettrici?

Ho sempre pensato che nella vita, crisi o non crisi, occorra fare come le formiche. Non mi sono mai potuta permettere di sperperare e sono cresciuta in una cultura familiare in cui qualunque cosa veniva divisa in parti uguali con fratelli e nipoti. Forse è per questo che difficilmente butto qualcosa perché dai tessuti io percepisco una voce. Parto dall’idea che tutto possa essere riutilizzato, indipendentemente se si tratta di stoffa da tappezzeria, borse o accessori. Per essere originali basta davvero poco, anche solo a volta recuperare e riassemblare vecchi pezzi ricavati da oggetti diversi.  In genere io amo acquistare nei mercatini, dove la roba costa poco e spesso è fonte di maggior stimolo creativo. Regola fondamentale  che le cose da me acquistate mi colpiscano. In genere parto dal tessuto. Poi lo riutilizzo in maniera innovativa, ma chi deciderà di seguire la nostra rubrica se ne accorgerà presto! L’importante  è non seguire la moda a tutti i costi ma prendere il meglio di essa rispetto al nostro aspetto e valorizzarlo.

Spesso accade che per seguire la moda si tenda a dimenticare di seguire un proprio stile e a perdere di vista la propria fisicità. Quali sono secondo te i capi che stanno bene a tutte o che comunque possono essere riadattati in modo da consentire ad ognuno di sentirsi alla moda senza esagerare?

 Personalmente credo che ognuno di noi nel proprio armadio debba avere un capo classico. Tubino, tailleur, purché non lo si indossi in modo ordinario e conformista come potrebbe fare chiunque. A volte per impreziosire un capo bastano pochi dettagli: un collo di pelliccia, una stola posizionata in modo particolare, un accessorio particolare. Uno di quei capi a cui invito a non rinunciare mai è lo chemisìer. Adatto a magre e formose , in tessuti leggeri e morbidi possono essere adattate al proprio fisico semplicemente grazie all’uso di una cintura o di un leggins fantasia. L’importante è non nascondere i propri difetti, anzi valorizzarli e renderli un segno distintivo del proprio aspetto. Un vezzo che appartiene solo a sé stesse, cercando, ove possibile, di acquistare sempre un outfit completo e mai un solo capo spurio.

Sta per arrivare l’inverno e quest’anno pare si accinga ad essere molto freddo: se dovessi consigliare un capo utile ma al tempo stesso di stile per quale opteresti? E in quale colore?

Andando in giro ho potuto notare che quest’anno vanno di moda le mantelle e le cappe per le loro multifunzioni. Io già da tempo ne ho realizzate diverse molto particolari. Inoltre io adoro le grosse sciarpone in grado di mantenere caldissimi da acquistare magari in tonalità neutre, in modo tale da adattarle su qualunque capo. Quest’anno poi va di moda “l’Over Size” adatto a tutti. E poi in ogni caso lasciamo libero sfogo alla nostra fantasia, nessuno ci vieta di osare con colori e capi che ci piacciono di più!

 

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                                                                          Lia Giannini                                               

“Prima il lavoro poi le feste”, a Cosenza protesta dei lavoratori delle Cooperative

COSENZA – “Prima il lavoro poi le feste”, questo lo slogan adottato, il 26 giugno 2013, da un gruppo di poche decine di persone, che occupano il palco allestito alla fine del lungofiume boulevard nel tentativo di far risuonare il loro dissenso verso l’indifferenza degli enti, a loro dire, ai problemi dei lavoratori delle Cooperative.

I manifestanti non accettano di buon grado i provvedimenti previsti dalle nuove normative Antimafia che coinvolgerebbero, a detta degli stessi, tutti gli appartenenti alle cooperative, quindi “anche uomini onesti con a carico famiglie e figli” i quali avrebbero perso, conseguentemente alle vicende giudiziarie che hanno colpito gli stessi, il lavoro.

 

 

 

 

Oscar Mari

Intervista a Giulietto Chiesa su crisi, futuro, media, Alternativa e Grillo

Giulietto Chiesa ha partecipato al convegno su crisi e politiche europee che si è tenuto a Pentone(Cz), presso il salone del Santuario di Termine. Lo abbiamo sentito su crisi, futur, media, Alternativa e Grillo.

Crisi e scenari futuri: solidarietà o guerra

Fatti e interpretazioni

Media e manipolazione

Grillo e Alternativa

 

 

 

A cura di Rita Paonessa

FOCUS/Crisi, politiche europee, futuro: un convegno a Pentone (Cz). Giulietto Chiesa ha chiuso la serata

PENTONE (CZ) – Crisi, politiche europee, debito e speculazione, futuro: se ne è parlato a ‘Famiglie in crisi: quale futuro per l’Italia?’. Il convegno si è tenuto a Pentone, in provincia di Catanzaro, presso il salone del santuario di Termine. Giulietto Chiesa [intervista] ha chiuso la serata. Prima di lui sono intervenuti Alberto Scerbo (docente Magna Graecia già direttore Osservatorio Giuridico Conferenza Episcopale Calabra), Vincenzo Falcone (docente universitario già segretario generale Comitato delle Regioni UE) e Sergio Basile (direttore ‘QuiEuropa’ – Osservatorio nazionale Politiche Europee). Dopo i saluti del sindaco di Pentone, Raffaele Mirenzi, ha introdotto il convegno Don Gaetano Rocca, rettore del Santuario e direttore diocesano Ufficio Pastorale del Lavoro e Problemi sociali. L’incontro è stato organizzato dal Santuario Madonna di Termine, in collaborazione con l’Università ‘Magna Graecia’ di Catanzaro (Dipartimento di Filosofia del diritto), QuiEuropa (www.quieuropa.it) e Comune di Pentone.

«Ce ne torniamo a casa arricchiti, ma ci avete dato troppe nozioni», interviene un uomo dal pubblico a fine serata. In effetti, i relatori hanno dato informazioni e dati, anche tecnici, di cui non si sente parlare spesso: sulle prime, orientarsi è difficile. Ma il sasso è stato lanciato. Per Don Gaetano Rocca non sono importanti tanto le risposte quanto le domande. Il rettore del santuario, nell’introduzione, ha fatto ricorso alla metafora, diffusa, della malattia e della cura: «la malattia è evidente e conclamata – ha detto – la terapia per risolverla è avvolta da una nebulosa che spazia tra ideologia e particolare formazione culturale». Tra gli altri, ha citato Ford: «È un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina».

L’elemento comune alle relazioni sembra essere stato il fattore tempo. E’ necessario agire in fretta. E’ necessario guardare al lungo termine per intravvedere gli esiti – catastrofici – della crisi attuale e trovare le relative soluzioni. E’ necessario pure guardare al passato. Per tentare di capire come siamo arrivati al punto in cui ci troviamo, individuare le responsabilità, renderci conto di chi siamo e di chi possiamo essere. Dopo gli interventi dei relatori, i presenti hanno posto domande e condiviso riflessioni: il confronto è continuato.

 

Cambiamenti veloci e politica lenta, il caso Calabria – Mutamenti economici veloci, politica lenta nel rispondere: è il gap messo in luce da Vincenzo Falcone. Quanto all’Europa, per il professore, «la coscienza europea non si ottiene dall’oggi al domani e, anche se il percorso è ancora lungo, il processo è irreversibile». Falcone si è soffermato sulla Calabria, «la regione dove nulla si trasforma – ha detto – lo dico perché a causa di una classe dirigente che non sa guardare oltre il breve periodo ed è carente circa la conoscenza dei processi, cioè noi abbiamo una classe politica ignorante, che non conosce la storia della Calabria». Il professore ha snocciolato alcuni dati: accesso al credito inesistente, 70mila miliardi di vecchie lire messe a disposizione della Calabria, impatto degli interventi comunitari uguale a zero.

Politica, economia, Europa – Alberto Scerbo ha fatto il punto sull’Europa: una parola – secondo lui – dietro cui ci si nasconde («Si dice ‘ce lo ha ordinato l’Europa’, ma non so quante cose ci ha realmente ordinato l’Europa»). Per il docente, l’Europa politica non c’è: «un problema molto difficile è la sovranità degli Stati: perché si possa parlare di un organismo sovranazionale, è necessario che gli Stati facciano un’azione di abdicazione alla propria sovranità, ma questa abdicazione non c’è stata». D’altra parte, Scerbo ha sottolineato la prevaricazione dell’elemento economico: «l’economia è diventata il problema essenziale, muove la politica: politica e diritto sono arretrati e hanno messo davanti a sé l’elemento economico, usato per giustificare le scelte della politica e del diritto».

Debito e risposte europee (Fiscal Compact e Fondo salva Stati) – Sergio Basile ha analizzato debito pubblico e risvolti delle risposte europee. «In Italia il debito pubblico scoppia negli anni ’80 – ha spiegato – in trenta anni passa dal 60% al 125 %». Ha proseguito: «in parte è dovuto alla cattiva gestione politica, ma questo è vero solo al 10%, lo dicono i dati». Il direttore di QuiEuropa ha fatto, quindi, riferimento alla privatizzazione della Banca d’Italia (1992, Governo Amato), agli 80 miliardi di interessi passivi pagati ogni anno alle banche, alle agenzie di rating e ai loro “consigli” manipolati seguiti come diktat, ai 45 miliardi d’euro l’anno che dovremmo pagare per venti anni secondo il Fiscal Compact, ai meccanismi inquietanti del Fondo salva Stati. Fattori che hanno giocato e giocano un ruolo rilevante nel debito pubblico. «La mia non è una teoria complottista, sono dati pubblici, si trovano su internet», ha precisato Sergio Basile.

Crisi, pianeta e guerra – Giulietto Chiesa ha ampliato la prospettiva al pianeta e agli scenari futuri. Il giornalista ha spiegato che le risorse del pianeta (petrolio incluso) sono limitate, ma viviamo in un sistema – quello capitalistico – orientato a uno sviluppo illimitato. «Ma in un sistema finito di risorse, uno sviluppo infinito è impossibile». D’altra parte, paesi fino a ieri sfruttati – Cina, Brasile, America Latina, India, i cosiddetti BRICS – crescono velocemente. «Non siamo più al centro del mondo – ha detto – dovremo fare i conti con la necessità di diminuire i consumi. Per il presidente di Alternativa, proseguire con questo ritmo significa andare dritti verso la guerra perché «si dovrà andare a prendere le risorse dove ci sono». Perciò «non possiamo più crescere», è la conclusione di Giulietto Chiesa, in controtendenza rispetto al leitmotiv di questi tempi. Il giornalista ha fatto anche riferimento all’infinita produzione di denaro e a rifinanziamento delle banche fallite.

 

Rita Paonessa

“Ti racconto una storia…” Intervista alla giovane scrittrice Alessandra Key Cappa

Ti racconto una storia...
Ti racconto una storia... Alessandra Key Cappa

COSENZA – Il prossimo giovedì 15 novembre alle ore 18:00 la libreria Ubik di Cosenza ospiterà la presentazione del romanzo “Ti Racconto una storia…” (Librare edizioni) di Alessandra Key Cappa, giovane scrittrice esordiente originaria di San Giovanni in Fiore.

Abbiamo sentito l’autrice sull’interessante romanzo che si appresta a presentare al pubblico dei lettori.

Come nasce il tuo interesse per la scrittura?

Più che interesse lo definisco vero e proprio amore. Non è qualcosa che si può spiegare. È un piccolo miracolo che accade ogni volta. Scrivendo esprimo completamente me stessa, senza fingere. Mi sento completamente libera quando scrivo.

Cosa intendi precisamente con “scrittura d’evasione”?

L’evasione nel suo senso più stretto. Leggere un romanzo o, nel mio caso, scriverlo rappresenta un modo e un mezzo per evadere dal nostro ordinario. È una magia. Per un momento posso essere un’altra persona, un elemento, un animale. Per un attimo posso vivere una vita diversa, quella che si sogna magari..

Sin dalle prime righe del romanzo, si riconosce in Lea, la protagonista, lo stereotipo del laureando d’oggi, alle prese con le fatiche della ricerca del suo posto nel mondo. Quanto ti rivedi in Lea? E quanto c’è di autobiografico nelle vicende emotive, negli stati d’animo, nelle sensazioni vissute dalla protagonista (non mi riferisco naturalmente agli eventi)?

Io e Lea ci somigliamo molto poiché entrambe stiamo affrontando il delicato passaggio che ci porterà a dover essere delle adulte, ci lega il timore del futuro ma soprattutto il terrore di un passato che ci ha fatto molto male e da questo si capisce benissimo che di elementi autobiografici ce ne sono diversi ma sono molto romanzati e solo chi conosce quegli aspetti della mia vita può quanto meno intuirli.

La vita talvolta è imprevedibile. Come imprevedibile è quello che succede a Lea, le decisioni che prende nel corso della storia: anche qui, quanto ti rivedi in lei? Quanto credi che ciò che le accade sia realizzabile anche nella vita “reale”?

A differenza di Lea io non ho ancora trovato quel grande coraggio di sfidare il Destino ma sono fortemente convinta che non tutti i salti nel vuoto facciano male, ecco perché questa storia. Il mio è un messaggio di speranza. Credere nei sogni che a detta di tutti sono impossibili, sfidare il Destino mettendosi in gioco e soprattutto avere grande fiducia in se stessi per farlo sono quegli elementi che rendono possibile anche l’impossibile. La mia non è una storia legata ad una illusione, l’ho scritta credendo che nella vita di chiunque la magia può realizzarsi, basta crederci e non mollare, proprio come ha fatto Lea. A tutti gli scettici ho solo una domanda da fare: perché no? Perché la mia storia non potrebbe essere realizzabile?

Vivere equivale a compiere delle scelte. Non esiste il “giusto” e lo “sbagliato”. Perché lo sbaglio è relativo e fa comunque parte del gioco: giusto per riprendere la prefazione “la vera ragione del viaggio è viaggiare, non raggiungere la meta”. E’ davvero così? O talvolta non viviamo le cose nella giusta maniera tanto siamo presi dagli obiettivi che (crediamo di) ci poniamo?

Di vita ne abbiamo una soltanto. Sprechiamo tantissimo tempo a frastornarci di dubbi, ansie e paure e quando prendiamo una decisione o facciamo una scelta gran parte è dettata dall’obiettività e dal calcolo. Il cuore, ciò che sente, ciò che ci suggerisce lo mettiamo da parte non perché lo consideriamo sciocco, ma solo perché è ciò che ci fa più paura. Intraprendiamo il viaggio sbagliato, quello che ci porterà a sospirare nella notte aprendo il cassetto dei sogni e sentendoci insoddisfatti nonostante i traguardi. Siamo cresciuti in una società che ci dice che i sogni sono solo per i pivelli e che i sognatori sono degli illusi che prima o poi si ritroveranno con nulla in mano, il mio romanzo vuol dimostrare il contrario. Concordo con il dire che il concetto di giusto ed ingiusto è soggettivo. Tuttavia la mia storia non analizza questa dualità, piuttosto il voglio o non voglio. Tutto il resto è solo una cornice.

Qualche suggerimento da dare ai futuri lettori?

Di approcciarsi al mio romanzo con la parte più intima ed emotiva del loro io. Di lasciare per quell’ora di lettura tutte le convinzioni stereotipate di come sia strutturata una perfetta quotidianità ma soprattutto ciò che voglio con tutto il cuore è che il mio lettore sorrida a chi cerca di dimostare che nella vita un solo sogno ed un pizzico di folle testardaggine in più possa veramente trasformare la vita nella favola che tutti in fondo al cuore desideriamo.

Ringraziamo Alessandra per avere risposto alle nostre domande, e suggeriamo vivamente la lettura del romanzo che, oltre che nella classica veste “rilegata”, è possibile trovare anche in versione ebook.

Interessante, coinvolgente e anche al passo coi tempi!

 

Giovanna M. Russo

Intervista ad un “ladro di luce”: Federico Treggiari

Foto di Federico Treggiari

Federco Treggiari (500px.com/gringoire89) nasce il 24 luglio del 1989, entra a far parte dell’Associazione ladri di Luce nel 2011 e quest’anno ricopre il ruolo di docente per il corso di base di fotografia.

Intervista:

Tra le foto che hai realizzato, qual è quella a cui sei più affezionato?

“Ad una foto fatta in Africa, ad una bambina che guardava dritto verso di me, è la foto che mi è venuta meglio non sapendo un’acca di fotografia. È stata scattata nel paesino di Rundu ad Agosto 2010 durante un viaggio/volontariato”.

Quando hai scoperto questa passione?
“È scoppiata a 20 anni. Quando ero piccolo o usavo le macchine usa e getta o una di topolino, a 17 anni mi venne regalata la prima compatta ma è a 20 anni che ho ricevuto la macchina più seria ed ho iniziato a studiare per capire il mio stile di fotografia.”
Qual è il tuo sogno da fotografo?
“Il mio sogno è quello di diventare un documentarista. Ho il mio dio racchiuso in un rettangolino giallo: National Geographic. Spero anche di continuare i miei studi all’università di Leida in Olanda.”
Cosa ami e cosa invece odi fotografare?
“Amo fotografare animali, non c’è invece qualcosa che odio, c’è qualcosa che non mi capita mai di fotografare perché non rientra nel mio stile come ad esempio la fotografia architettonica. Oltre a fotografare animali mi concentro sui concerti dove devi giocare con le luci del palco, è infatti vietato usare flash. Devi fissarti su un componente del gruppo, lo segui, lo segui e lo fotografi.”
Se ti chiedessero di raffigurare l’amore attraverso una fotografia senza avere la possibilità di inserire una didascalia, cosa immortaleresti?
“Una scena che mi capitata di vedere ma che non ho potuto fotografare sono due cani seduti su un molo che guardano l’orizzonte. L’umanizzazione dell’animale. Il concetto di amore è il vedere in animali non umani qualcosa che gli umani fanno.”

Annabella Muraca