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[#NerdEvents] Games Week 2017, #5 Titoli Poco Noti ma Molto Interessanti

Anche quest’anno la Games Week di Milano è riuscita nel suo intento di creare un’ampia vetrina di anteprime ed eventi, alla quale hanno preso parte, come ogni anno, decine di produttori del mondo videoludico, più o meno noti, oltre che centina di appassionati, youtuber, streamer e giornalisti.

Come ogni anno a farla da padrone sono gli stand dei grandi colossi del videogame e, a dirla tutta, con titoli che sono ormai diventati una compagnia costante di quasi ogni edizione, come Assassin’s Creed, Far Cry o Call of Duty. Nell’edizione 2017, tuttavia, ci sono stati alcuni titoli che hanno indubbiamente suscitato meno attenzione ma che meriterebbero sicuramente una menzione particolare.

SLAPS AND BEANS

La prima menzione va, senza troppe difficoltà, a Slaps and Beans, una piccola perla indie che ci riporta ai vecchi film di Bud Spencer e Terence Hill, stavolta nel ruolo dei protagonisti invece che degli spettatori. Il gioco si presenta come un classico picchiaduro a scorrimento, giocabile in compagnia di un amico, con un gusto grafico molto retrò che, ai giocatori più navigati, non potrà che ricordare i vecchi coin-op, ma riuscendo comunque a mantenere un’estetica raffinata, priva di troppi pixel sgranati e fastidiosi dopo lunghe sessioni. Come nel miglior stile di Bud e Terence, il nostro scopo sarà quello di farci largo attraverso orde di nemici con a disposizione pochi e semplici comandi, come nella miglior tradizione bet’em up: pugni, calci e la possibilità di raccogliere oggetti o far compiere ai nostri eroi qualche azione speciale. I livelli scorrono abbastanza piacevolmente e l’unica boss fight che è stata possibile sperimentare era molto interessante, richiedendo ai due giocatori di cooperare sfruttando le diverse capacità di entrambi i personaggi per riuscire a sconfiggere il nemico. Purtroppo, è evidente come ci sia ancora molto lavoro da fare: le interazioni con l’ambiente hanno il fastidioso problema di essere tutto fuorché precise, con azioni che si accavallano nello stesso luogo, rendendo quasi impossibile riuscire a fare ciò che è richiesto per andare avanti o la singolare capacità di Bud di attraversare le pareti; la prova, poi, si è conclusa nel peggiore dei modi, quando il gioco ha smesso di caricare il livello lasciandoci finire in un’area completamente nera e un po’ di amaro in bocca per la partita conclusasi forzatamente. In ogni caso, c’è da fare un plauso all’idea e al suo sviluppo: tutto molto semplice ma efficace al tempo stesso. Il gioco è ancora alla ricerca di fondi su Kickstarter per finanziare le prossime fasi del progetto.

SNAKE EYES: SINE REQUIE

Snake Eyes è un titolo tutto italiano, tratto dall’ambientazione del meglio noto gioco di ruolo Sine Requie e che ci proietta all’interno di uno dei manuali avventura pubblicato qualche anno fa: Gli occhi del serpente, appunto. Una piccola nota a margine: chi ha già giocato l’avventura del manuale, probabilmente non troverà grosse sorprese all’interno di questo titolo. Grazie a Sanke Eyes, ci caleremo in un mondo cupo, sconvolto dal risveglio dei morti avvenuto nel 1944, esattamente il 6 giugno, giorno dello sbarco in Normandia. Tredici anni dopo il mondo è pressoché in rovina e solo le dittature più crudeli sono riuscite a mantenere una parvenza di ordine sufficiente a condurre una vita più o meno normale, scendendo ovviamente a pesanti compromessi. Noi ci troveremo in Italia, dove il papato ha preso in mano le sorti del Sanctum Imperium, e il nostro scopo sarà quello di sventare un misterioso culto eretico. Il gioco si presenta come un RPG molto semplice: ciò che dovremmo fare, infatti, sarà leggere i testi che ci offrono una descrizione delle varie situazioni che andremo ad affrontare, oltre che i dialoghi che avvengono fra i personaggi; a questi testi potremmo spesso rispondere con delle scelte multiple, che andranno a condizionare lo svolgimento dell’avventura. Il combattimento viene gestito con un meccanismo di turnazione abbastanza statico: ognuno dei combattenti coinvolti ha la possibilità di effettuare un attacco, il cui esito viene determinato dall’estrazione dei tarocchi, il marchio di fabbrica di Sine Requie, ad ognuno dei quali corrisponde un esito, generalmente con delle sfumature più interessanti e particolari rispetto alla semplice dicotomia successo vs fallimento. Si tratta di un titolo abbastanza scorrevole e piacevole per passare una mezz’ora rilassante. Secondo gli sviluppatori, sarà rilasciato principalmente su PC, attraverso Steam, anche se c’è la possibilità di vederlo su altre piattaforme, a seconda di come andrà la raccolta fondi su Kickstarter. La prova gratuita era offerta attraverso un tablet, quindi il titolo apparirà probabilmente anche su mobile, che è il suo ecosistema più naturale visto il tipo di esperienza.

GENOMIA

La neonata Chromatid Dynamicsm ci presenta Genomia, un platforming con forti elementi RPG e modalità cooperativa. Anche questo titolo è tutto italiano e sarà disponibile, inoltre, in lingua inglese. Il gioco ci farà vestire i panni di Artico o quelli di Naida, due Dermonoidi che vivono nel mondo di Oran Ba. Stando agli sviluppatori, già questa prima scelta avrà un impatto sulla trama: i due personaggi, infatti, avranno caratteri differenti e vivranno storie estremamente diverse nel corso del gioco. Oltre a questo, le nostre scelte e persino il modo in cui decideremo di sviluppare il nostro personaggio modificheranno il livello di interazione con il mondo di gioco, al punto che anche in modalità cooperativa i personaggi potranno interagire in modo diverso a seconda di come si sono evoluti. Questo accade perché per potenziare le proprie abilità, in Genomia, i personaggi saranno portati a modifichere il loro DNA, andando ad impattare in maniera notevole sul modo in cui saranno percepiti dagli altri. A livello di gameplay, il gioco si sviluppa come un platforming in 2.5 D, arricchito da alcuni combattimenti gestiti attraverso un sistema chiamato Stringam: il personaggio verrà circondato da due cerchi durante lo scontro mentre, dal nemico, partiranno dei piccoli oggetti colorati che viaggeranno verso il pg. Il nostro scopo sarà quello di premere i pulsanti giusti prima che questi oggetti entrino nel secondo cerchio (nel qual caso subiremo un danno). Il sistema, che richiama molto giochi come guitar hero, è un’idea interessante per richiedere un po’ di rapidità e prontezza, in un game che altrimenti ruota molto intorno alle scelte fatte e alle loro conseguenze.

ESCAPE FROM SALEM

Tornando di nuovo al piccolo stand degli indie game, troviamo Escape from Salem, un titolo molto particolare sviluppato da un trio di ragazzi. Nel loro gioco vestiremo i panni di una strega che, dopo essere stata scoperta, deve fuggire da Salem prima di essere bruciata sul rogo, accompagnata da un corvo parlante di nome Pallas. Con Escape from Salem dimenticatevi di vestire i panni dell’eroe: qui siete il cattivo e la vostra preoccupazione principale è quella di fuggire prima di lasciarci le penne. Il gioco si sviluppa in 2D ed offre una serie di ambientazioni di stampo gotico e horror create da un illustratore, che si è anche occupato di scriverne buona parte della storia. Durante la vostra fuga, incontrerete diverse villici armati di forcone pronti a farvi la pelle, dai quali potrete difendervi con due attacchi: uno normale, meno incisivo ma più rapido, e uno caricato, che consumerà il vostro mana e richiederà un significativo tempo di lancio, ma avrà degli effetti importanti. Escape from Salem, tuttavia, offre inoltre una serie di enigmi da risolvere e che potrete superare anche grazie ai preziosi consigli di Pallas: nella demo di prova era presente anche una piccola sezione stealth, segno che c’è la volontà di creare un titolo che offra un’esperienza molto varia. A parte qualche piccola bega tecnica, perfettamente comprensibile per un gioco sviluppato da tre persone, questo titolo ha tutte le carte in regola per essere una piccola perla da provare assolutamente.

REMOTHERED: TORMENTED FATHERS

In Remothered vestiremo i panni di Rosemary Reed, una giovane donna che, con l’intento di investigare sulla scomparsa di Celeste Felton, si introduce abusivamente nella casa di suo padre, Richard Felton. Ciò che ci aspetta all’interno della magione è un’esperienza survival horror che, una volta tanto, abbandona i tratti del paranormale e ci proietta in un’immersiva e inquietante avventura. Nel gioco controlleremo la protagonista con una visuale in terza persona; le ambientazioni della casa sono molto cupe e il comparto sonoro, molto ben curato, contribuisce allo scopo di farci condividere l’inquietudine della protagonista. Muovendoci all’interno della casa, dovremmo cercare di indagare senza essere scoperti, altrimenti finiremo per avere alle nostre calcagna il “simpatico” Dr. Felton, armato di un falcetto e seriamente intenzionato a farci la pelle. Ottimo il livello di interazione che la protagonista può avere con l’ambiente: oltre ad aprire porte e cassetti o raccogliere oggetti per la nostra autodifesa, sarà possibile nascondersi sotto letti, divani o dentro armadi al fine di sfuggire dal nostro aspirante carnefice. Per difenderci, potremmo trovare qualche coltello o simili, oppure degli oggetti da lanciare direttamente in faccia a Felton: il sistema per colpire dalla distanza non è molto immediato, ma non è nemmeno nulla di impossibile da padroneggiare a pieno. Le armi ravvicinate, invece, serviranno qualora Felton dovesse acciuffarci: in quel caso, con una sequenza quicktime event, avremo la possibilità di sfuggirgli conficcandogli qualcosa di appuntito nella spalla. Un peccato che la sequenza animata sia sempre identica e che l’assassino sembri non risentire delle continue coltellate, se non per qualche secondo di defiance, mentre noi finiremo per muoverci sempre più lentamente e con difficoltà ogni volta. Scopo del gioco, sarà quello di riuscire a sciogliere l’intricato mistero senza lasciarci le penne. Remothered appare come una perla del panorama horror come non se ne vedevano da parecchio, pronto a catturarvi per un’esperienza della quale difficilmente ci si potrà dimenticare.

IL COMMENTO

Anche quest’anno, la Games Week è stata inequivocabilmente un successo, come in quelli passati; purtroppo, come quasi da prassi per gli eventi dedicati all’ambiente, tutto sembra essersi fermato a qualche anno fa e il mercato pare non essere in grado di andare avanti. Insomma, vedere che gli eventi più importanti presentati in tre giorni di fiera sono ancora una volta legati a Destiny, Far Cry, Assassin’s Creed o Call of Duty, fa un po’ riflettere sulla direzione intrapresa dal settore da qualche anno a questa parte, probabilmente a causa di un timore nel creare qualcosa di nuovo, dovuto alle incessanti guerre fra le piattaforme di gioco. Idee originali, come visto poco sopra, ce ne sono, ma purtroppo rimangono nascoste nel panorama indie o relegate un po’ ai margini del comparto. Un evento grande e importante come la Games Week, pur mantenendo l’ovvio occhio di riguardo dovuto alle grandi case, avrebbe tutto il potenziale per dare giusto rilievo anche a prodotti di questo tipo, ma non sembra essercene l’intenzione.

L’impressione finale dell’evento, in questo modo, diventa una sorta di copia di quanto visto l’anno precedente, con un sottotitolo diverso.

Emmanuele Vercillo

[#NerdInterview] Vivere a colori… e non solo, intervista a Giovanna Ruffolo

«Seguire la propria passione e scoprire di essere in grado di fare cose straordinarie».
È questo il motto di Giovanna Ruffolo, giovane illustratrice cosentina, disabile su sedia a rotelle e che non conosce la parola “limite”.

Dopo aver frequentato per un anno la facoltà di scienze politiche dell’Unical, decide di voler cambiare strada, di inseguire la propria passione: il disegno. «Quando si prende una strada per accontentare altre persone – dice – si ha difficoltà ad andare avanti. È stato un anno durissimo, ho completato tutti gli esami, ma sentivo che non era la mia strada». Comincia a guardarsi intorno e un giorno trova ciò che fa al caso suo, un corso professionale di Graphic & Visual Design tenuto all’Accademia delle Arti e Professioni (ADAP) di Cosenza, tra gli insegnanti il professor Sergio Molinari.

Il Graphic Designer è un creativo, si occupa di progettare e rendere più accattivante la comunicazione visiva in più ambiti, come l’editoria e la pubblicità. Grazie allo sviluppo in costante crescita della comunicazione non verbale, la sua figura sta acquisendo sempre più importanza.

Ispirata dalla disegnatrice e illustratrice di libri per l’infanzia statunitense Mary Blair, a cui Walt Disney affidò la direzione artistica del noto cartone animato Cenerentola, Giovanna si concentra sulla sua preparazione. Durante il corso le viene mostrato il funzionamento di Adobe Illustrator, programma utilizzato per la creazione di immagini vettoriali, basate su insiemi di punti, linee e poligoni che successivamente verranno arricchite con colori e sfumature.

«Non avevo idea che esistesse un programma del genere – racconta – quando lo provai rimasi affascinata da quello che poteva fare, da ciò che io avrei potuto fare utilizzandolo. Era come se per tutta la vita avessi guidato un triciclo e disegnare con Illustrator mi faceva sentire al comando di una navicella spaziale».

Prendendo spunto dalla vita reale e dagli oggetti comuni, Giovanna comincia a realizzare diverse illustrazioni che espone sulla sua pagina Facebook e sul profilo Instagram, Gio Grafic «Il tutto parte da un’idea. A me piace ricreare personaggi fantastici, per ora ne ho realizzato qualcuno della saga di Star Wars, generalmente però mi lascio trasportare dalla fantasia – spiega – si realizza quindi uno schizzo. Molti utilizzano la tavoletta grafica o i tradizionali foglio e matita, io invece lavoro direttamente su Illustrator grazie all’aiuto del mouse e delle forme geometriche. Scelta una palette di colori, si inizia a colorare e i dettagli verranno poi aggiunti in corso d’opera, sfumature, luci e ombre ad esempio».

“Morbido” è l’aggettivo con cui descrive il suo stile.

Basandosi sullo stile giapponese Kawaii, Giovanna predilige le forme semplici e colorate: colori pastello, linee tondeggianti e uno stile lineare riflettono l’animo di questa giovane illustratrice alla continua ricerca di novità, nozioni da apprendere, programmi da scoprire.


In un Paese come l’Italia, un Paese di anziani, in cui i giovani vengono spesso ridicolizzati, definiti “choosy” e “arrendevoli”, è confortante vedere che esistono ragazze come Giovanna, che all’età di ventisette anni dimostra di avere ancora l’entusiasmo e la voglia di migliorarsi di una bambina. Non si lascia intimorire dai tempi che corrono, determinata a raggiungere il suo obiettivo ha fatto sue le parole di chiusura del celebre discorso di Steve Jobs ai laureandi di Stenford, del 12 giugno 2005: «Stay hungry, stay foolish» ossia «Siate affamati, siate folli». Affamata di conoscenze e folle nel superare i propri limiti, dunque, Giovanna ripete queste parole di fronte alle difficoltà che le si presentano. Apprendista del giovane graphic designer cosentino Mario Veltri, decisa a migliorare, partecipa a diversi workshop, seminari tenuti su temi specifici alla fine dei quali vengono messe in pratica le conoscenze apprese, e masterclass, lezioni tenute da esperti di alto livello del settore che interagiscono con il pubblico.

La Character Design & Animation Pixar Masterclass, la più recente esperienza a cui ha partecipato, si è svolta a Roma nel mese di maggio. Tutte opportunità grazie alle quali amplia la sua visione creativa.  «Guardare il mondo attraverso gli occhi dell’immaginazione.» E’ questo il messaggio che vuole trasmettere attraverso i suoi disegni.

«La vita è dura, lo sappiamo tutti. Ma la fantasia può essere una via d’uscita. E come dice Mary Poppins: “Basta un poco di zucchero…”»

Carlotta Bianca De Vita

[#SpecialeStrade] Flashmob, la Morte dell’Informazione

La morte dell’informazione, il silenzio mediatico imposto dalla società.

Ringraziamo i gruppi di rievocazione storica e LARP presenti a “Le Strade del Paesaggio” per la collaborazione:
LEG • X Fretensis, Hedreja: il Confine tra i Mondi,  Awakened – gioco di ruolo dal vivo, Eroi Dell’Ultimo Regno – EDUR GRV e Midgard- LARP.

Riprese Carmine Aceto
Montaggio Daniele Ferullo
ph. Paolo Gabriele De Luca e Giovanni Costa

[#NerdInterview] Mattia Labadessa racconta “Mezza fetta di Limone” [VIDEO]

Durante il festival del fumetto “Le Strade del Paesaggio” abbiamo incontrato Mattia Labadessa, giovane e talentuoso disegnatore del gruppo Shockdom.

Labadessa ci ha raccontato qualcosa in più sull’albo in uscita oggi, Mezza fetta di Limone, spiegando i retroscena dei nuovi personaggi e dell’importanza della musica all’interno del racconto. Buona visione

In uscita il 28 settembre, il tuo nuovo albo ha un nome singolare: come mai “Mezza fetta di Limone”?

Nel libro si evince che la mezza fetta di limone si riferisce a quella che si mette nei drink, in particolare nel Japan Ice Tea, che è il mio preferito. Il drink è la rappresentazione delle certezze dell’uomo uccello, in cui si rifugge in continuazione. In realtà di fronte a una vastità immensa di drink, lui sceglie sempre lo stesso perché lo conosce e non riesce ad affrontare quello che è ignoto.

Ci parli un po’ dell’albo. E’ uno stile diverso dal solito, mi dici cosa è cambiato?

Si. Innanzitutto graficamente è cambiato un sacco perché c’è stata una sorta di evoluzione, che poi ho proposto anche sulla pagina con le vignette per far abituare chi mi segue a questa variazione di stile. L’ho preferito perché per raccontare una storia lunga pensavo fosse molto meglio un registro visivo di questo tipo, molto più accogliente, calmo, avvolgente. Prima ero molto più freddo, però ero perfetto per il singolo post fruibile all’istante su facebook, mentre per un libro è molto meglio secondo me lavorare in questo modo.

Quindi troviamo anche elementi di te, introspezione.

Si, se non parlo di cose che mi riguardano, che mi rappresentano, non so di che altro parlare. Non parlo di politica, non tratto argomenti del genere. Parlo di me, di quello che faccio, delle mie situazioni. Infatti anche per questo forse  viene reputato un po’ banale qualche tema che tratto, perché sono cose che viviamo tutti quanti. Il famoso “mo mi caco”, per esempio, è diventato il mio simbolo, ma in realtà è una sciocchezza.

All’interno dell’albo troviamo due nuovi personaggi. Ce ne parli?

Wilson e Franco. Wilson è un coniglio nano che è ispirato al mio coniglio nano. Ho anche nella realtà un coniglio che si chiama Wilson. Ho deciso di buttarlo nella storia perché mi serviva un personaggio che rappresentasse la mia parte da fattone. Il coniglio si mangia il fieno quindi è fissato con l’erba, ci può stare questa similitudine.
Come per l’uomo uccello, era simpatico graficamente e allora ho scelto di inserirlo. Invece Franco è proprio un mio amico, uguale!

Lui lo sa?

Lui lo sa, si. A volte mi ha scritto anche delle vignette. Diciamo che questo persona è un po’ fonte d’ispirazione per me. Wilson è una mia appendine, mentre Franco rappresenta l’opposto di come io vivo la vita. Mi faccio molto problemi, Franco è molto menefreghista.

Potrebbero rappresentare due lati di te questi personaggi?

No, Franco no. Wilson si.
Nell’albo compaiono molti riferimenti musicali.

Volevo anche mettercene di più. Avevo l’idea che mentre stavi leggendo il mio volume, ti esce il titolo di un pezzo, lo metti su spotify e continui a leggere. Ma poi ho pensato che forse non era una buona idea.
Ci sono solo due pezzi. L’idea mi piaceva perché ho lavorato al progetto come se fosse un film, quindi il lato musicale poteva risultare importate.
Hai collaborazioni in corso o che vorresti fare in futuro?
Ci sono dei progetti in cantiere, ma non posso dire nulla.
Vorrei fare un libro con i fratelli Riccione, ma devo ancora vedere se mi accettano!

Intervista a cura di Miriam “My” Caruso
Video e montaggio a cura di Daniele “Ink” Ferullo
ph. Giovanni Costa 

[#JapanTime] Chi è Son Goku?

Sono tempi d’oro per i fans di Dragon Ball. Con la nuova serie, Dragon Ball Super, Akira Toriyama sta vivendo una seconda giovinezza e i primissimi accaniti dell’opera non possono che essere contenti, a prescindere dalla validità del prodotto.

In Italia Dragon Ball Super è sbarcato a Dicembre 2016 e, dopo una lunga pausa, il 6 Settembre 2017 sono arrivati i nuovi episodi doppiati in italiano, pronti per mostrarci le nuove avventure di Goku e compagnia. Toriyama ha dato nomi molto particolari ai suoi personaggi, ad alcuni sono capitati vegetali, ad altri elettrodomestici, ma il nome dietro al protagonista richiama una famosissima leggenda cinese, poi giunta in Giappone.

In questo nuovo Japan Time scopriremo chi è Son Goku.


L’eroe giapponese più famoso di sempre prende il nome da Sun Wukong, protagonista del romanzo “Il Viaggio in Occidente”, classico della letteratura cinese.
All’inizio dell’opera si snoda tutta nella descrizione del protagonista: grande guerriero, re, mago e saggio, Son Goku nacque quando una roccia venne ingravidata dal vento. Egli dimostrò sin da subito il suo coraggio, ma tormentato dall’idea che la felicità del proprio popolo potesse finire, si recò dal saggio Subhodi per rendere eterna questa condizione, e dal mago apprese i poteri del Tao. Son Goku divenne immortale, riuscì a imparare l’arte della trasformazione e iniziò a volare su una nuvola.


Acquisiti questi nuovi poteri, il protagonisti sottomise molti regni e chiese in dono ai quattro Dragoni re dei Mari un bastone in grado di allungarsi a suo piacimento, un elmo di fenice, un’armatura d’oro e degli stivali magici.

Tutto questo suona un po’ familiare, vero?

Il re delle scimmie, conscio della sua potenza, iniziò a diventare sempre più arrogante. Questo non passò inosservato all’Imperatore di Giada, che per porgli un freno lo nominò Custode dei Cavalli Celesti. Son Goku non si piegò a un incarico tanto umile, scatenando così l’ira dell’Imperatore che tentò di eliminarlo, ma ebbe la peggio. Goku era troppo forte e, dopo la vittoria sull’Imperatore, quest’ultimo lo nominò “Grande Saggio Pari al Cielo” con la possibilità di essere chiamato nelle sfere celesti. Qui lo scimmiotto diede di nuovo prova della sua superbia: mangiò le Pesche dell’Immortalità e si introdusse a una festa a cui non era stato invitato per mangiare da solo tutto il banchetto. Dopo questo affronto l’imperatore attaccò nuovamente Son Goku che, dopo una lunga battaglia, venne sconfitto e affidato al Cielo. La punizione era la morte ma, essendo immortale, sopravvisse. Il protagonista venne quindi rinchiuso in una fornace con la speranza che si sciogliesse ma, una volta aperta, egli era ancora vivo e più forte di prima. L’Imperatore di Giada fu costretto a chiedere aiuto a Tathāgata Buddha che, dopo una prova molto dura, sconfisse Son Goku e lo seppellì sotto la Montagna dei Cinque Elementi.

Ma non finisce qui.

Cinquecento anni dopo la dea della misericordia Bodhisattva Guanyin venne incaricata da Buddha di trovare un uomo mite in grado di affrontare il viaggio in Occidente per diffondere i suoi insegnamenti. Questa figura fu identificata nel monaco Sanzang (Sanzo in giapponese), che accettò di liberare Son Goku e accoglierlo come suo discepolo. Lo scimmiotto in questo tempo non imparò di certo le buone maniere e il monaco fu costretto a far intervenire Bodhisattva Guanyin, che gli donò un diadema magico da far indossare a Goku per controllarlo. Da quel momento in poi il re delle scimmie ubbidì a Sanzang per tutta la durata del viaggio, imparò a comportarsi meglio, raggiungendo l’Illuminazione e diventando a sua volta un Buddha.


Nel folklore popolare la leggenda di Son Goku è diventata famosa e usatissima: oltre a Dragon Ball, troviamo citazioni e riferimenti anche ne I Cavalieri dello Zodiaco, Ranma 1/2, One Piece, Toriko, addirittura nei Pokémon e tanti altri videogiochi.

Il Giappone, nonostante sia chiuso nelle proprie credenze e nelle proprie leggende, spesso si apre verso nuovi orizzonti facendole proprie e questa storia ne è la chiara dimostrazione.

Paolo Gabriele De Luca

[#Nerd30Consiglia] Jin-Roh, Uomini e lupi

Torna la rubrica mensile dedicata all’animazione di nicchia, questa volta con un film targato Production I.G., con soggetto e sceneggiatura del genio Mamoru Oshii e regia di Hiroyuki Okiura, distribuito in Italia da Yamato Video.

Stiamo parlando di Jin-Roh: Uomini e lupi, film del 1999, considerato “l’ultimo grande anime del millennio” dalla stessa Production I.G. La pellicola fa parte della cosiddetta Kerberos Saga, creata dallo stesso Oshii, che comprende anche film in live-action e fumetti.

LA TRAMA

La storia è ambientata in Giappone negli anni sessanta di un universo storico alternativo ed è centrata attorno a Kazuki Fuse, un membro dell’unità di polizia anti-terrorismo di élite dei Kerberos Panzer Cops, dotata di armamento protettivo pesante, detta protect gear, stahlhelme equipaggiato con una maschera per l’ossigeno e la visione notturna, e di mitragliatrici tedesche MG 42. Addestrato a comportarsi come facesse parte di un branco di cani, da cui il nome Kerberos, Fuse è messo di fronte alla propria umanità quando manca di sparare contro una giovane terrorista: la ragazza si uccide facendo esplodere una bomba dinanzi a Fuse. In seguito Fuse inizia una relazione destinata alla tragedia con Kai, che incontra mentre si reca sulla tomba della terrorista suicida. (fonte Wikipedia)

IL COMMENTO

Jin-Roh può essere considerato senza alcun dubbio come uno dei capolavori dell’animazione giapponese, uno di quei film che trascendono il mezzo per diventare cinema puro e semplice. Prendendo come base la favola di Cappuccetto Rosso (nella sua versione originale, quindi senza lieto fine), si dipana una storia fortemente cinica e pessimista, quindi totalmente avversa a facili soluzioni per garbare al pubblico medio, da sempre più propenso a visioni positive, ma lontane dalla realtà in cui viviamo. La vera forza di Jin-Roh sta proprio in questo, nel buttare in faccia allo spettatore quella che è la cruda realtà, di fargli capire che è veramente difficile, se non impossibile, sfuggire al proprio destino e il solo provarci può portare ad un destino ancora peggiore.

Una trama che scorre lenta, inesorabile, con dei picchi da pelle d’oca, e vive dello sguardo asettico dei personaggi, verso i quali è impossibile empatizzare, che vivono nel sottile confine tra l’essere preda o predatore.

 

“Le fiabe in cui gli animali si mischiano agli esseri umani di solito finiscono piuttosto male. È meglio che le bestie si limitino alle loro storie.”

 

Il film passa attraverso scene oniriche di rara e cupa bellezza, con intermezzi narrati attraverso le parole di Kai, che racconta la favola di Cappuccetto Rosso con tono solenne, dando un’ulteriore pennellata di grigio alla vicenda. Il finale è amaro e quando partono i titoli di coda non si può fare altro che lasciarsi andare a lacrime di sconforto, accompagnate dalla malinconica “Grace Omega”, forse la colonna sonora più bella mai composta da Hajime Mizoguchi.

La sceneggiatura di Oshii è straordinaria come sempre, perché riesce a porre una sua visione precisa, lasciando comunque spazio allo spettatore. Questo è un film che ad ogni visione si rinnova, tirando fuori delle sfumature che magari erano sfuggite nelle visioni precedenti, quindi è impossibile non considerarlo un vero capolavoro.

“E poi alla fine il lupo divorò Cappuccetto Rosso.”

COMPARTO TECNICO

Sul piano tecnico abbiamo un lavoro veramente incredibile. Production I.G. ha fatto la scommessa su questo progetto, dedicandogli quasi 3 anni senza l’utilizzo di effetti digitali. La regia di Okiura è in perfetto stile Oshii, quindi abbiamo delle lunghe inquadrature e dei primi piani di forte impatto, con dei colori estremamente desaturati, quasi monocromatici, che fanno capire subito la cupezza della pellicola. Il character design dello stesso Okiura e di Tetsuya Nishio riesce a dare un grande realismo ai volti dei personaggi, oltre ad una forte espressività.

Le animazioni sono di una fluidità allucinante, probabilmente grazie ad un ampio uso del rotoscopio, che fornisce ai personaggi delle movenze estremamente realistiche. Altro capolavoro, come già anticipato, è la colonna sonora di Mizoguchi, una delle migliori mai realizzate per un’opera d’animazione, al pari di quella di Kenji Kawai per Ghost in the shell e di Yoko Kanno per Cowboy Bebop. Un plauso a Yamato per l’ottima edizione italiana.

IN CONCLUSIONE

Jin-Roh è uno dei pochi film d’animazione a meritare a pieno il voto 10/10. Una delle opere migliori partorite dalla mente di Mamoru Oshii, che ha avuto solo una minima parte del successo che meriterebbe.

Antonio Vaccaro

[#NerdCuriosity] Webcomics, l’arte del terzo millennio?

Sono sempre di più gli artisti che preferiscono “sporcarsi le mani” virtualmente. Oggi indagheremo nel mondo del webcomic.

Molti sono i disegnatori che sostituiscono pennelli e matite con tavolette grafiche e software di grafica digitale, che permettono di emulare con una certa fedeltà la comune carta e penna, risparmiando sui materiali oppure ottenendo effetti quasi impossibili da simulare manualmente.

L’editoria moderna è alla costante ricerca di nuovi talenti digitali: nascono così case editrici specializzate nella pubblicazione di storie a fumetti o strisce realizzate interamente o per buona parte in digitale, spesso prive di un formato cartaceo, che prendono il nome di webcomics o fumetti online.

Ma quali sono le caratteristiche di un fumetto online?

Solitamente un fumetto online non viene pubblicato integralmente, ma viene rilasciata una pagina ogni settimana o addirittura ogni mese, se si tratta di una storia complessa. Può anche avere una pubblicazione giornaliera nel caso si tratti di una serie di strisce. I temi trattati possono variare da esempi presi dalla vita di tutti i giorni, quasi stereotipati, alla satira, fino a trattare temi più delicati o attuare una vera e propria denuncia sociale. Il target più gettonato è quello giovanile (12-20 anni).

LA STORIA

In Italia il fenomeno del fumetto digitale viene introdotto dalla casa editrice Shockdom Comics alla fine degli anni ’90. Inizialmente vengono prodotte animazioni tramite il software Shockwave Flash (da qui il nome Shockdom), largamente impiegato per la realizzazione di pagine web, piccoli giochi e cartoline digitali, spedite poi via email in assenza dei social network e della messaggistica istantanea.

Successivamente, nei primi anni 2000, Shockdom diventa il partner della prima web tv italiana, chiamata My-Tv, riferimento in Italia per i cartoons. Grazie alla collaborazione con Cartobaleno e con la Rai, a Shockdom si deve la nascita dei cartoni animati di Gino il pollo e Arturo e il kiwi.

Attualmente Shockdom è la casa editrice digitale italiana più famosa, trampolino di lancio per Lorenza Di Sepio, Mirka Andolfo, Sio e Labadessa. Recentemente ha aperto anche una filiale brasiliana della nota casa editrice.

DOVE LEGGERLI

Esistono numerose piattaforme online dove poter fare conoscenza dei webcomic, ma si possono trovare in particolar modo sui social. Artisti come Lorenza Di Sepio, Mirka Andolfo, Sio e Labadessa sono diventati famosi proprio grazie alle loro strisce, pubblicate sulle reti sociali più famose, come Facebook e Twitter, ma a mio parere non sono i siti più adatti per pubblicare le proprie opere se si punta sulla qualità.

La piattaforma più usata per leggere e pubblicare fumetti online è Tapas (precedentemente nota come Tapastic), prevalentemente utilizzata da un’utenza che ben conosce la lingua inglese. È possibile leggere gratuitamente strisce, fumetti, graphic novels ovunque si ci trovi grazie ad un app per smartphone. È addirittura possibile monetizzare sui propri webcomics, in un modo simile a quello di YouTube.

LINE WEBTOON è un’altra importante piattaforma online per fumettisti digitali, anch’essa utilizzata prevalentemente in lingua inglese. Grazie a Line Webtoon si può fare la traduzione delle proprie storie in più lingue. Anch’essa permette di monetizzare sui contenuti come Tapas.

In Italia è nata da poco la piattaforma Comiqube, che raccoglie i principali fumetti pubblicati dalle case editrici Kasaobake, Hyppostyle, Leviathan Labs e Manfront Labs. Possiede, al pari di Tapas, una propria app e vi è un sistema che permette di supportare l’artista “abbonandosi” al fumetto.

GLI STRUMENTI DEL MESTIERE

Il software certamente più utilizzato è Photoshop, ma esistono programmi più semplici e specifici per “dipingere” al computer:

Paint Tool Sai è certamente il programma più “legato” alla tavoletta grafica, perché permette di ottenere degli effetti sfumati molto particolari che sono difficilmente raggiungibili con Photoshop. È inoltre munito di un sistema di stabilizzazione del tratto, che aiuta anche le mani più “tremolanti”.

Manga Studio e Clip Studio Paint sono altri due software ideati appositamente per la realizzazione di manga e fumetti digitali. Uniscono alcune potenzialità di Photoshop e Paint Tool Sai. Questi software solitamente si trovano inclusi nelle tavolette grafiche più diffuse.

IN CONCLUSIONE

Disegnare a mano o con una tavoletta grafica richiede le stesse identiche abilità. Si può affermare che, per taluni aspetti, disegnare al computer sia addirittura più difficile del disegno tradizionale. Il disegno manuale, a mio avviso, non corre il rischio di scomparire, sostituito da quello digitale: sono due tecniche distinte e separate che convivono e si completano a vicenda.

Il disegno digitale si può considerare come la corrente artistica del terzo millennio.

 Non c’è arte digitale se non esiste l’arte tradizionale.

Maria De Miglio

 

[#5Picks] Cinque titoli videoludici per Cinque opere letterarie

L’inizio di ogni processo creativo vede il creatore di contenuti (siano essi cartacei, multimediali o addirittura musicali) cercare l’ispirazione.

Quel qualcosa, ricercabile in sensazioni, stati d’animo o perfino opere già esistenti, capace di donare una scintilla primigenia a quello che poi diverrà un prodotto rifinito e lavorato. Molte volte l’esito si distacca da quell’ispirazione iniziale, deviando su percorsi non tracciati al fine di divenire qualcosa di completamente diverso. In altri scenari invece, l’ispirazione dettata da un’opera è talmente forte (o magari la necessità di espandere quanto non detto di quel particolare setting) da portare il creativo a calare interamente la propria creatura in quell’universo narrativo.

Proprio a questa seconda categoria appartiene il quintetto sottostante. Cinque titoli riconducibili a cinque generi diversi ispirati da libri e fumetti.

 

1. The Witcher Saga – Genere: Rpg

A meno che non abbiate vissuto in un bunker negli ultimi dieci anni, avrete sicuramente sentito parlare della perla realizzata da CD Projekt RED. La saga di Geralt di Rivia, ambientata nel mondo fantasy immaginato dallo scrittore polacco Andrzej Sapkowski, conta attualmente 3 titoli rilasciati. Malgrado un inizio senza infamia e senza lode (il primo titolo riuscì a piazzare 1,2 milioni di copie in due anni) la saga è ora acclamata come uno dei migliori successi commerciali del genere Rpg.

2. Metro: Last Light – Genere: FPS

Quando il russo Dmitry Glukhovsky scrisse il primo libro della saga di Metro, “Metro 2033” chissà se penso mai ad una trasposizione videoludica della sua collana. Fatto sta che un Metro 2033 giocabile esiste ed è, di fatto, uno dei titoli tratti da un libro più famosi di sempre. Il titolo, ben accolto da critica e giocatori, ha dato vita a due seguiti. Metro: Last Light appunto ed l’incombente Metro Exodus. Last Light vede ancora Artyom come assoluto protagonista dell’opera, ormai consumato dagli eventi del primo capitolo, e si presenta al giocatore come un first person shooter con spiccate tonalità horror


3. Arkham Series – Genere: Action OpenWorld

Vi suggerisce qualcosa il trinomio orfano – milionario – pipistrello? Se per qualche malaugurato caso la risposta dovesse esser no, mi duole informarvi che fino ad ora avete fatto a meno delle avventure dei uno dei personaggi più iconici di tutto il mondo DC Comix: Batman. Il celeberrimo uomo pipistrello oltre che protagonista di una serie stabile di fumetti, è il personaggio centrale della fortunata (e recentemente conclusa) saga di Arkham, realizzata dai Rocksteady Studios.   

4. Scott Pilgrim vs the World: The Game – Genere: BeatEmUp

Cosa accade quando si realizza un gioco ispirandosi ad un fumetto che si ispira a sua volta ai videogiochi? No nessun problema di loop ricorsivi, il risultato è Scott Pilgrim vs. the World: The Game, un edulcoratissimo BeatEmUp con meccaniche retrò e constanti strizzate d’occhio alla cultura pop. Sviluppato da Ubisoft Montreal, supportata da Ubisoft Chengdu, il gioco è disponibile unicamente in versione digitale e può esser recuperato dai digital store di Microsoft e Sony.

5. I Have No Mouth, and I Must Scream – Genere: Punta e clicca

«Gestire conflitti di scala mondiale non è cosa semplice per l’umanità, perché non costruire un complessa intelligenza artificiale capace di farlo al posto dei governi?»

Durante l’antefatto di “I Have No Mouth, and I Must Scream”, agli abitanti di un distopico pianeta Terra dev’esser suonata come un’idea brillante, salvo poi tralasciare l’ovvia presa di coscienza della macchina con conseguente sterminio del genere umano. Basato sul racconto di fantascienza di Harlan Ellison “Non ho bocca, e devo urlare” il titolo permette al giocatore di controllare i cinque umani superstiti contro AM ( l’acronimo con cui viene chiamato il supercomputer ). Tra enigmi e puzzle da risolvere, questo datato punta e clicca ha ancora tanto da raccontare in fatto di scelte morali.

 

Daniele “Icelo” Pezzolla

 

[#LARP] Hedreja risorge come una fenice, tutte le novità

Dopo l’annuncio fatto al Conclave, Hedreja non smentisce la sua essenza e torna più grintosa di prima: i suoi membri infatti, troppo affezionati non solo alla sua storia ma a tutto quel che rappresenta, hanno deciso di continuare l’avventura.

Il consiglio direttivo dell’associazione ha comunicato ai suoi membri che, sebbene con qualche modifica atta a rendere più semplice il lavoro agli organizzatori, si ha la volontà di continuare a lavorare per regalare passione e divertimento, svelando anche date di prossimi eventi:

nella Sicilia Occidentale si giocherà a Sant’Andrea Bonagia il 21 Ottobre, mentre è stata pubblicata anche la data del prossimo evento live calabrese, il 7 Ottobre nei pressi dell’Università (c.da Rocchi), a ridosso dell’attesissimo Festival del Fumetto de Le strade del paesaggio.

Invece l’assetto che Hedreja ha sviluppato negli scorsi anni è stato completamente riveduto.

Chi conosce il gioco sa che ce n’è molto, anche tra un live e un altro, in particolar modo si giocava tantissimo su whatsapp. Questo è stato vietato con energia secondo il motto “siamo un gioco live!”.

Non temete

Potrete comunque tramare e tessere piani malefici per i raduni tramite la collaudata formula del forum dedicato e le relative sezioni in gioco. Novità invece più interessante e forse più discussa è sicuramente la scelta di una scadenza bi-, o addirittura trimestrale degli eventi, anche appuntamenti della durata di un giorno sono stati calendarizzati secondo questo principio.

E Nova era?

Avevamo anticipato che, per non perdere quello che è stato costruito da ormai tre associazioni nel corso di 20 anni, alcuni ragazzi avevano avuto la voglia di continuare, sebbene sotto nome diverso, il progetto.

«Ora che Hedreja continua, per fortuna, non abbiamo più motivi per iniziare il progetto Nova era. Al contrario abbiamo ancor più voglia e possibilità visti i recenti avvenimenti interni alla storia. Vediamo come gli Ordini si concilieranno tra loro dopo le posizioni politiche assunte al Conclave.» Ha affermato il master calabrese, uno dei fu promotori di Nova era.

Insomma, non resta che aspettare il 7 Ottobre e tuffarci in questa nuova (o rinata?) avventura

 

Alfredo Arturi

[#CiNerd] Dunkirk, la recensione

Uscito il 31 agosto, Dunkirk è l’ultima fatica del prolifico regista Christopher Nolan, conosciuto soprattutto per aver diretto il reboot della trilogia di Batman, Memento, Inception e il recente Interstellar .

Per la prima volta si è trovato alle prese con un film basato su fatti storici e all’apparenza sembra non aver disatteso le aspettative.

LA TRAMA

Francia, 1940: nonostante gli sforzi bellici a opera delle truppe inglesi e francesi, l’esercito tedesco della Wehrmacht riesce ad avere la meglio, costringendo gli alleati a una furiosa ritirata sulle coste della Manica. Oltre 400.000 soldati si ritrovano così ad attendere la salvezza in prossimità della cittadina di Dunkerque (Dunkirk è la traduzione in inglese) da cui verranno evacuati solo una settimana dopo, grazie anche all’aiuto dei civili accorsi con le proprie imbarcazioni per tentare di portare in salvo il più alto numero possibile di uomini. Tutto questo avviene a spese dell’equipaggiamento, delle armi e dei mezzi che, nella fretta di mettersi in salvo, vengono abbandonati in territorio nemico, compromettendo anche il futuro della guerra.

IL COMMENTO

Grazie all’abilità di Nolan, la drammatica vicenda viene ripercorsa attraverso tre punti di vista e tre momenti temporali che continuamente si intrecciano, si sovrappongono e si completano. Guarderemo il mare con gli occhi del soldato inglese Tommy (Fionn Whitehead) che, nel corso di una settimana e l’ausilio dei suoi commilitoni, cercherà ogni stratagemma per fuggire, per poi impersonare Mr Dawson (Mark Rylance) che, in una giornata, parte dalle coste inglesi e giunge a portare soccorso ai soldati con la propria piccola imbarcazione. Infine, solcheremo i cieli con il pilota Ferrier(Tom Hardy) il quale, in una sola ora, concentrerà tutte le proprie capacità per abbattere i bombardieri tedeschi. Il tempo è scandito dalla magistrale colonna sonora di Hans Zimmer che ha creato un vero e proprio orologio emozionale, un ticchettio inesorabile che instilla ancor di più quel senso di attesa e di angoscia che si respira per tutto il film. D’altronde l’intento è proprio quello di restituire una visione più complessa e organica di quella che è stata una delle vicende più drammatiche della Seconda Guerra Mondiale, non proponendo la figura del soldato-eroe, senza macchia e senza paura, a cui ci ha abituati Hollywood, ma al contrario dando voce al terrore, alla codardia, alle emozioni umane di fronte alla paura di morire e di non farcela.

Perché Dunkirk non è un film di guerra, è un film sulla guerra, un film in cui si dà spazio all’uomo e non alle operazioni militari e ai generali delle stanze dei bottoni, in cui il senso di sconfitta e di fallimento pesano come una condanna. E tutto questo viene raggiunto nonostante la quasi assenza di dialoghi, quasi a voler lasciare lo spettatore solo con la frustrazione dei soldati.

Da un punto di vista prettamente storico, il film è abbastanza aderente ai fatti, con qualche aggiustamento qua e là per rendere la pellicola più godibile.

Ad esempio, il muso degli aerei tedeschi storicamente in quell’epoca non era dipinto di giallo, ma era più simile allo Spitfire degli alleati. Tuttavia Nolan ha deciso comunque di utilizzare la livrea gialla, in modo che fosse più riconoscibile agli occhi dello spettatore così da non generare confusione fra nemico e amico.

Non sono comunque mancate le polemiche.

Ad esempio riguardo la troppa visibilità degli inglesi a scapito dei francesi, ma del resto, a modesto parere di chi scrive, non è condannabile un regista che assuma il punto di vista della propria nazione soprattutto se, come in questo caso, rimane obiettivo e non dipinge il proprio popolo come perfetto e privo di aspetti negativi, tant’è che incontriamo il gruppo di soldati inglesi che preferisce imbarcare i propri connazionali respingendo i francesi, fino a poco prima considerati come alleati. Oppure il mancato appuntamento con una vera e propria esaltazione delle Little Ships, le piccole imbarcazioni inglesi che aiutarono, e non poco, nel corso dell’evacuazione. In effetti Nolan ne fa vedere poco più di una trentina mentre quelle accorse furono circa 700, tuttavia è riuscito comunque a restituire quel senso di patriottismo e di vero eroismo che ha contraddistinto i protagonisti della vicenda.

COMPARTO TECNICO

Sorretto, come già detto, da una colonna sonora di grande effetto, la pellicola dà sfoggio anche di una realistica e quanto mai rocambolesca rappresentazione dei tentativi di fuga e dei conseguenti attacchi dei tedeschi. Lo stesso Nolan ha dichiarato di non aver voluto usare gli effetti speciali, per cui le navi che affondano lo fanno sul serio, così come gli aerei che si schiantano sull’acqua non sono affatto dei modellini, mentre le bombe che il nemico sgancia sui pontili, fanno quasi venire voglia di tapparsi le orecchie e cercare il primo riparo disponibile. Il tutto per dare ancor di più quel senso di aderenza alla realtà che con la CGI sarebbe venuta a mancare.

CONCLUSIONE

Dunirk è un film da vedere, profondo e coinvolgente, ma probabilmente non piacerà a chi è abituato ad azione e dialoghi oppure a chi non ama i “giochetti” che Nolan fa con il tempo e con le prospettive.

Noemi Antonini